Nacque a Taganròg (in Ucraina) nel 1860 da una famiglia modesta (il nonno era un servo della gleba riscattatosi), ma dignitosa. La sua giovinezza fu abbastanza dura perché egli dovette conciliare il lavoro nel negozio di drogherie del padre, con lo studio. Tuttavia frequentò con buon profitto il liceo, trasferendosi poi a Mosca per iscriversi all'Università dove si laureò in medicina nel 1884. La passione per la letteratura prevalse sulla professione di medico (che Cechov esercitò solo saltuariamente) tanto che nel 1888 egli ottenne il premio Puskin in seguito alla pubblicazione di una serie di racconti dallo stile nuovo e personalissimo. Nel 1895 l’amicizia con Tolstoj segnò profondamente la sua vita: il mistico pensatore gli sembrò rappresentare l’ideale di fraternità e di amore fra gli uomini; però il suo temperamento era più combattivo e realistico e non poteva accontentarsi di avere scoperto una filosofia del bene, ma doveva agire, non astrarsi, rendersi conto della realtà, non contemplare.
Mosso da questa convinzione, Cechov volle fare personale esperienza delle inumane condizioni di vita dei deportati e della squallida miseria dei contadini. Infatti, nel 1890 trascorse circa un anno nell'isola di Sachalin e con scientifica scrupolosità scrisse un libro inchiesta su quella colonia penale; nel 1892, poi, acquistò un po' di terra a Melnchòvo dove sperimentò da vicino la triste vita dei mugiki, la loro ignoranza e semplicità; visse tra loro e si prodigò per i malati più poveri, creò opere di assistenza durante la carestia e un'epidemia di colera, aprì le scuola e fece costruire strade.
Purtroppo la tubercolosi che lo minava fin dagli anni giovanili si aggravò; Cechov si illuse di migliorare al tepido sole della Crimea, di Nizza, di Yalta dove soggiornò ripetutamente. Durante un ennesimo viaggio di speranza, morì a Badenweiler nella Selva Nera, fra le braccia della moglie, l'attrice Olga Knipper che aveva sposato solo tre anni prima. Era il 2 luglio 1904.
Le idee e le tematiche
L'opera di Cechov non può essere inquadrata esattamente in nessun movimento letterario, eppure sono vivi in essa il senso del realismo, il desiderio di progresso di stampo positivista, l'intuizione di una solitudine umana che anticipa l'angoscia esistenziale, una sottile intima inquietudine dei personaggi che si può affiancare alle struggenti atmosfere del Decadentismo. Cechov, quindi, non può essere classificato perché è personalità troppo ricca e originale, tuttavia egli ben inserisce in quel delicatissimo momento di crisi di fine Ottocento, denso di sottintese prospettive future. L'arte di Cechov è anche espressione del delicato momento storico della società russa alla vigilia della rivoluzione, una società in cui dominano l'inquietudine e la passività, l'aspirazione al progresso e la rassegnazione a non poter mutare niente. Questo sconsolato smarrimento si riflette nei cosiddetti falliti cechoviani, personaggi deboli e insicuri, dominati dalle circostanze e guardati dall'autore con benevola simpatia e con lucida, realistica analisi. Cechov porta sulla scena la realtà quotidiana, ma se esaspera le atmosfere attraverso un gioco sottile di dialoghi e di silenzi; accentua l'estrinsecarsi dei propri pensieri, in una disperante incomunicabilità. Egli ritrae intellettuali, borghesi, contadini nel grigiore delle loro azioni quotidiane, cogliendo il loro sconsolato e amaro senso della vita che raramente si trasforma in tragedia, ma rimane chiuso nel fondo dei loro animi come disperata rassegnazione.
Tuttavia la poesia di Cechov non si esaurisce nel pessimismo; egli ripetutamente confessa di aver fede nella scienza e nel progresso e soprattutto nelle capacità umane: se ne trova riscontro nelle ultime opere nelle quali compare un vago senso di speranza.
E' evidente, in questo autore, il passaggio dal teatro realista tutto azione, al teatro psicologico-problematico che anticipa il teatro del Novecento. Anche la lingua è piana e semplice, modellata sulla sobria espressività del parlare quotidiano.
