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La quiete dopo la tempesta, Leopardi: parafrasi, analisi, commento

Tutte le informazioni sulla poesia La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi: testo, parafrasi, analisi del testo, figure retoriche e commento.
Quiete

La quiete dopo la tempesta è una poesia di Giacomo Leopardi scritta nel 1829 e pubblicata per la prima volta nell'edizione Canti del 1831. In questa poesia si passa dallo stato di gioia per la fine della tempesta a uno stato di contempleazione della vita in cui ci si rende conto che la gioia è solo una condizione temporanea tra un dolore termine e un dolore che sta per arrivare.





La quiete dopo la tempesta: scheda poesia

Titolo La quiete dopo la tempesta
Autore Giacomo Leopardi
Genere Poesia onesta
Raccolta Canti
Corrente letteraria Romanticismo
Data 1831
Temi trattati La cessazione temporanea del dolore come unica gioia della vita
Frase celebre «Passata è la tempesta: odo augelli far festa»




Testo

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.



Parafrasi

La tempesta è passata, sento gli uccelli cantare per festa, e la gallina, tornata sulla strada che ripete il suo verso. Ed ecco che il sereno rompe le nuvole là da occidente, verso la montagna; la campagna si libera dalle nubi e verso la valle appare chiaro e ben distinto il fiume. Ogni animo si rallegra, da ogni parte riprendono i consueti rumori e riprende il lavoro. L'artigiano, con il lavoro in mano, si avvicina cantando verso l'uscio a guardare il cielo umido; esce fuori la giovane ragazza per vedere se sia possibile raccogliere l'acqua della pioggia da poco caduta; e l'ortolano ripete per il sentiero il risaputo richiamo giornaliero. Ecco che ritorna nel cielo il sole, eccolo che sorride per i poggi e per i casolari. La servitù apre le finestre, apre le porte dei terrazzi e delle logge: e dalla strada principale si sente un tintinnio di sonagli; il carro del viandante che riprende il suo viaggio stride.
Ogni cuore si rallegra. Quando la vita è così dolce e così gradita come ora? Quando l'uomo si dedica con così tanto amore alle proprie occupazioni come in questo momento? O torna al lavoro? O intraprende una nuova attività? Quando si ricorda un po' di meno dei suoi mali? Il piacere è figlio del dolore, è solo una gioia vana (un illusione), frutto del timore ormai passato, è frutto di quella paura che scosse chi odiava la vita ed ebbe terrore della morte; a causa della quale le persone fredde, silenziose, pallide sudarono ed ebbero il batticuore nel vedere fulmini, nuvole e vento diretti a colpirci.
O natura benevola, sono questi i tuoi doni, sono questi i piaceri che tu porgi ai mortali. Fra noi il piacere è uscire dalla paura, cessare di soffrire. Tu spargi in abbondanza dolore; il dolore nasce spontaneamente: e quel nostro piacere che ogni tanto per prodigio e per miracolo nasce dal dolore, è un gran guadagno. O genere umano caro agli dei! Puoi ritenerti molto felice se ti è concesso di tirare il respiro da qualche dolore: puoi ritenerti beato se la morte ti libera da ogni dolore.



Analisi del testo

Schema metrico: 3 strofe di lunghezza diversa (24, 17 e 13 versi) di endecasillabi e settenari disposti irregolarmente.
L'ultimo verso di ciascuna strofa è sempre in rima con uno dei versi precedenti. Il primo verso dell'ultima strofa rima col penultimo della precedente.

La lirica La quiete dopo la tempesta è stata scritta nel 1829, poco prima del Sabato del villaggio, del quale può essere considerata la poesia gemella per alcune somiglienza come l'ambiente (Recanati), le illusioni contenute nel testo (la gioia che è di breve durata) e per la presenza di un evento che spezza la monotonia del paese (la tempesta / domenica di festa). Entrambi i canti sono considerati dai critici la migliore espressione idillica del Leopardi.

