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Riassunto: La Crisi del '29

negli Stati Uniti
Riassunto:

All’inizio degli anni Venti, mentre l’Europa era alle prese con l’inflazione e con gravi problemi politici e sociali, gli Stati Uniti si andavano affermando come Stato guida del mondo capitalistico in sostituzione della Gran Bretagna. Il presidente democratico Woodrow Wilson tentò di consolidare questo ruolo attraverso una politica di difesa della libertà, della democrazia e dell’autonomia di tutti i popoli contro i nazionalismi europei (Quattordici punti), ma non ottenne in patria i consensi sperati. Alle elezioni del 1920, le prime in cui le donne ottennero il diritto di voto, prevalse, infatti, la linea conservatrice del Partito repubblicano e venne eletto presidente Warren Harding.
Il nuovo governo adottò una politica isolazionista, basata sulla non ingerenza nei complicati affari europei; gli Stati Uniti non parteciparono alla Società delle Nazioni. All’isolazionismo politico si accompagnò un isolazionismo economico, volto a difendere i prodotti nazionali con misure protezionistiche. Questo indirizzò portò a una serie di provvedimenti contro l’immigrazione straniera e a un clima di ostilità verso gli immigrati, che raggiunse punte di estrema violenza xenofoba e razzista (Ku Klux Klan). Nel 1919 poi fu emanata la legge sul proibizionismo (abrogata nel 1933), che vietava la produzione e la vendita di alcolici e che finì invece per favorirne il traffico illegale. La politica conservatrice di Harding fu proseguita dal suo successore, il repubblicano Calvin Coolidge, il quale favorì le esportazioni verso l’Europa per soddisfare il mondo industriale statunitense, che chiedeva la ripresa dell’economia e l’apertura di nuovi mercati in cui smerciare la sovrapproduzione. Sempre per dare vigore all’economia e al contempo far sì che l’Europa fosse in grado di pagare i debiti di guerra, Coolidge predispose un sistema di aiuti finanziari ai Paesi vinti ( piano Dawes, 1924). I fondi americani riuscirono di fatto a rivitalizzare l’economia dell’Europa, che poté restituire agli Stati Uniti i prestiti bellici. I capitali così ottenuti vennero reinvestiti nel vecchio continente, favorendo un vero e proprio boom economico (1925-1926). Gli anni Venti furono definiti gli anni ruggenti, in cui nasceva l’American way of life (il modo di vita americano), caratterizzato da larghi consumi, ma anche dalla ricerca di svaghi e divertimenti per il tempo libero. Queste novità riguardarono però prevalentemente la popolazione bianca e anglosassone, permanendo nel Paese una profonda intolleranza e un radicato razzismo nei confronti delle minoranze e della popolazione nera.
Il benessere crescente, la speculazione, i facili guadagni, l’incontrollata produzione industriale e agricola crearono negli Stati Uniti una crisi di sovrapproduzione. Il mercato internazionale, divenuto a poco a poco stagnante, si trovò nell’impossibilità di assorbire le eccedenze produttive e ciò determinò una crisi gravissima, con una serie di conseguenze a catena. La Borsa di Wall Street crollò (ottobre 1929), le fabbriche chiusero e le banche fallirono; la produzione industriale calò vertiginosamente, mentre crebbero disoccupazione e povertà. La crisi degli Stati Uniti si propagò in tutto il mondo, soprattutto in Europa, dove il ritiro dei capitali americani e l’arrivo sui mercati di prodotti a prezzi bassissimo provocarono l’arresto della produzione.
A risolvere la crisi americana fu il presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (eletto nel 1932), a segnare il passaggio da un’economia libera a un’economia guidata (limiti alla crescita produttiva e controllo della libertà d’iniziativa privata), prevedendo un più incisivo intervento dello Stato. Per favorire l’incremento degli investimenti e dei consumi, Roosevelt adottò sul piano monetario un sistema di inflazione controllata (svalutando il dollaro per rialzare i prezzi, immettendo cartamoneta, controllando banche e Borse). Sul piano sociale difese i salari minimi, i contratti di lavoro, la riduzione dell’orario. Realizzò lavori pubblici per combattere la disoccupazione e concesse aiuti alle aziende in crisi per favorire la ripresa dell’industria, anche a costo di aumentare il deficit dello Stato. Per ottenere le risorse necessarie ad attuare queste misure. Roosevelt applicò una rigida politica fiscale verso i ceti più abbienti e ciò determinò l’opposizione del grande capitale e delle classi privilegiate alla sua linea di governo. La seconda presidenza Roosvelt (1936) confermò il pieno consenso delle masse popolari e delle organizzazioni sindacali alla sua politica, basata sulle teorie dell’economista inglese Keynes, assertore del necessario controllo dello Stato sull’attività produttiva e monetaria.

