Queste novelle narrano di come, con una pronta ed arguta risposta, un uomo o una donna siano riusciti a togliersi d’impaccio o da una pericolosa situazione
INTRODUZIONE
Rientrata in casa, la compagnia si prepara a mangiare quando Licisca, serva di Filomena, e Tindare, servo di Filostrato cominciano a litigare poiché lei afferma che le donne non arrivano mai vergini al matrimonio. Allora Elissa, eletta regina per quel giorno, chiama Dioneo, affinché giudichi il fatto. Dioneo dà ragione a Licisca. Finita la discussione, Elissa invita Filomena ad iniziare.
PRIMA NOVELLA (FILOMENA)
Filomena intende dimostrare quanto le donne siano capaci di motti arguti, e come essi si addicano alla donna stessa, e a tal fine porta l’esempio di come una donna zittì un cavaliere incapace. Madonna Oretta era rispettata e conosciuta, e un giorno, viaggiando insieme con delle persone, ricevette da un cavaliere la proposta di salire sul suo cavallo ed essere da lui intrattenuta. Oretta salì allora sul cavallo, ma il cavaliere era incapace di raccontar le storie, e così, esasperata alla fine gli disse che il cavallo aveva un andamento troppo duro per lei e che quindi avrebbe preferito continuare a piedi.
SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)
Un giorno giunsero a Firenze degli ambasciatori inviati lì da papa Bonifacio. Essi erano ospiti di Geri Spina, marito di Oretta. Il gruppo, ogni giorno passava davanti al negozio del fornaio Cisti, il quale, pur facendo un lavoro umile, aveva potuto arricchirsi. Quest’ultimo aveva una riserva di vini bianchi, la migliore di Firenze, ed era desideroso di offrirne un po’ anche alla brigata che ogni giorno passava di lì. Tuttavia, a causa della sua umile posizione, non poteva invitarli, e così decise di tentarli, mettendosi per due mattine di seguito a gustare il suo vino davanti al locale. Il secondo giorno, Geri, chiese al fornaio di poter assaggiare un po’ del suo vino. Questo piacque talmente tanto agli ambasciatori, che tutte le mattine passarono da lui per berne. Un giorno, Geri decise di organizzare un banchetto in onore degli ambasciatori che stavano per ripartire, e per questo mandò un suo servo dal fornaio a prendere un po’ di quel vino. Il servo si presentò allora da Cisti con un recipiente talmente grande che quando il fornaio lo vide, ridendo, disse al ragazzo che certo il suo padrone non lo aveva mandato da lui. Riferito questo, Geri disse al servo di tornare dal fornaio e chiedergli a chi dunque lo aveva mandato, e Cisti rispose che sicuramente lo aveva mandato a prendere acqua nell’Arno. Geri comprese dunque che era a causa della grandezza eccessiva del fiasco e così, dopo aver rimproverato il servo lo inviò di nuovo dal fornaio, stavolta con un fiasco adeguato. Cisti allora glielo riempì senza problemi e il giorno stesso si recò da Geri per spiegare il suo comportamento.
TERZA NOVELLA (LAURETTA)
Viveva a Firenze il vescovo Antonio d’Orso, il quale aveva un fratello. Quest’ultimo aveva una nipote sposata ad un uomo cattivo ed avaro. Accadde che un giorno, venne a Firenze un maniscalco giovane e bello, che pagando al marito 500 fiorini falsi, potè giacere con la nipote del fratello del vescovo, il quale, venuto a conoscenza di ciò, finse di non saperne nulla. Il prelato un giorno, cavalcando col maniscalco, incontrò Madonna de’Pulci alla quale domandò se avesse voluto trascorrere la notte con quel bel giovine accanto a lui; a questa domanda essa rispose che molto volentieri l’avrebbe fatto se fosse poi stata sicura di venir ricompensata con monete vere.