In questa poesia il tema dominante è quello della tempesta (sia meteorologica sia interiore) che sconvolge un paese, ma che poi passa e tutti sono felici perché è passata senza portare guai. Anche qui abbiamo una parte descrittiva ambientale, infatti i primi versi offrono un'illustrazione del paesaggio scegliendo qualche personaggio esemplare: tornano gli uccelli a pigolare, la gallina sulla via, il sereno riappare da ovest, la campagna torna ad essere visibile e si può vedere chiaramente, in fondo alla valle, il fiume. Ecco poi i personaggi chiave del risveglio: torna a rianimarsi il villaggio, si ritorna a compiere le abituali mansioni. L’artigiano si pone sulla porta del suo negozio per guardare il cielo ancora pieno di pioggia cantando con la sua opera in mano; tentennando viene fuori anche la ragazzina per raccogliere dell’acqua dalla pozzanghera; e il commerciante di erbe che rinnova il suo grido giornaliero.
Ritorna il sole (personificato) che sorride per le colline e le campagne. I maggiordomi (la famiglia) aprono le terrazze, le tende e dalle vie lontane si ode il tintinnio di sonagli; il carro del passeggero che riprende il suo cammino stride.

Da questa poesia emergono numerose domande:
Quando la vita si rallegra come ora?
Quando con tanta passione l'uomo si impegna nel suo lavoro o attività?
Quando si dimentica dei suoi mali?
E la risposta è solamente una: "solo dopo che è passata la tempesta". Infatti, secondo Leopardi, il piacere nasce dell'affanno e dal dolore.

Nell'ultima strofa il poeta si rivolge alla natura dicendole che è piacevole che ci porti di tanto in tanto un momento di paura (la tempesta) perché quando essa termina si può provare un po' di piacere, tra un dolore e l'altro. Finché non giunge la morte che guarisce definitivamente ogni dolore.

Quindi la prima strofa, caratterizzata da un clima sereno, viene stravolta dall'ironia presente nella terza strofa, in cui ritorna il tema del dolore e della morte (pessimismo cosmico). Cioè anche se l'autore scrive che è "piacevole" in realtà non la pensa in questo modo.

Da segnalare la presenza sia di termini aulici e letterari (augelli, romorio, fassi), sia di termini quotidiani (gallina, tempesta, artigiano); essi vengono anche accostati (v. 2, augelli-gallina), creando un contrasto di registro del tutto originale.

Inoltre, da segnalare anche che nella prima strofa i periodi sono semplici per esprimere una sensazione di allegria e dinamismo; invece, nella seconda strofa i periodi sono lunghi, complessi, invertiti, per mettere in risalto le aspre e drammatiche parole del verso finale e per trasmettere un maggiore senso di angoscia.