Le opere di Cechov, sia di narrativa sia di teatro, sono molto numerose, ma ricordiamo solo le più importanti:
La steppa (1888): lunga novella elegiaca il cui vero protagonista è il paesaggio russo.
Atti unici (1884-1891): sono otto operette teatrali in un atto unico, di vario argomento: Sulla strada maestra, Il canto del cigno, Il fumo fa male, L'orso, Una domanda di matrimonio, Tragico contro voglia, Le nozze, L'anniversario.
Il gabbiano (1896): un dramma con triste epilogo. L'attrice Irina Arcadina, il suo amante Trigorin e suo figlio Triepliov, che si diletta a fare lo scrittore, sono ospiti nella tenuta del loro amico Sorin. Triepilov, è molto attaccato alla madre che invece lo tratta con sufficienza e sarcasmo; quando egli le legge un dramma che ha scritto, Irina lo critica con impietosa ironia e il giovane, profondamente angosciato, tenta di uccidersi, tanto più che la sua innamorata Nina ha intrecciato un legame d'amore con Trigorin. Due anni più tardi Nina e Triepilov si incontrano di nuovo nella tenuta di Sorin: lei abbandonata dall'amante, alleva coraggiosamente il bambino nato da quella relazione; lui è confuso e indeciso fra l'amore per Nina e la paura delle responsabilità che dovrebbe affrontare per restare con lei. Ma Nina non vuole compassione e se ne va: la sua vita spezzata per caso come quella di un gabbiano che Triepilov ha ucciso, deve comunque continuare. Triepilov, invece, sentendosi di nuovo un fallito, attua la sua determinazione di suicidio.
I contadini (1897): racconto.
Lo Zio Vania (1897): dramma della mediocrità e della rassegnazione. Zio Vania, con la nipote Sonia, per molti anni ha amministrato la proprietà del cognato, professor Sierebrjakov, vedovo della sorella, conducendo una vita grigia in provincia. Le sue poche consolazioni consistevano nell'amicizia col medico Astrov (di cui Sonia è inutilmente innamorata) e la venerazione per il professore considerato un genio. Ma l'arrivo di Sieriebrjakov con la seconda moglie Elena distrugge queste illusioni: egli è soltanto un vanitoso arrogante che sconvolge per un po' la vita semplice della fattoria. Quando parte lascia lo zio Vania e Sonia in una profonda amarezza, sconsolatamente rassegnati ad una vita ancora più vuota e monotona.
La signora col cagnolino (1898): racconto.
Le tre sorelle (1901): dramma. Olga, Masa e Irina sono tre sorelle che vivono in una città di provincia. Non sono più giovanissime e hanno ormai abbandonato il sogno di trasferirsi a Mosca. La loro vita, come quella del fratello Andrei che ha sposato Natalia, donna superficiale e insensibile, scorre monotona: Masa, sposata al maestro Kulyghin, non ama il marito ed è innamorata del colonnello Vierscinin; ma il sogno finisce perché il colonnello viene trasferito. Olga è rassegnata a invecchiare solo e avrà come consolazione la posizione di prestigio di direttrice della scuola. Irina accetta di sposare il barone Tusenbach, e sembra la più felice, ma il barone viene ucciso in un duello. Ogni possibilità di uscire dal guscio della casa e della provincia si dilegua per le tre sorelle, ed esse si rassegnano a continuare una monotona esistenza senza scampo.
Il giardino dei ciliegi (1903): è l'ultimo dramma di Cechov. La signora Ljubov Ranjeskaja, pressata dai dissesti economici, è costretta a vendere la proprietà di famiglia: una vecchia casa con un famoso giardino di ciliegi. Il mercante Lopachin le consiglia di vendere soltanto la casa, ma Ljubov è una sensibile sognatrice che ama profondamente questa sua proprietà dove ha trascorso l'infanzia, e considera un sacrilegio abbattere i ciliegeto a piccoli lotti per costruzioni, ne ricaverebbe tanto denaro da poter salvare la casa, ma Ljubov è una sensibile sognatrice che ama profondamente questa sua proprietà dove ha trascorso l'infanzia, e considera un sacrilegio abbattere i ciliegi, senza rendersi conto che questo avverrà comunque. In famiglia nessuno ha interesse per quel giardino: né il fratello di Ljunbov, Gaev, apatico e insensibile, né la figlia adottiva varja e neppure la figlia Anja, diciassettenne, che si è lasciata incantare dai ragionamenti progressisti dello studente Trofimov e guarda al futuro con la speranza di meravigliose esperienze e di altri giardini. La casa è messa all'asta e se la aggiudica il mercante Lopachin, arricchitosi con il lavoro e la sagacia, orgoglioso di possedere le terre dove i suoi genitori furono servi. Nella vecchia casa rimane soltanto il vecchio servitore Firs, malato e dimenticato, ultima testimonianza di un passato ormai morto.