QUARTA NOVELLA (NEIFILE)
Viveva a Firenze Currado Gianfigliazzi, un gran signore, ricco e amante della caccia. Avendo un giorno catturato una bella gru, la diede al suo cuoco, Chichibio. Mentre la gru coceva sullo spiedo si spanse tutt’intorno un profumo di arrosto che attirò una servetta del rione di cui Chichibio era invaghito. Questa allora chiese a Chichibio una coscia del volatile ma Chichibio le rispose che non poteva regalargliela. Quella allora lo minacciò sul piano affettivo e al cuoco non rimase che accontentarla. Quella sera si tenne una bella cena con degli ospiti, e Currado, vedendo che alla gru mancava una coscia, chiese spiegazioni, al che il cuoco per difendersi disse che le gru avevano una sola gamba, non due. Allora Currado decise di sfidare il cuoco a dimostrargli, all’alba del giorno seguente, la veridicità delle sue parole. Così al mattino si recarono al lago dove le gru riposavano poggiate su una sola zampa. Proprio mentre Chichibio cominciava a credersi salvo Currado lanciò un forte grido a causa del quale tutte le gru presero il volo mostrando così entrambe le zampe. Al che il cuoco rispose al suo padrone che, se avesse lanciato un urlo simile la sera prima, anche quella gru avrebbe mostrato entrambe le zampe. Currado sorpreso e divertito di quella battuta decise allora di perdonare il cuoco.
QUINTA NOVELLA (PANFILO)
A Firenze avevano vissuto due uomini, capacissimi nella loro arte, ma di aspetto quasi turpe: Giotto, e Forese da Rabatta: il primo il più grande dei pittori, il secondo grande conoscitore della giurisprudenza. Accadde un giorno che di ritorno dal Suggello si ritrovassero a fare la strada insieme, ma ben presto un grande acquazzone li colpì e furono costretti a rifugiarsi presso dei conoscenti. Quando la pioggia si fu placata, allora insieme ripresero il cammino, discutendo amichevolmente. Mentre ancora parlavano, Forese disse che chi non avesse conosciuto Giotto di persona e le sue opere, avrebbe con difficoltà creduto che fosse il più grande dei pittori. A ciò Giotto, a sua volta, rispose che chiunque non avesse conosciuto di persona Forese avrebbe di certo dubitato che fosse così dotto.
SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)
Viveva tempo fa a Firenze un certo Michele Scalza, un giovane molto spiritoso che un giorno si trovò con un'allegra brigata sulla collinetta di Montughi. Tra i giovani nacque una discussione su quale fosse la famiglia più antica di Firenze. Allora lo Scalza, affermò che secondo lui gli uomini più antichi del mondo erano quelli del casato dei Baronci. Come risposta vi fu una risata generale, ma lo Scalza insistette e disse che si sarebbe rimesso ad un giudice, e che se avesse perso, avrebbe pagato la cena a tutti. Un certo Neri Mannini accettò la sfida e, scelse come arbitro il padrone di casa Piero di Fiorentino. Il giudice ascoltò prima le ragioni del Neri e poi dette la parola allo Scalza. Lo Scalza difese la sua posizione affermando che Dio, quando ancora non aveva imparato a disegnare bene, aveva creato i Baronci, solo in seguito, quando aveva preso pratica con la matita, aveva creato tutti gli altri uomini, e ciò si poteva constatare osservando bene tutti i difetti estetici che i Baronci avevano. A questa conclusione tutti sentenziarono che lo Scalza aveva vinto la cena.
SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)
A Prato accadde che una donna di nome Filippa, fu sorpresa dal marito fra le braccia di Lazzarino dei Guazzagliotri, un nobile giovane di quella città. Il marito, Rinaldo, denunciò allora la moglie e la trascinò in tribunale. Qui, Filippa confessò con franchezza di essere stata sorpresa dal marito tra le braccia del suo amante. Aggiunse però che quando era stata approvata la legge che condannava a morte le adultere, le donne non erano state chiamate a dire la loro e che quindi si trattava di una legge radicalmente ingiusta. Inoltre chiese al marito se mai aveva mancato ai suoi doveri di moglie. Rinaldo rispose allora che mai gli si era rifiutata. La donna quindi affermò che se il marito aveva sempre ricevuto da lei ciò di cui aveva avuto bisogno, cosa avrebbe dovuto fare lei di ciò che lui le aveva lasciato, “avrebbe dovuto gittarlo a’ cani”? In seguito a ciò, dopo una grande risata fu deciso di condannare al rogo le donne che avessero commesso adulterio per denaro.
OTTAVA NOVELLA (EMILIA)
Un certo Fresco da Celatico aveva una nipote chiamata Cesca, una donna altera e sussiegosa, che aveva la cattiva abitudine di criticare malevolmente tutto e tutti, senza mai guardare se stessa. Un giorno Cesca se ne andò a casa di Fresco e gli si sedette accanto, sbuffando e sospirando. Lo zio le chiese come mai, in un giorno di festa, se ne fosse tornata a casa molto prima del tempo. Cesca rispose che era tornata a casa perché, in quella città, tutti gli abitanti, uomini e donne, erano talmente fastidiosi e antipatici, che passando per la strada aveva la sensazione di incontrarsi con la sventura fatta persona. Fresco le disse allora duramente: « Figliola, se le persone antipatiche e spiacevoli ti danno tanto fastidio, segui il mio consiglio: non ti specchiare mai ». Ma la ragazza, convinta di essere saggia, ma in realtà molto stupida, non capì la frase di Fresco e affermò, che avrebbe continuato a specchiarsi come tutte le donne.