Figure retoriche

  • Anastrofe = "Passata è la tempesta" (v.1). Cioè: "la tempesta è passata".
  • Allitterazione della F = "far festa" (v.2).
  • Metafora = "il sereno rompe" (v.5). Cioè è il verbo "irrompere" e non "rompere".
  • Iperbato = "e chiaro nella valle il fiume appare" (v. 7).
  • Anadiplosi = "ogni ... ogni" (v.8).
  • Sineddoche = "ogni cor" (v.8). La parte per il tutto, ovvero "cor", che sta per cuore, anziché uomo.
  • Allitterazione della R = "risorge il romorio torna il lavoro" (vv. 9-10). Indicano i rumori prodotto da attività umane.
  • Anadiplosi = "ecco ... ecco" (v.19).
  • Personificazione = "il Sol" (v. 19). Per la lettera iniziale maiuscola.
  • Personificazione = "sorride" (v.19). Il sole non sorride come le persone, semmai splende.
  • Anadiplosi = "apre ... apre" (vv. 20-21).
  • Allitterazione del gruppo GL = "famiglia" (v.21); "sonagli" (v.23); "ripiglia" (v.24). Per creare un suono dolce che rallegra.
  • Onomatopea = "tintinnio" (v.23). Per indicare il cigolio del carro.
  • Iperbato = "il carro stride / del passeggier" (vv. 23-24).
  • Anastrofe = "Si rallegra ogni core" (v.25). Cioè: "ogni core si rallegra".
  • Anafora = "quand'è ... quando ... quando" (v.27 - v.28 - v.31).
  • Anastrofe = "de’ mali suoi men si ricorda" (v. 31).
  • Epifonema e metafora = "piacer figlio d'affanno" (v.32). Cioè il piacere è un prodotto della paura, cioè esso c'è solo quando la paura cessa di esserci.
  • Climax ascendente = "fredde, tacite, smorte" (v.38).
  • Iperbato = "fredde, tacite, smorte / sudar le genti e palpitar" (vv. 38-39).
  • Climax discendente = "Folgori, nembi e vento" (v.41).
  • Antifrasi o ironia = "natura cortese" (v.42).
  • Apostrofe = "o natura cortese" (v.42).
  • Chiasmo = "son questi i doni tuoi, / questi i diletti sono" (vv. 43-44).
  • Antifrasi o ironia = "diletti" (v.44).
  • Anastrofe = "pene tu spargi" (v. 47). Cioè: "tu spargi pene".
  • Antifrasi o ironia = "Umana Prole cara agli eterni" (vv. 50-51).
  • Iperbato = "te d’ogni dolor morte risana" (v. 54).
  • Domanda retorica = "Sì dolce, sì gradita / quand’è, com’or, la vita?" (vv. 26-27); "Quando con tanto amore / l’uomo a’ suoi studi intende?" (vv. 28-29); "o torna all’opre? o cosa nova imprende?" (v. 30); "quando de’ mali suoi men si ricorda?" (v. 31).
  • Enjambement = "sereno / rompe" (vv. 4-5); "dell'acqua / della novella" (vv. 14-15); "lontano / tintinnio" (vv. 22-23); il carro stride / del passeggier (vv. 23-24); "frutto del passato" (vv. 33-34); "vedendo / mossi" (vv. 39-40); "Uscir di pena / è diletto" (vv. 45-46); "il duolo / spontaneo" (vv. 47-48); "umana / prole" (vv. 50-51); ""lice / d'alcun dolore (vv. 52-53).



Commento

Durante la stagione estiva possono capitare degli acquazzoni improvvisi che sconvolgono la serenità degli abitanti di un paese, ma quando esso finisce ecco che ritorna il clima sereno di prima: il paesaggio diventa nitido e luminoso così come lo sono i cuori della gente, che addirittura vivono un momento di gioia. La fine del brutto tempo viene vissuto come una festa dagli abitanti di Recanati e da questo cambiamento di umore il poeta ne trae riflessioni amare sulla vita.
In questo canto, descrizione e riflessione si fondono poeticamente. Se ci fosse solo la descrizione, la poesia si ridurrebbe a un suggestivo quadro del paese di Recanati che riprende il suo ritmo di vita dopo la furia del temporale; se ci fosse solo la parte riflessiva, il canto si ridurrebbe a una breve poesia di tono pessimistico.
Descrizione e riflessione unite insieme, invece, si completano e si esaltano a vicenda: infatti la descrizione dà spunto a riflessioni con punte di sarcasmo e di ironia. E appunto da questo contrasto scaturisce la bellezza poetica del canto.
Il piacere sembra essere solo una pausa dal dolore, e la gioia iniziale è oscurata dalla riflessione sulla durezza della vita umana. La "natura cortese" promette felicità, ma poi distribuisce sofferenze in grandi quantità. Questo destino infelice non è solo del poeta, ma comune a tutti gli uomini, la cui speranza sembra essere il temporaneo sollievo dalla sofferenza della vita, in attesa dell'unica vera liberazione dal dolore: la morte.



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