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Commento: Il Cinque Maggio, Manzoni

di Alessandro Manzoni
Commento:

La tragedia di Napoleone si svolge nella terra e si scioglie nell'eternità  Ma la catastrofe è presentita nel prologo già più che umano, e preparata dallo svolgimento che via via s’innalza. La storia c’è, fedele, incisa a tratti di fulmine, rispecchiata in una mente comprensiva: ma è sollevata in un'altra regione: il significato della vita del Bonaparte, trasportata nel regno senza tempo, non è più quello d’un dominio vario, rapido e immenso: la storia dilegua; il significato di quella vita diventa quello dell’immutabile sorte d’ogni impero umano che, fondato sulla materia, scompare di fronte al regno indistruttibile dello spirito. E la figura di Napoleone è tratteggiata con una così densa vigoria, che lascia poi l’anima immensa in lunghe riflessioni sulla storia rumorosa e abbagliante che affonda senza tregua nel mare dell’eternità. Ci passano dinanzi alla fantasia eccitata, Napoleone che si prepara il dominio, gli splendori della sua corte, il turbine delle battaglia, l’Europa sbigottita insanguinata, corsa dagli eserciti, le turbe osannati e maledicenti, i poeti che lanciano il loro vituperio inutile e vile o il loro tumido inno, Napoleone che cade e risorge e soffre i giorni inerti nella solinga Sant'Elena  la terra percossa dalla notizia della sua morte: trent'anni della vita d’una grande parte del mondo, de’ suoi tempi più travagli osi, ed uno dei più forti padroni dei destini delle genti; ma intanto sentiamo che quella gran febbre è vana perché chi l’ha voluta la può troncare, e la vediamo spegnersi – più che per una forza materiale – per il destino che attende ogni cosa terrena. Poiché l’ultima sconfitta di Napoleone, che parrebbe così importante nella sua vita, è quasi sottinteso  non è accennata con nessun particolare concreto; gli uomini che lo vinsero, non sono nemmeno nominati. E sparve: nient’altro. L’Inghilterra vincitrice non entra in questo dramma: il poeta non l’ha pensata nemmeno per un istante; e la mia parola che la nomina, è una stonatura.
E’ venuto un momento che il dominio di Napoleone è caduto; ed egli l’ha desiderato ancora; ma poi ha sentito che esso era un nulla: questa è la nostra impressione. Napoleone, nel 5 Maggio, è solo.
<<ei si nomò>> e <<ei fe’ silenzio>> nell'ode questo è verissimo: c’è il suo nome, il suo rombo della sua potenza. I suoi nemici non esistono. Vincitore, essi appaiono vagamente nelle ritirate delle sconfitte; vinto, non appaiono affatto. Il vincitore di Napoleone è una forza ignota, quella che lo ha levato così in alto.

Il Cinque Maggio non è un’ode celebrativa del genio napoleonico o il compianto per la morte nella dolorosa prigionia, ma Napoleone è assunto a segno immensamente grande e perciò estremamente significativo delle vicende umane che sarebbero assurde, ove non intervenisse una più alta forza ad illuminarle. La fine sconsolata, nell'isola solitaria, dell’eroe che aveva riempito delle sue gesta l’Europa, mette in moto la forza più profonda della fantasia manzoniana. Egli, l’eroe che ha percosso come folgore il mondo dei suoi contemporanei, è lì nel freddo della morte, creatura di tanta miseria dopo essere stato despota di tanta grandezza […] Nella solitudine deserta di Sant'Elena ripercorre la sua vita, ma l’anima si abbatte come di schianto sui grandi ricordi che egli non può e non sa ordinare: in cospetto del corso della sua vita, Napoleone avverte il mistero della vita degli uomini. Pure, egli riesce a placare – non ad annullare – il suo strazio e ad accettarlo, quando colloca la sua vita sul piano dell’eternità, e quando avverte in sé il destino degli altri tutti: allora egli addolcisce il suo tormento, perché non sente più se stesso solo come creatura terrena, percossa dalla sventura, ma come creatura di Dio che, compiuta la sua giornata, ritorna obbediente a Lui. Così egli ascende rassegnato dal buio delle vicende umane alla luce della provvidenza, e l’ascesa della anima di Napoleone è l’ascesa medesima della poesia manzoniana.

La morte di Napoleone richiama alla fantasia del poeta quell'epos da poco conclusosi; ma quest’epos, di cui Manzoni sente la potenza folgorante, non gli si impone, ed egli può, nel momento stesso che lo celebra, chiedersi che cosa sia stato, e che cosa sia Napoleone innanzi a quel Dio <<che atterra e suscita,/ che affanna e che consola>>. L’ode si apre con una domanda -- <<fu vera gloria?>> -- , alla quale il poeta pare rinunziare a rispondere; ma la domanda circola segreta per l’ode, la corre tutta, per trovare una risposta – anche se indiretta – verso la fine, quando si esalta la fede che avvia Napoleone abbattuto e morente <<ai campi eterni, al premio / che i desideri avanza, / dov'è silenzio e tenebre / la gloria che passò>>. Così, sull'epos tumultuoso si stendono prima il silenzio di solitudine di un letto di morte, dietro cui s’intravede la pace senza termine di quei <<campi eterni>> dove il rumore della gloria che fu si spegne in silenzio ed in tenebre.



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