NONA NOVELLA (ELISSA)
Un'usanza dell’aristocrazia di Firenze era quella di formare liete brigate di gentiluomini, cui partecipavano anche gentiluomini forestieri. Una di queste brigate di giovani cavalieri era capeggiata da Betto Brunelleschi, un giovane coraggioso, il quale desiderava che nel gruppo entrasse il celebre poeta e filosofo Guido Cavalcanti: per dare prestigio alla brigata. Un giorno, Cavalcanti si trovava dalle parti di San Giovanni, dove a quel tempo c'era il camposanto con grandi sarcofagi di pietra. Passava di lì la brigata di Betto Brunelleschi che pensò di andare a punzecchiare il poeta. Tutti gli si avvicinarono stringendolo con i cavalli contro i sarcofagi di pietra e si misero quindi a scherzare e a prenderlo in giro. Allora il poeta disse: «Egregi signori, a casa vostra voi potete dire tutto quello che vi piace» e se ne andò. I giovani non capirono, ma Betto Brunelleschi, che era il più sveglio di tutti, spiegò: «Guido ci ha offeso con eleganza infatti ci ha detto che siamo come dei morti perché siamo ignoranti e di conseguenza noi qui al camposanto siamo come a casa nostra». Da quel giorno nessuno della brigata osò più infastidire il poeta.
DECIMA NOVELLA (DIONEO)
Tutte le estati veniva a Certaldo un tale fra’ Cipolla. Costui rivolgendosi ai credenti dopo la messa, li pregò di tornare la sera stessa sul sagrato della chiesa, poiché avrebbe mostrato loro un’antica reliquia: una penna dell’Arcangelo Gabriele che egli perse quando andò da Maria per annunciarle la divina nascita. Due giovinetti, Bragonieri e Pizzini, architettarono allora uno scherzo ai danni del frate. Sapendo che sarebbe andato a pranzo da un suo amico nobile, corsero all'albergo dove il frate teneva le sue bisacce, per derubargli la santa reliquia e per mettere alla prova l'inventiva di costui, quando si fosse trovato privo di questa davanti alla folla dei credenti. Il servo di fra' Cipolla, Guccio Imbratta era rimasto nell'albergo per custodire le cose del frate; ma, essendo innamorato una servetta che lavorava nell’albergo, abbandonò tutto per precipitarsi dalla sua amata. I due burloni, ne approfittarono: andarono nella stanza del frate e, vista la cassetta con la penna, la sostituirono con dei pezzetti di carbone trovati nel caminetto della stanza e se la squagliarono. La sera, Guccio portò al frate le sue bisacce. Costui, presa la cassetta con la penna dell'Arcangelo Gabriele, la aprì, ma vedendo come stavano le cose, la richiuse precipitosamente, maledicendo in silenzio Guccio. Quindi, senza battere ciglio, cominciò a raccontare alla folla che, quando era ancora giovane, era stato inviato dai suoi superiori in Terrasanta, dove aveva conosciuto il venerabile padre Nonmiscocciate Seavoipiace, il quale, gli aveva fatto vedere tutte le sante reliquie che custodiva con venerazione e gliene aveva regalata qualcuna tra cui un dente della santa Croce, una piccola ampolla con il suono delle campane del tempio di Salomone, la penna dell'Arcangelo Gabriele e i carboni del fuoco che aveva bruciato san Lorenzo. Visto però che sia la penna dell'angelo sia i carboni di San Lorenzo erano custoditi in due scatole identiche a volte egli si sbagliava, proprio come in quell’occasione in cui infatti, invece della penna, aveva preso i carboni e, visto che tra due giorni sarebbe stata proprio la festa di quel santo, pregò i fedeli di togliersi i berretti ed avvicinarsi a lui per essere segnati con quei carboni che tanto non si consumavano mai, assicurandoli che chi fosse stato segnato con essi, per un anno intero non sarebbe stato bruciato dal fuoco senza che non se ne fosse accorto. In tal modo il furbo frate raccolse un bel po' di offerte.