Il primato economico degli Usa alla fine degli anni Venti
Mentre l’Europa, e in particolare la Germania, all’inizio degli anni Venti sono alle prese con il fenomeno dell’inflazione e con gravi problemi politici e sociali, gli Stati Uniti sono ormai divenuti protagonisti nel contesto internazionale. La capacità produttiva e finanziaria del Paese, il cui apparato industriale è divenuto dal punto di vista tecnologico il più avanzato del mondo, va sempre aumentando, facendo degli Usa lo Stato guida del mondo capitalistico in sostituzione della Gran Bretagna, che ha ricoperto questo ruolo per buona parte del XIX secolo.

Il crack del ‘29
L’ottimismo degli Americani si rivela però esagerato: la crescita economica è fondata infatti su basi ancora fragili. Nell’ottobre del 1929 il calo dei prezzi dovuto alla sovrapproduzione fa crollare la Borsa di Wall Street, mostrando che gli alti ricavi azionistici delle imprese sono stati in gran parte frutto di speculazioni finanziarie. L’ondata di disoccupazione che ne segue posta ancora di più l’economia americana e ha effetti pesanti su tutti i Paesi che hanno rapporti commerciali e finanziari con l’America. In Europa i valori della libertà economica e politica appaiono inadeguati a garantire lo sviluppo, e le difficoltà economiche di tutta la società aumentano il fascino dei regimi totalitari, apparentemente immuni dalle crisi.

Roosevelt e il New Deal
Gli Stati Uniti riescono a risollevare la testa e a mantenere salde le libertà democratiche grazie a Franklin Delano Roosevelt, eletto presidente nel 1932. I suoi provvedimenti, che cercano di creare un’economia guidata dall’intervento statale e dalla redistribuzione dei redditi, appaiono oggi assai meno incisivi di quanto sembrassero allora, anche perché il Congresso non ne aveva permesso la piena applicazione. La vera arma con cui Roosevelt contribuisce a combattere la crisi è però un’altra: con il suo stile informale e una forza d’animo che lo ha portato a superare pregiudizi assai diffusi e a essere il primo capo di Stato disabile dei tempi moderni, il nuovo presidente infonde ottimismo in tutta la popolazione; per ottenere tali risultati utilizza con profitto proprio quei mezzi di comunicazione di massa, come la radio, che oltreoceano stanno decretando la fortuna di dittatori come Hitler e Mussolini.

Situazione generale
Fino alla crisi del ’29 gli Stati Uniti sono uno dei Paesi più economicamente progrediti a livello mondiale. La grande e ininterrotta crescita economica, cominciata al’inizio del secolo, provoca una massiccia circolazione di capitali, da cui traggono benefici anche le altre nazioni industrializzate.
Il primato statunitense determina una situazione di stretta interdipendenza fra le economie dei diversi Paesi occidentali. Perciò la crisi si propaga rapidamente dagli Usa all’Europa, partendo dalla Germania per arrivare in Gran Bretagna e in Francia. In un secondo tempo la crisi raggiunge anche i Paesi del Commonwealth britannico, assumendo dunque dimensioni mondiali.
La Germania, strettamente legata agli Stati Uniti a causa dei consistenti aiuti derivanti dal piano di ricostruzione Dawes, è uno dei Paesi che subiscono maggiormente il contraccolpo della crisi del ’29.
Anche l’Italia risente della crisi, in particolare per quanto riguarda il settore agricolo.



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