di Leonardo Sciascia
Riassunto:
Pubblicato nel 1961, Il giorno della civetta ricorre alla forma del romanzo poliziesco per investigare su un piano sociologico il fenomeno della mafia. In una cittadina della Sicilia giunge il capitano dei carabinieri Bellodi, originario di Parma, per indagare sull’omicidio di Salvatore Colasberna: costui era socio di un’attiva società edilizia e si scoprirà più tardi, aveva rifiutato la protezione della mafia. Le indagini del continentale Bellodi, come viene chiamato dai locali, Intralciate dall’omertà e dalla diffidenza degli abitanti, seguono la pista della convivenza tra mafia e potere politico. Bellodi è un uomo coraggioso, che ha scelto di servire lo stato, di mangiare il pane del governo animato da profonde convinzioni democratiche e da un alto senso della giustizia, in base ai quali non si devono mai accettare compromessi o connivenze (il personaggio fu ispirato all’autore da un amico, Renato Candida, comandante dei carabinieri di Agrigento e autore di un libro sulla mafia).
L’indagine del capitano è seguita con fastidio e preoccupazione a Roma, nei palazzi del potere. La catena degli omicidi, intanto si allunga: muore un potatore, Nicolosi, ed è ucciso un confidente della polizia. Quest’ultimo, però, fa a tempo a denunciare a Bellodi alcuni mafiosi. Con pazienza il capitano riesce a ricostruire la meccanica del delitto, a scoprire esecutori e mandanti, ad arrivare fino al capomafia, don Mariano il padrino, da tutti rispettato come persona pulita e prudente. Il processo è imminente, il potere politico non sembra poter più soffocare i risultati dell’indagine. Bellodi commette però, per ingenuità, un errore: prende un breve congedo per tornare a Parma, dalla famiglia. Qui apprende dai giornali che la sua indagine è stata smontata da un alibi di ferro tardivamente esibito dal principale indiziato. Tutto pare sprofondare di nuovo nell’omertà e nella paura, ma Bellodi decide di ritornare nell’isola, per far conoscere la verità.
Il giorno della civetta fu la prima esemplificazione narrativa del problema della mafia così dichiarò l’autore, sottolineando, a ragione, che la sua opera veniva a colmare un vuoto della produzione letteraria italiana. Implicitamente, Sciascia esprimeva così quella fiducia nella letteratura come strumento di conoscenza che gli ispirerà, anni dopo , questa affermazione: Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.
Analisi del testo
Il giorno della civetta (portato nel 1968 sugli schermi cinematografici dal regista Damiano Damiani) è un lungo avvincente racconto di un delitto mafioso in Sicilia e delle indagini che conduce, in una sorta di braccio di ferro tra organi di polizia e associazione mafiosa, il capitano dei carabinieri Bellodi, settentrionale ed ex partigiano, il quale non vuole arrendersi all’evidenza di strutture sociali tanto diverse da quelle che egli conosce o si propone come modello. Vi è un aperto scontro, con la realistica vittoria finale di tutto ciò che è male per la convivenza civile, tra le oneste convinzioni, le buone intenzioni e le illusioni del giovane ufficiale e lo stato di omertà e di amicizie interessate che prospera nel sottobosco umano dell’Isola e ne corrode come una cancrena la vita. Accanto al personaggio di Bellodi spicca, per netta contrapposizione, la torbida figura di don Mariano Arena, mandante di parecchi omicidi ed esponente tipico del mondo mafioso, secondo il quale gli esseri umani si possono classificare in cinque categorie: <<gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, (con rispetto parlando) cornuti e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini, i mezz’uomini pochi, l’umanità scende ancora più giù agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù i cornuti, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre>>.
All’apertura del romanzo, sono rappresentati con parole precise e con dialoghi di grande efficacia un’esecuzione mafiosa e il silenzio pieno di terrore dei presenti, i quali si dileguano in un baleno nelle stradine vicine al luogo del delitto, per evitare di essere interrogati.
L’omertà copre tutto e tutti, e Sciascia in conclusione ci presenta una situazione che può apparire addirittura umoristica, ma è fortemente indicativa del costume e della mentalità di tanta gente di Sicilia. L’omertà, però, non è una caratteristica esclusiva della mafia siciliana e della criminalità organizzata, bensì è presente un po’ dappertutto nella società contemporanea. Tante volte, infatti, i cittadini che sono stati spettatori di un episodio di violenza preferiscono tacere per non avere noie con la legge, considerata purtroppo estranea alla loro sfera morale e civile.