Mosso da questa convinzione, Cechov volle fare personale esperienza delle inumane condizioni di vita dei deportati e della squallida miseria dei contadini. Infatti, nel 1890 trascorse circa un anno nell'isola di Sachalin e con scientifica scrupolosità scrisse un libro inchiesta su quella colonia penale; nel 1892, poi, acquistò un po' di terra a Melnchòvo dove sperimentò da vicino la triste vita dei mugiki, la loro ignoranza e semplicità; visse tra loro e si prodigò per i malati più poveri, creò opere di assistenza durante la carestia e un'epidemia di colera, aprì le scuola e fece costruire strade.
Purtroppo la tubercolosi che lo minava fin dagli anni giovanili si aggravò; Cechov si illuse di migliorare al tepido sole della Crimea, di Nizza, di Yalta dove soggiornò ripetutamente. Durante un ennesimo viaggio di speranza, morì a Badenweiler nella Selva Nera, fra le braccia della moglie, l'attrice Olga Knipper che aveva sposato solo tre anni prima. Era il 2 luglio 1904.
Le idee e le tematiche
L'opera di Cechov non può essere inquadrata esattamente in nessun movimento letterario, eppure sono vivi in essa il senso del realismo, il desiderio di progresso di stampo positivista, l'intuizione di una solitudine umana che anticipa l'angoscia esistenziale, una sottile intima inquietudine dei personaggi che si può affiancare alle struggenti atmosfere del Decadentismo. Cechov, quindi, non può essere classificato perché è personalità troppo ricca e originale, tuttavia egli ben inserisce in quel delicatissimo momento di crisi di fine Ottocento, denso di sottintese prospettive future. L'arte di Cechov è anche espressione del delicato momento storico della società russa alla vigilia della rivoluzione, una società in cui dominano l'inquietudine e la passività, l'aspirazione al progresso e la rassegnazione a non poter mutare niente. Questo sconsolato smarrimento si riflette nei cosiddetti falliti cechoviani, personaggi deboli e insicuri, dominati dalle circostanze e guardati dall'autore con benevola simpatia e con lucida, realistica analisi. Cechov porta sulla scena la realtà quotidiana, ma se esaspera le atmosfere attraverso un gioco sottile di dialoghi e di silenzi; accentua l'estrinsecarsi dei propri pensieri, in una disperante incomunicabilità. Egli ritrae intellettuali, borghesi, contadini nel grigiore delle loro azioni quotidiane, cogliendo il loro sconsolato e amaro senso della vita che raramente si trasforma in tragedia, ma rimane chiuso nel fondo dei loro animi come disperata rassegnazione.
Tuttavia la poesia di Cechov non si esaurisce nel pessimismo; egli ripetutamente confessa di aver fede nella scienza e nel progresso e soprattutto nelle capacità umane: se ne trova riscontro nelle ultime opere nelle quali compare un vago senso di speranza.
E' evidente, in questo autore, il passaggio dal teatro realista tutto azione, al teatro psicologico-problematico che anticipa il teatro del Novecento. Anche la lingua è piana e semplice, modellata sulla sobria espressività del parlare quotidiano.
Le opere di Cechov, sia di narrativa sia di teatro, sono molto numerose, ma ricordiamo solo le più importanti:
La steppa (1888): lunga novella elegiaca il cui vero protagonista è il paesaggio russo.
Atti unici (1884-1891): sono otto operette teatrali in un atto unico, di vario argomento: Sulla strada maestra, Il canto del cigno, Il fumo fa male, L'orso, Una domanda di matrimonio, Tragico contro voglia, Le nozze, L'anniversario.
