di Italo Calvino
Riassunto:
La narrazione è condotta dal vecchio Qfwfq, è lui a offrire al lettore i propri ricordi, allorché viveva in un epoca primordiale e lontanissima, prima che il Big Bang portasse l’universo ad avere una prima forma. A quell’epoca tutta la materia era concentrata in un punto: è il nucleo di partenza del brano.
Per spiegare il concetto dell’inesistenza dello spazio, Calvino tramite Qfwfq non utilizza complesse argomentazioni fisico-scientifiche; racconta la vita quotidiana in quella lontana situazione. Per esempio l’idea della concentrazione della materia è ridotta al problema quotidiano dell’eccessivo affollamento in poco spazio; quasi che il cosmo fosse ridotto a un condominio stretto e soffocante.
Il tono generale è ironico, è buffo per il bilanciamento dei pro e contro.
L’attenzione di Calvino per la scienza, e per i suoi sviluppi letterari, risale quantomeno agli anni sessanta. Nel 1962 lo scrittore pubblicò sulla rivista Il Menabo un saggio molto importante, Sfida al labirintp, nel quale introduceva la metafora, cara allo scrittore argentino Jorge Luis Bourges, del labirinto: un guazzabuglio di linee, forme, tendenze, in apparenza caotico, ma in realtà costruito secondo regole rigorose. Il compito della letteratura è, scrive Calvino, quello di tracciare la mappa, per poter interpretare il labirinto della realtà contemporanea e, quindi, padroneggiarlo. Tale sfida al labirinto presuppone dunque per la letteratura un compito di conoscenza: una conoscenza senza illusioni, nutrita di dubbi e d’indeterminatezza, ma anche di quell’ostinazione che è tipica della scienza contemporanea, ormai lontana dalle acritiche certezze del positivismo e che sa ragionare per approssimazione graduali.
Proprio la tensione conoscitiva è ciò che avvicina, secondo Calvino, la letteratura alla scienza: due campi del sapere solo in apparenza lontani, in realtà accomunati dal problema di fondo, che rimane sempre quello della possibilità o impossibilità di conoscere il mondo. Quale modello di letterature scienziato Calvino addita Galileo, ammirato per il rigore del suo linguaggio e anche per la capacità di costruire con la sua immaginazione ci conferma che per Calvino la letteratura non è in posizione di subordine, rispetto alla scienza; anzi può forse offrirle strumenti nuovi e sorprendenti, grazie ai nuovi punti di vista della fantasia di cui la letteratura stessa si nutre.
Nacque su queste basi il progetto cosmi comico di Calvino: un’impresa che lo tenne occupato per quasi 20 anni, tra il 1965, anno di pubblicazione dei primi racconti delle Cosmicomiche, e il 1984, anno in cui uscì il volume complessivo Cosmicomiche vecchie e nuove; in esso rifluirono altri racconti cosmicomici precedentemente stampati in Ti con zero (1967) e nella Memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (1968).
Il libro più importante fu il primo, quello del 1965. Esso si compone in tutto di dodici racconti: la distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in un punto, Senza colori, Giochi senza fine, Lo zio acquatico, Quanto scommettiamo, I Dinosauri, La forma dello spazio, Gli anni-luce, La spirale, i primi quattro erano già stati pubblicati nella rivista Il caffè del novembre 1964.
Ciascun racconto comincia con un’asserzione di tipo scientifico, concernente per esempio l’allontanamento della Luna dalla Terra, oppure il tempo impiegato dal Sole per compiere una rivoluzione completa, o ancora l’assenza dei colori prima che si formasse l’atmosfera terrestre. Sono spunti che accendono l’immaginazione dello scrittore, dando vita a narrazioni che paiono fantascientifiche e non lo sono, perché invece di lanciare lo sguardo verso un futuro sconosciuto, ritornano su un passato ancestrale, quando non esisteva né l’uomo né il suo mondo e quando non era ancora possibile distinguere tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Sono narrazioni spesso buffe e paradossali, nelle quali atomi, cellule primordiali, dinosauri e batteri dialogano tra loro, quasi fossero personaggi qualsiasi di normali racconti. L’ambientazione è davvero cosmica: lo sfondo di galassie, nebulose e cataclismi geologici, su cui viene proiettata la vita alle origini dell’universo, è una cornice grandiosa, fuori del tempo. Essa eprò viene sapientemente a mescolarsi con situazioni di ordinaria quotidianità: si genera da qui l’effetto cosmico sottolineato, per contrasto, nel titolo dell’opera.