FORSE HANNO SPARATO? Da Il giorno della civetta, capitolo 1
L’omicidio dell’impredintore edile Salvatore Colasberna avviene all’alba, sulla piazza, del paese, sotto gli occhi dei passeggeri che affollano l’autobus in partenza: ma nessuno dichiara di aver visto o udito nulla. I potenziali testimoni diventano insensibili come statue, non appena sentono risuonare gli spari, e alla vista dei carabinieri e allontanano facendo finta di nulla. Gli inquirenti devono così scontrarsi con il più totale silenzio (la tipica omertà) che circonda i delitti di mafia. Questo atteggiamento di paura e di forzata impassibilità raggiunge il culmine, allorché il panellaro (venditore di frittelle), presente all’omicidio ma rapidamente dileguandosi, chiede con ingenuità al maresciallo che lo sta interrogando: Perché… hanno sparato?
Gli spari, l’omicidio, il letargo dei viaggiatori, la fuga, il vano tentativo del maresciallo di sapere qualcosa: tutti questi elementi appaiono, in certo modo, inevitabili, quasi luoghi comuni nel quadro di una realtà tragica e immutabile come quella siciliana descritta. La faccia di un uomo sorpreso nel sonno più innocente diviene il simbolo di un modo di essere, di pensare, di agire, profondamente radicato nella società dell’isola: una società soffocata dall’indifferenza, dall’abitudine a chiudere gli occhi di fronte a quanto accade, dalla diffidenza verso la legge. Lo scrittore adempie il suo compito civile raffigurando questo mondo e, insieme, denunciandolo. L’episodio mostra bene la coesistenza, nelle opere di Sciascia, di due dimensioni:
1. La dimensione del saggio, del documento di costume, dello studio di vita sociale. Il linguaggio si presenta privo di enfasi, anzi volutamente cronastico e perciò volto ai particolari apparentemente insignificanti (il grido del venditore di frittelle; il bigliettaio che bestemmia ecc.) Lo stile scarno non è privo però di studio formale, come dimostrano le similitudini e le metafore (muovendosi come un granchio; facce…. Dissepolte da un silenzio di secoli ecc.) oppure il chiasmo quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus. Nel linguaggio compare anche una coloritura dialettale (Matrice, panelle, la stimavano), primo indizio dell’ambientazione siciliana della vicenda.
Forme ironiche:
1. Nell’immagine dell’autista tutto spremuto nello sforzo di ricordare;
2. O nell’allusione nelle scuola patrie (non lo danno al primo venuto, il diploma di ragioniere).
Riassunto:
Pubblicato nel 1961, Il giorno della civetta ricorre alla forma del romanzo poliziesco per investigare su un piano sociologico il fenomeno della mafia. In una cittadina della Sicilia giunge il capitano dei carabinieri Bellodi, originario di Parma, per indagare sull’omicidio di Salvatore Colasberna: costui era socio di un’attiva società edilizia e si scoprirà più tardi, aveva rifiutato la protezione della mafia. Le indagini del continentale Bellodi, come viene chiamato dai locali, Intralciate dall’omertà e dalla diffidenza degli abitanti, seguono la pista della convivenza tra mafia e potere politico. Bellodi è un uomo coraggioso, che ha scelto di servire lo stato, di mangiare il pane del governo animato da profonde convinzioni democratiche e da un alto senso della giustizia, in base ai quali non si devono mai accettare compromessi o connivenze (il personaggio fu ispirato all’autore da un amico, Renato Candida, comandante dei carabinieri di Agrigento e autore di un libro sulla mafia).
L’indagine del capitano è seguita con fastidio e preoccupazione a Roma, nei palazzi del potere. La catena degli omicidi, intanto si allunga: muore un potatore, Nicolosi, ed è ucciso un confidente della polizia. Quest’ultimo, però, fa a tempo a denunciare a Bellodi alcuni mafiosi. Con pazienza il capitano riesce a ricostruire la meccanica del delitto, a scoprire esecutori e mandanti, ad arrivare fino al capomafia, don Mariano il padrino, da tutti rispettato come persona pulita e prudente. Il processo è imminente, il potere politico non sembra poter più soffocare i risultati dell’indagine. Bellodi commette però, per ingenuità, un errore: prende un breve congedo per tornare a Parma, dalla famiglia. Qui apprende dai giornali che la sua indagine è stata smontata da un alibi di ferro tardivamente esibito dal principale indiziato. Tutto pare sprofondare di nuovo nell’omertà e nella paura, ma Bellodi decide di ritornare nell’isola, per far conoscere la verità.
Il giorno della civetta fu la prima esemplificazione narrativa del problema della mafia così dichiarò l’autore, sottolineando, a ragione, che la sua opera veniva a colmare un vuoto della produzione letteraria italiana. Implicitamente, Sciascia esprimeva così quella fiducia nella letteratura come strumento di conoscenza che gli ispirerà, anni dopo , questa affermazione: Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende.