INTRODUZIONE
Rientrata in casa, la compagnia si prepara a mangiare quando Licisca, serva di Filomena, e Tindare, servo di Filostrato cominciano a litigare poiché lei afferma che le donne non arrivano mai vergini al matrimonio. Allora Elissa, eletta regina per quel giorno, chiama Dioneo, affinché giudichi il fatto. Dioneo dà ragione a Licisca. Finita la discussione, Elissa invita Filomena ad iniziare.
PRIMA NOVELLA (FILOMENA)
Filomena intende dimostrare quanto le donne siano capaci di motti arguti, e come essi si addicano alla donna stessa, e a tal fine porta l’esempio di come una donna zittì un cavaliere incapace. Madonna Oretta era rispettata e conosciuta, e un giorno, viaggiando insieme con delle persone, ricevette da un cavaliere la proposta di salire sul suo cavallo ed essere da lui intrattenuta. Oretta salì allora sul cavallo, ma il cavaliere era incapace di raccontar le storie, e così, esasperata alla fine gli disse che il cavallo aveva un andamento troppo duro per lei e che quindi avrebbe preferito continuare a piedi.
SECONDA NOVELLA (PAMPINEA)
Un giorno giunsero a Firenze degli ambasciatori inviati lì da papa Bonifacio. Essi erano ospiti di Geri Spina, marito di Oretta. Il gruppo, ogni giorno passava davanti al negozio del fornaio Cisti, il quale, pur facendo un lavoro umile, aveva potuto arricchirsi. Quest’ultimo aveva una riserva di vini bianchi, la migliore di Firenze, ed era desideroso di offrirne un po’ anche alla brigata che ogni giorno passava di lì. Tuttavia, a causa della sua umile posizione, non poteva invitarli, e così decise di tentarli, mettendosi per due mattine di seguito a gustare il suo vino davanti al locale. Il secondo giorno, Geri, chiese al fornaio di poter assaggiare un po’ del suo vino. Questo piacque talmente tanto agli ambasciatori, che tutte le mattine passarono da lui per berne. Un giorno, Geri decise di organizzare un banchetto in onore degli ambasciatori che stavano per ripartire, e per questo mandò un suo servo dal fornaio a prendere un po’ di quel vino. Il servo si presentò allora da Cisti con un recipiente talmente grande che quando il fornaio lo vide, ridendo, disse al ragazzo che certo il suo padrone non lo aveva mandato da lui. Riferito questo, Geri disse al servo di tornare dal fornaio e chiedergli a chi dunque lo aveva mandato, e Cisti rispose che sicuramente lo aveva mandato a prendere acqua nell’Arno. Geri comprese dunque che era a causa della grandezza eccessiva del fiasco e così, dopo aver rimproverato il servo lo inviò di nuovo dal fornaio, stavolta con un fiasco adeguato. Cisti allora glielo riempì senza problemi e il giorno stesso si recò da Geri per spiegare il suo comportamento.
TERZA NOVELLA (LAURETTA)
Viveva a Firenze il vescovo Antonio d’Orso, il quale aveva un fratello. Quest’ultimo aveva una nipote sposata ad un uomo cattivo ed avaro. Accadde che un giorno, venne a Firenze un maniscalco giovane e bello, che pagando al marito 500 fiorini falsi, potè giacere con la nipote del fratello del vescovo, il quale, venuto a conoscenza di ciò, finse di non saperne nulla. Il prelato un giorno, cavalcando col maniscalco, incontrò Madonna de’Pulci alla quale domandò se avesse voluto trascorrere la notte con quel bel giovine accanto a lui; a questa domanda essa rispose che molto volentieri l’avrebbe fatto se fosse poi stata sicura di venir ricompensata con monete vere.
QUARTA NOVELLA (NEIFILE)
Viveva a Firenze Currado Gianfigliazzi, un gran signore, ricco e amante della caccia. Avendo un giorno catturato una bella gru, la diede al suo cuoco, Chichibio. Mentre la gru coceva sullo spiedo si spanse tutt’intorno un profumo di arrosto che attirò una servetta del rione di cui Chichibio era invaghito. Questa allora chiese a Chichibio una coscia del volatile ma Chichibio le rispose che non poteva regalargliela. Quella allora lo minacciò sul piano affettivo e al cuoco non rimase che accontentarla. Quella sera si tenne una bella cena con degli ospiti, e Currado, vedendo che alla gru mancava una coscia, chiese spiegazioni, al che il cuoco per difendersi disse che le gru avevano una sola gamba, non due. Allora Currado decise di sfidare il cuoco a dimostrargli, all’alba del giorno seguente, la veridicità delle sue parole. Così al mattino si recarono al lago dove le gru riposavano poggiate su una sola zampa. Proprio mentre Chichibio cominciava a credersi salvo Currado lanciò un forte grido a causa del quale tutte le gru presero il volo mostrando così entrambe le zampe. Al che il cuoco rispose al suo padrone che, se avesse lanciato un urlo simile la sera prima, anche quella gru avrebbe mostrato entrambe le zampe. Currado sorpreso e divertito di quella battuta decise allora di perdonare il cuoco.