Protagonista delle Cosmicomiche è Qfwfq: un essere indefinito, un organismo primordiale dal nome impronunciabile, bizzarra e vecchissima creatura, che esiste, dice, da quando ha cominciato a sussistere l’universo e il genere umano. Non c’è evento, per quanto remoto nel tempo e nello spazio del quale Qfwfq non si dichiari testimone oculare e spesso parte in causa: tutto quanto vive e pulsa nell’universo viene da lui presentato come qualcosa che ha incontrato o vissuto nella sua infanzia o giovinezza. Scrive di Qfwfq Calvino nel risolto di copertina: Non è nemmeno detto che sia un uomo: probabilmente possiamo considerarlo tale dal momento in cui il genere umano comincia ad esserci… non è nemmeno un personaggio, Qfwfq, è più che altro una voce, un punto di vista, un occhio umano proiettato sulla realtà d’un mondo che pare sempre più refrattario alla parola e all’immagine.
Qfwfq riassume in sé il significato complessivo del libro, che vuole mostrare con la leggerezza dell’ironia e il rigore degli enunciati scientifici, la piccolezza degli uomini, rispetto all’infinitamente grande che la scienza ci spalanca. Io credo (Calvino) che il mondo esiste indipendentemente dall’uomo; il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e parole accenti in cui riconosciamo il pessimismo del Leopardi delle Operette morali, ma anche il suo desiderio, malgrado tutto, di non arrendersi al mistero, e di utilizzare la ragione e l’immaginazione come estreme armi di difesa e di ricerca.
Riassunto:
La narrazione è condotta dal vecchio Qfwfq, è lui a offrire al lettore i propri ricordi, allorché viveva in un epoca primordiale e lontanissima, prima che il Big Bang portasse l’universo ad avere una prima forma. A quell’epoca tutta la materia era concentrata in un punto: è il nucleo di partenza del brano.
Per spiegare il concetto dell’inesistenza dello spazio, Calvino tramite Qfwfq non utilizza complesse argomentazioni fisico-scientifiche; racconta la vita quotidiana in quella lontana situazione. Per esempio l’idea della concentrazione della materia è ridotta al problema quotidiano dell’eccessivo affollamento in poco spazio; quasi che il cosmo fosse ridotto a un condominio stretto e soffocante.
Il tono generale è ironico, è buffo per il bilanciamento dei pro e contro.
L’attenzione di Calvino per la scienza, e per i suoi sviluppi letterari, risale quantomeno agli anni sessanta. Nel 1962 lo scrittore pubblicò sulla rivista Il Menabo un saggio molto importante, Sfida al labirintp, nel quale introduceva la metafora, cara allo scrittore argentino Jorge Luis Bourges, del labirinto: un guazzabuglio di linee, forme, tendenze, in apparenza caotico, ma in realtà costruito secondo regole rigorose. Il compito della letteratura è, scrive Calvino, quello di tracciare la mappa, per poter interpretare il labirinto della realtà contemporanea e, quindi, padroneggiarlo. Tale sfida al labirinto presuppone dunque per la letteratura un compito di conoscenza: una conoscenza senza illusioni, nutrita di dubbi e d’indeterminatezza, ma anche di quell’ostinazione che è tipica della scienza contemporanea, ormai lontana dalle acritiche certezze del positivismo e che sa ragionare per approssimazione graduali.