Analisi del testo
Il giorno della civetta (portato nel 1968 sugli schermi cinematografici dal regista Damiano Damiani) è un lungo avvincente racconto di un delitto mafioso in Sicilia e delle indagini che conduce, in una sorta di braccio di ferro tra organi di polizia e associazione mafiosa, il capitano dei carabinieri Bellodi, settentrionale ed ex partigiano, il quale non vuole arrendersi all’evidenza di strutture sociali tanto diverse da quelle che egli conosce o si propone come modello. Vi è un aperto scontro, con la realistica vittoria finale di tutto ciò che è male per la convivenza civile, tra le oneste convinzioni, le buone intenzioni e le illusioni del giovane ufficiale e lo stato di omertà e di amicizie interessate che prospera nel sottobosco umano dell’Isola e ne corrode come una cancrena la vita. Accanto al personaggio di Bellodi spicca, per netta contrapposizione, la torbida figura di don Mariano Arena, mandante di parecchi omicidi ed esponente tipico del mondo mafioso, secondo il quale gli esseri umani si possono classificare in cinque categorie: <<gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, (con rispetto parlando) cornuti e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini, i mezz’uomini pochi, l’umanità scende ancora più giù agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù i cornuti, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre>>.
All’apertura del romanzo, sono rappresentati con parole precise e con dialoghi di grande efficacia un’esecuzione mafiosa e il silenzio pieno di terrore dei presenti, i quali si dileguano in un baleno nelle stradine vicine al luogo del delitto, per evitare di essere interrogati.
L’omertà copre tutto e tutti, e Sciascia in conclusione ci presenta una situazione che può apparire addirittura umoristica, ma è fortemente indicativa del costume e della mentalità di tanta gente di Sicilia. L’omertà, però, non è una caratteristica esclusiva della mafia siciliana e della criminalità organizzata, bensì è presente un po’ dappertutto nella società contemporanea. Tante volte, infatti, i cittadini che sono stati spettatori di un episodio di violenza preferiscono tacere per non avere noie con la legge, considerata purtroppo estranea alla loro sfera morale e civile.
FORSE HANNO SPARATO? Da Il giorno della civetta, capitolo 1
L’omicidio dell’impredintore edile Salvatore Colasberna avviene all’alba, sulla piazza, del paese, sotto gli occhi dei passeggeri che affollano l’autobus in partenza: ma nessuno dichiara di aver visto o udito nulla. I potenziali testimoni diventano insensibili come statue, non appena sentono risuonare gli spari, e alla vista dei carabinieri e allontanano facendo finta di nulla. Gli inquirenti devono così scontrarsi con il più totale silenzio (la tipica omertà) che circonda i delitti di mafia. Questo atteggiamento di paura e di forzata impassibilità raggiunge il culmine, allorché il panellaro (venditore di frittelle), presente all’omicidio ma rapidamente dileguandosi, chiede con ingenuità al maresciallo che lo sta interrogando: Perché… hanno sparato?
Gli spari, l’omicidio, il letargo dei viaggiatori, la fuga, il vano tentativo del maresciallo di sapere qualcosa: tutti questi elementi appaiono, in certo modo, inevitabili, quasi luoghi comuni nel quadro di una realtà tragica e immutabile come quella siciliana descritta. La faccia di un uomo sorpreso nel sonno più innocente diviene il simbolo di un modo di essere, di pensare, di agire, profondamente radicato nella società dell’isola: una società soffocata dall’indifferenza, dall’abitudine a chiudere gli occhi di fronte a quanto accade, dalla diffidenza verso la legge. Lo scrittore adempie il suo compito civile raffigurando questo mondo e, insieme, denunciandolo. L’episodio mostra bene la coesistenza, nelle opere di Sciascia, di due dimensioni:
1. La dimensione del saggio, del documento di costume, dello studio di vita sociale. Il linguaggio si presenta privo di enfasi, anzi volutamente cronastico e perciò volto ai particolari apparentemente insignificanti (il grido del venditore di frittelle; il bigliettaio che bestemmia ecc.) Lo stile scarno non è privo però di studio formale, come dimostrano le similitudini e le metafore (muovendosi come un granchio; facce…. Dissepolte da un silenzio di secoli ecc.) oppure il chiasmo quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus. Nel linguaggio compare anche una coloritura dialettale (Matrice, panelle, la stimavano), primo indizio dell’ambientazione siciliana della vicenda.
Forme ironiche:
1. Nell’immagine dell’autista tutto spremuto nello sforzo di ricordare;
2. O nell’allusione nelle scuola patrie (non lo danno al primo venuto, il diploma di ragioniere).