Il Cardinale Federigo Borromeo è un personaggio storico molto importante che Alessandro Manzoni ha inserito nel suo Romanzo con tutto il suo carico e la sua levatura etica e morale.
Stiamo parlando di un esponente della nota casata dei Borromeo: il cardinale fu investito dell’importante carica nel 1587 da Papa Sisto V.
Al momento del suo ingresso nella vicenda, Federigo è già abbastanza avanti con l’età: è un uomo mauro che ha dedicato la propria vita a Dio e a far del bene al prossimo perché, sin da giovane, aveva sempre sentito il dovere morale di rendersi utile agli altri. La descrizione fisica che Manzoni ci ha reso si limita a sottolinearne la vecchiezza, legata ad una evidente canizie e ai segni della fatica che gli rigano il volto.
Ma, naturalmente, quello che più interessa sottolineare all’autore è la caratura morale e il carattere forte del personaggio.
La sua decisione di rendersi utile a favore del prossimo lo aveva condotto a vestire gli abiti religiosi e ad occuparsi sempre e costantemente di tutti gli oneri e i doveri che quella scelta poteva comportare: ma ciò che lo distingueva da qualsiasi altro uomo di Chiesa era la grande generosità e la bontà d’animo che si manifestava puntualmente in tutte le occasioni in cui l’uomo aveva a che fare soprattutto con le persone più umili.
Forse il momento più toccante dell’intera partecipazione del personaggio agli accadimenti della storia dei promessi sposi è quello che interessa l’incontro con l’Innominato.
Al cospetto di un uomo di siffatto carattere, di fama tanto negativa, di modi e di usanze così criminali, il cardinale appare felice e non preoccupato o intimorito. E proprio questa gioia è la principale testimonianza del modo di essere di quest’uomo.
Federigo percepisce la vergogna stampata sul volto dell’ospite, così evita di porlo in una situazione di spiacevole malessere: non si erge a giudice, ma cerca di raddolcirlo e di consolarlo tentando di parlargli direttamente al cuore. Cosi nel dialogo con l’Innominato Federigo Borromeo arriva ad incarnare proprio il buon pastore che, lasciate le novantanove pecorelle, parte alla ricerca dell’unica rimasta sperduta.
Altro momento fondamentale che ci permette di capire l’importanza del personaggio non solo nella vicenda, ma anche a livello storico, è poi il grave discorso tenuto con Don Abbondio.
Ci troviamo a casa del curato in presenza del cardinale che, informato da Agnese e Lucia, sente l’ardente bisogno di avere una spiegazione sulla ragione del mancato matrimonio dei due giovani.
Naturalmente ricordiamo anche lo stato di annichilimento e di assoluta prostrazione raggiunta dal curato ormai consapevole del torto e dell’errore commesso. Ebbene, anche in questa occasione il cardinale non gioca il ruolo di chi accusa e giudica il prossimo dall’alto della sua posizione. Al contrario, l’uomo saprà ancora una volta, trovare parole di conforto e fuggire dalla posizione dell’inquisitore. Ma ciò che stupisce maggiormente è che lo struggersi di Abbondio, il tentare di difendersi ad ogni costo mostrando ogni sua debolezza, sembra quasi annientare lo stesso Federigo che sente su se stesso la sconfitta subita dal proprio interlocutore.
Inoltre cerca di scuotere il curato, di fargli comprendere l’errore e di allontanare da lui l’egoismo che soffoca il suo cuore.
Ma è certamente da sottolineare anche l’impegno che l’uomo mette in campo per alleviare le pene della povera gente. Ricordiamo l’aiuto dato alla stessa Lucia in cammino dal castello dell’Innominato verso cui fa mandare la moglie del sarto del villaggio, ma ricordiamo anche la sua presenza costante durante il momento difficilissimo dell’epidemia di peste.
Federigo non aveva mai lasciato la città e mai deciso di abbandonare la popolazione, soprattutto in quel momento di assoluta crisi. Chiuso per precauzione nel palazzo in cui viveva aveva continuato ad organizzare tutti gli aiuti e la macchina dei soccorsi sulla base delle facoltà che la sua posizione gli metteva a disposizione.