Proprio la tensione conoscitiva è ciò che avvicina, secondo Calvino, la letteratura alla scienza: due campi del sapere solo in apparenza lontani, in realtà accomunati dal problema di fondo, che rimane sempre quello della possibilità o impossibilità di conoscere il mondo. Quale modello di letterature scienziato Calvino addita Galileo, ammirato per il rigore del suo linguaggio e anche per la capacità di costruire con la sua immaginazione ci conferma che per Calvino la letteratura non è in posizione di subordine, rispetto alla scienza; anzi può forse offrirle strumenti nuovi e sorprendenti, grazie ai nuovi punti di vista della fantasia di cui la letteratura stessa si nutre.
Nacque su queste basi il progetto cosmi comico di Calvino: un’impresa che lo tenne occupato per quasi 20 anni, tra il 1965, anno di pubblicazione dei primi racconti delle Cosmicomiche, e il 1984, anno in cui uscì il volume complessivo Cosmicomiche vecchie e nuove; in esso rifluirono altri racconti cosmicomici precedentemente stampati in Ti con zero (1967) e nella Memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (1968).
Il libro più importante fu il primo, quello del 1965. Esso si compone in tutto di dodici racconti: la distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in un punto, Senza colori, Giochi senza fine, Lo zio acquatico, Quanto scommettiamo, I Dinosauri, La forma dello spazio, Gli anni-luce, La spirale, i primi quattro erano già stati pubblicati nella rivista Il caffè del novembre 1964.
Ciascun racconto comincia con un’asserzione di tipo scientifico, concernente per esempio l’allontanamento della Luna dalla Terra, oppure il tempo impiegato dal Sole per compiere una rivoluzione completa, o ancora l’assenza dei colori prima che si formasse l’atmosfera terrestre. Sono spunti che accendono l’immaginazione dello scrittore, dando vita a narrazioni che paiono fantascientifiche e non lo sono, perché invece di lanciare lo sguardo verso un futuro sconosciuto, ritornano su un passato ancestrale, quando non esisteva né l’uomo né il suo mondo e quando non era ancora possibile distinguere tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Sono narrazioni spesso buffe e paradossali, nelle quali atomi, cellule primordiali, dinosauri e batteri dialogano tra loro, quasi fossero personaggi qualsiasi di normali racconti. L’ambientazione è davvero cosmica: lo sfondo di galassie, nebulose e cataclismi geologici, su cui viene proiettata la vita alle origini dell’universo, è una cornice grandiosa, fuori del tempo. Essa eprò viene sapientemente a mescolarsi con situazioni di ordinaria quotidianità: si genera da qui l’effetto cosmico sottolineato, per contrasto, nel titolo dell’opera.
Protagonista delle Cosmicomiche è Qfwfq: un essere indefinito, un organismo primordiale dal nome impronunciabile, bizzarra e vecchissima creatura, che esiste, dice, da quando ha cominciato a sussistere l’universo e il genere umano. Non c’è evento, per quanto remoto nel tempo e nello spazio del quale Qfwfq non si dichiari testimone oculare e spesso parte in causa: tutto quanto vive e pulsa nell’universo viene da lui presentato come qualcosa che ha incontrato o vissuto nella sua infanzia o giovinezza. Scrive di Qfwfq Calvino nel risolto di copertina: Non è nemmeno detto che sia un uomo: probabilmente possiamo considerarlo tale dal momento in cui il genere umano comincia ad esserci… non è nemmeno un personaggio, Qfwfq, è più che altro una voce, un punto di vista, un occhio umano proiettato sulla realtà d’un mondo che pare sempre più refrattario alla parola e all’immagine.
Qfwfq riassume in sé il significato complessivo del libro, che vuole mostrare con la leggerezza dell’ironia e il rigore degli enunciati scientifici, la piccolezza degli uomini, rispetto all’infinitamente grande che la scienza ci spalanca. Io credo (Calvino) che il mondo esiste indipendentemente dall’uomo; il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e parole accenti in cui riconosciamo il pessimismo del Leopardi delle Operette morali, ma anche il suo desiderio, malgrado tutto, di non arrendersi al mistero, e di utilizzare la ragione e l’immaginazione come estreme armi di difesa e di ricerca.