Il gabbiano (1896): un dramma con triste epilogo. L'attrice Irina Arcadina, il suo amante Trigorin e suo figlio Triepliov, che si diletta a fare lo scrittore, sono ospiti nella tenuta del loro amico Sorin. Triepilov, è molto attaccato alla madre che invece lo tratta con sufficienza e sarcasmo; quando egli le legge un dramma che ha scritto, Irina lo critica con impietosa ironia e il giovane, profondamente angosciato, tenta di uccidersi, tanto più che la sua innamorata Nina ha intrecciato un legame d'amore con Trigorin. Due anni più tardi Nina e Triepilov si incontrano di nuovo nella tenuta di Sorin: lei abbandonata dall'amante, alleva coraggiosamente il bambino nato da quella relazione; lui è confuso e indeciso fra l'amore per Nina e la paura delle responsabilità che dovrebbe affrontare per restare con lei. Ma Nina non vuole compassione e se ne va: la sua vita spezzata per caso come quella di un gabbiano che Triepilov ha ucciso, deve comunque continuare. Triepilov, invece, sentendosi di nuovo un fallito, attua la sua determinazione di suicidio.
I contadini (1897): racconto.
Lo Zio Vania (1897): dramma della mediocrità e della rassegnazione. Zio Vania, con la nipote Sonia, per molti anni ha amministrato la proprietà del cognato, professor Sierebrjakov, vedovo della sorella, conducendo una vita grigia in provincia. Le sue poche consolazioni consistevano nell'amicizia col medico Astrov (di cui Sonia è inutilmente innamorata) e la venerazione per il professore considerato un genio. Ma l'arrivo di Sieriebrjakov con la seconda moglie Elena distrugge queste illusioni: egli è soltanto un vanitoso arrogante che sconvolge per un po' la vita semplice della fattoria. Quando parte lascia lo zio Vania e Sonia in una profonda amarezza, sconsolatamente rassegnati ad una vita ancora più vuota e monotona.
La signora col cagnolino (1898): racconto.
Le tre sorelle (1901): dramma. Olga, Masa e Irina sono tre sorelle che vivono in una città di provincia. Non sono più giovanissime e hanno ormai abbandonato il sogno di trasferirsi a Mosca. La loro vita, come quella del fratello Andrei che ha sposato Natalia, donna superficiale e insensibile, scorre monotona: Masa, sposata al maestro Kulyghin, non ama il marito ed è innamorata del colonnello Vierscinin; ma il sogno finisce perché il colonnello viene trasferito. Olga è rassegnata a invecchiare solo e avrà come consolazione la posizione di prestigio di direttrice della scuola. Irina accetta di sposare il barone Tusenbach, e sembra la più felice, ma il barone viene ucciso in un duello. Ogni possibilità di uscire dal guscio della casa e della provincia si dilegua per le tre sorelle, ed esse si rassegnano a continuare una monotona esistenza senza scampo.
Il giardino dei ciliegi (1903): è l'ultimo dramma di Cechov. La signora Ljubov Ranjeskaja, pressata dai dissesti economici, è costretta a vendere la proprietà di famiglia: una vecchia casa con un famoso giardino di ciliegi. Il mercante Lopachin le consiglia di vendere soltanto la casa, ma Ljubov è una sensibile sognatrice che ama profondamente questa sua proprietà dove ha trascorso l'infanzia, e considera un sacrilegio abbattere i ciliegeto a piccoli lotti per costruzioni, ne ricaverebbe tanto denaro da poter salvare la casa, ma Ljubov è una sensibile sognatrice che ama profondamente questa sua proprietà dove ha trascorso l'infanzia, e considera un sacrilegio abbattere i ciliegi, senza rendersi conto che questo avverrà comunque. In famiglia nessuno ha interesse per quel giardino: né il fratello di Ljunbov, Gaev, apatico e insensibile, né la figlia adottiva varja e neppure la figlia Anja, diciassettenne, che si è lasciata incantare dai ragionamenti progressisti dello studente Trofimov e guarda al futuro con la speranza di meravigliose esperienze e di altri giardini. La casa è messa all'asta e se la aggiudica il mercante Lopachin, arricchitosi con il lavoro e la sagacia, orgoglioso di possedere le terre dove i suoi genitori furono servi. Nella vecchia casa rimane soltanto il vecchio servitore Firs, malato e dimenticato, ultima testimonianza di un passato ormai morto.