QUINTA NOVELLA (PANFILO)
A Firenze avevano vissuto due uomini, capacissimi nella loro arte, ma di aspetto quasi turpe: Giotto, e Forese da Rabatta: il primo il più grande dei pittori, il secondo grande conoscitore della giurisprudenza. Accadde un giorno che di ritorno dal Suggello si ritrovassero a fare la strada insieme, ma ben presto un grande acquazzone li colpì e furono costretti a rifugiarsi presso dei conoscenti. Quando la pioggia si fu placata, allora insieme ripresero il cammino, discutendo amichevolmente. Mentre ancora parlavano, Forese disse che chi non avesse conosciuto Giotto di persona e le sue opere, avrebbe con difficoltà creduto che fosse il più grande dei pittori. A ciò Giotto, a sua volta, rispose che chiunque non avesse conosciuto di persona Forese avrebbe di certo dubitato che fosse così dotto.
SESTA NOVELLA (FIAMMETTA)
Viveva tempo fa a Firenze un certo Michele Scalza, un giovane molto spiritoso che un giorno si trovò con un'allegra brigata sulla collinetta di Montughi. Tra i giovani nacque una discussione su quale fosse la famiglia più antica di Firenze. Allora lo Scalza, affermò che secondo lui gli uomini più antichi del mondo erano quelli del casato dei Baronci. Come risposta vi fu una risata generale, ma lo Scalza insistette e disse che si sarebbe rimesso ad un giudice, e che se avesse perso, avrebbe pagato la cena a tutti. Un certo Neri Mannini accettò la sfida e, scelse come arbitro il padrone di casa Piero di Fiorentino. Il giudice ascoltò prima le ragioni del Neri e poi dette la parola allo Scalza. Lo Scalza difese la sua posizione affermando che Dio, quando ancora non aveva imparato a disegnare bene, aveva creato i Baronci, solo in seguito, quando aveva preso pratica con la matita, aveva creato tutti gli altri uomini, e ciò si poteva constatare osservando bene tutti i difetti estetici che i Baronci avevano. A questa conclusione tutti sentenziarono che lo Scalza aveva vinto la cena.
SETTIMA NOVELLA (FILOSTRATO)
A Prato accadde che una donna di nome Filippa, fu sorpresa dal marito fra le braccia di Lazzarino dei Guazzagliotri, un nobile giovane di quella città. Il marito, Rinaldo, denunciò allora la moglie e la trascinò in tribunale. Qui, Filippa confessò con franchezza di essere stata sorpresa dal marito tra le braccia del suo amante. Aggiunse però che quando era stata approvata la legge che condannava a morte le adultere, le donne non erano state chiamate a dire la loro e che quindi si trattava di una legge radicalmente ingiusta. Inoltre chiese al marito se mai aveva mancato ai suoi doveri di moglie. Rinaldo rispose allora che mai gli si era rifiutata. La donna quindi affermò che se il marito aveva sempre ricevuto da lei ciò di cui aveva avuto bisogno, cosa avrebbe dovuto fare lei di ciò che lui le aveva lasciato, “avrebbe dovuto gittarlo a’ cani”? In seguito a ciò, dopo una grande risata fu deciso di condannare al rogo le donne che avessero commesso adulterio per denaro.
OTTAVA NOVELLA (EMILIA)
Un certo Fresco da Celatico aveva una nipote chiamata Cesca, una donna altera e sussiegosa, che aveva la cattiva abitudine di criticare malevolmente tutto e tutti, senza mai guardare se stessa. Un giorno Cesca se ne andò a casa di Fresco e gli si sedette accanto, sbuffando e sospirando. Lo zio le chiese come mai, in un giorno di festa, se ne fosse tornata a casa molto prima del tempo. Cesca rispose che era tornata a casa perché, in quella città, tutti gli abitanti, uomini e donne, erano talmente fastidiosi e antipatici, che passando per la strada aveva la sensazione di incontrarsi con la sventura fatta persona. Fresco le disse allora duramente: « Figliola, se le persone antipatiche e spiacevoli ti danno tanto fastidio, segui il mio consiglio: non ti specchiare mai ». Ma la ragazza, convinta di essere saggia, ma in realtà molto stupida, non capì la frase di Fresco e affermò, che avrebbe continuato a specchiarsi come tutte le donne.
