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Inferno Canto 13 - Riassunto

Appunto di letteratura italiana contenente il riassunto del tredicesimo canto (canto XIII) dell'Inferno dantesco.
L'arbusto sanguinante, illustrazione di Gustave Doré

Tempo: sabato 9 aprile 1300, verso l’alba.

Luogo: cerchio 7 - girone 2°: violenti contro se stessi (suicidi e scialacquatori). Un bosco senza alcun sentiero, formato da alberi privi di foglie, fiori, frutti e contorti in modo orribile; tra i rami fanno il nido le brune Arpie che emettono cupi lamenti.

Personaggi: Virgilio, Dante, Pier della Vigna, Fiorentino suicida, Lano da Siena, Jacopo da Sant'Andrea.

Violenti contro se stessi: I suicidi sono trasformati in alberi e le Arpie, facendo scempio delle foglie, lì straziano ed essi piangono attraverso le ferite; gli scialacquatori sono costretti a correre fra gli arbusti per sfuggire ai morsi famelici di insaziabili cagne e, quando vengono raggiunti, sono lacerati e divorati a brano a brano.



Sintesi

Nel bosco dei suicidi: le Arpie
Passato a guado il Flegetonte, Dante e Virgilio giungono nel secondo girone del settimo cerchio e si addentrano in un fitto e tetro bosco, privo di sentieri. Gli alberi sono nodosi, contorti e sprovvisti di foglie. Sui loro rami nidificano le Arpie, i mitici mostri dell'antichità greca. Inoltrandosi, Dante ha l'impressione di udire voci di persone nascoste dietro gli alberi, ma ben presto spezzando, su invito di Virgilio, un ramoscello, dal quale sgorga sangue misto a lamenti, conosce la verità: si tratta di anime di dannati, imprigionate eternamente nelle piante.


Pier della Vigna
Virgilio invita a parlare la pianta ancora sofferente ed essa racconta la sua vicenda terrena, con la speranza che Dante, ritornando nel mondo dei vivi, renda giustizia alla sua memoria. L'anima è quella di Pier della Vigna, il più ascoltato consigliere di Federico II di Svevia. Vittima dell'invidia, l'illustre cortigiano cadde in disgrazia presso l'imperatore al punto che, sapendosi innocente, incapace di sottrarsi alla vergogna delle accuse che gli venivano rivolte, si uccise.


Il destino dei suicidi
Le parole del dannato turbano profondamente Dante che, da un'ulteriore risposta, apprende come l'anima dei suicidi divenga pianta nodosa e che perfino dopo il Giudizio Universale essi saranno i soli a non rientrare nel proprio corpo: il corpo di ciascuna anima penzolerà dall'albero che la racchiude (per analogia non sono degni di avere il loro corpo).


Gli scialacquatori
Improvvisamente, annunciate da un confuso rumore, appaiono le anime nude e graffiate di due dannati (Lano da Siena e Iacopo da Sant’Andrea) che corrono inseguite da un branco di cagne fameliche. Per sfuggire alla caccia, una di esse si acquatta in un cespuglio della selva, ma, raggiunta, viene orrendamente dilaniata, mentre dai rami spezzati del malcapitato cespuglio sgorga il sangue misto a dolorosi lamenti. È questa la punizione riservata agli scialacquatori, che in vita fecero strazio del proprio patrimonio.


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