NONA NOVELLA (ELISSA)
Un'usanza dell’aristocrazia di Firenze era quella di formare liete brigate di gentiluomini, cui partecipavano anche gentiluomini forestieri. Una di queste brigate di giovani cavalieri era capeggiata da Betto Brunelleschi, un giovane coraggioso, il quale desiderava che nel gruppo entrasse il celebre poeta e filosofo Guido Cavalcanti: per dare prestigio alla brigata. Un giorno, Cavalcanti si trovava dalle parti di San Giovanni, dove a quel tempo c'era il camposanto con grandi sarcofagi di pietra. Passava di lì la brigata di Betto Brunelleschi che pensò di andare a punzecchiare il poeta. Tutti gli si avvicinarono stringendolo con i cavalli contro i sarcofagi di pietra e si misero quindi a scherzare e a prenderlo in giro. Allora il poeta disse: «Egregi signori, a casa vostra voi potete dire tutto quello che vi piace» e se ne andò. I giovani non capirono, ma Betto Brunelleschi, che era il più sveglio di tutti, spiegò: «Guido ci ha offeso con eleganza infatti ci ha detto che siamo come dei morti perché siamo ignoranti e di conseguenza noi qui al camposanto siamo come a casa nostra». Da quel giorno nessuno della brigata osò più infastidire il poeta.
DECIMA NOVELLA (DIONEO)
Tutte le estati veniva a Certaldo un tale fra’ Cipolla. Costui rivolgendosi ai credenti dopo la messa, li pregò di tornare la sera stessa sul sagrato della chiesa, poiché avrebbe mostrato loro un’antica reliquia: una penna dell’Arcangelo Gabriele che egli perse quando andò da Maria per annunciarle la divina nascita. Due giovinetti, Bragonieri e Pizzini, architettarono allora uno scherzo ai danni del frate. Sapendo che sarebbe andato a pranzo da un suo amico nobile, corsero all'albergo dove il frate teneva le sue bisacce, per derubargli la santa reliquia e per mettere alla prova l'inventiva di costui, quando si fosse trovato privo di questa davanti alla folla dei credenti. Il servo di fra' Cipolla, Guccio Imbratta era rimasto nell'albergo per custodire le cose del frate; ma, essendo innamorato una servetta che lavorava nell’albergo, abbandonò tutto per precipitarsi dalla sua amata. I due burloni, ne approfittarono: andarono nella stanza del frate e, vista la cassetta con la penna, la sostituirono con dei pezzetti di carbone trovati nel caminetto della stanza e se la squagliarono. La sera, Guccio portò al frate le sue bisacce. Costui, presa la cassetta con la penna dell'Arcangelo Gabriele, la aprì, ma vedendo come stavano le cose, la richiuse precipitosamente, maledicendo in silenzio Guccio. Quindi, senza battere ciglio, cominciò a raccontare alla folla che, quando era ancora giovane, era stato inviato dai suoi superiori in Terrasanta, dove aveva conosciuto il venerabile padre Nonmiscocciate Seavoipiace, il quale, gli aveva fatto vedere tutte le sante reliquie che custodiva con venerazione e gliene aveva regalata qualcuna tra cui un dente della santa Croce, una piccola ampolla con il suono delle campane del tempio di Salomone, la penna dell'Arcangelo Gabriele e i carboni del fuoco che aveva bruciato san Lorenzo. Visto però che sia la penna dell'angelo sia i carboni di San Lorenzo erano custoditi in due scatole identiche a volte egli si sbagliava, proprio come in quell’occasione in cui infatti, invece della penna, aveva preso i carboni e, visto che tra due giorni sarebbe stata proprio la festa di quel santo, pregò i fedeli di togliersi i berretti ed avvicinarsi a lui per essere segnati con quei carboni che tanto non si consumavano mai, assicurandoli che chi fosse stato segnato con essi, per un anno intero non sarebbe stato bruciato dal fuoco senza che non se ne fosse accorto. In tal modo il furbo frate raccolse un bel po' di offerte.