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Biografia: Giosue Carducci

Biografia:
Toscano, nacque in Versilia a Valdicastello (Lucca il 27 luglio 1835 da Michele e da Ildegonda Celli. Era ancora un bambino quando la sua famiglia si trasferì a Bolgheri e poi a Castagneto, nella Maremma toscana. Qui attese ai primi studi sotto la guida del padre che esercitava la professione di medico. Nel 1849 passò a Firenze, dove frequentò le scuole dei padri Scolopi, e quindi a Pisa dove si laureò in lettere all’età di ventun anni. Ottenne la cattedra presso il Liceo di Pistoia e, nel 1860, quella di eloquenza italiana all’Università di Bologna dove insegnò, tranne una breve parentesi, fino al 1904, anno in cui dovette lasciare l’insegnamento per motivi di salute. Il Carducci fu sempre attento osservatore dei fatti politici; ammiratore del Cavour, seguace del Mazzini, si proclamò democratico, repubblicano, massone, ma dopo il 1880 si schierò dalla parte della monarchia, di cui riconobbe i meriti risorgimentali, e si entusiamsò della politica nazionalista del Crispi. Era deluso, infatti, che la terza Italia, chiamata dopo quella dei Cesari e quella dei Comuni a rinnovare la funzione civilizzatrice di Roma, si mostrasse debole e rinunciataria, con una classe politica fiacca e dimentica dei grandi ideali del Risorgimento. Nel 1880, per i suoi meriti di poeta e letterato, fu nominato senatore del Regno d’Italia e nel 1906 ebbe anche l’onore di ricevere il premio Nobel per la letteratura. Si spense a Bologna all’età di 72 anni, il 16 febbraio 1907 e fu sepolto nella Certosa.

Le idee e la poetica
Il Carducci, nel panorama letterario del Realismo, fu una figura isolata di poeta vigoroso che rifiutò energicamente il Romanticismo, soprattutto quello languido e sentimentale del secondo Ottocento. Dal positivismo, invece, riprese l’idea che ragione e scienza dovevano servire all’uomo per comprendere la natura, distruggere le false credenze soprannaturali e guidarlo alla conquista del progresso della libertà, della democrazia. Nacque con lui il nuovo Classicismo che è, prima di tutto, esaltazione dei valori umani e di una virile concezione della vita, e poi aspirazione alla perfezione poetica dello stile e culto della bellezza. Egli sentì la missione del poeta vate che, come i grandi poeti dell’antichità, chiamato a celebrare i fasti della patria, ad animare i suoi concittadini, ad esaltare la virtù e l’eroismo. Ma se il Carducci fu fieramente antiromantico, non fu immune dal Romanticismo di cui scopriamo le tracce nella sua poesia: nel continuo dissidio fra sogno e realtà, nella contemplazione ideale della classicità, nel sentimento della morte, nel continuo e nostalgico risorgere degli affetti intimi, infine nello stesso suo amor di patria espresso nella maniera passionale dei grandi romantici. Tuttavia prevale sempre nelle sue opere una profonda compostezza e un atteggiamento quasi eroico.

Opere principali:
Iuveniilla (1850-60): poesie scritte in età giovanile a imitazione dei classici; divampa in esse la sua ira sdegnosa contro la corruzione del tempo.

Levia Gravia (1861-71): cose leggere e cose più gravi: poesie nelle quali il Carducci si professa antiromantico contro la corruzione del tempo.

Giambi ed epodi (1867-79): sono poesie tutte frementi di sdegno contro la debolezza e l’incertezza dei governanti d’Italia, quindi di gusto satirico come i giambi del poeta greco Archiloco e gli epodi del poeta latino Orazio.

Rime nuove (1887): è la raccolta che meglio rappresenta l’arte del Carducci. Qui la sua poesia si fa più serena, si leva a celebrare la natura e il paesaggio, si vela di malinconia e piange sommessa (Fumere mersit acerbo, Pianto antico…)

Odi barbare (1877-89): lo chiamò così perché, dice lo stesso poeta, tali sonerebbero agli orecchi dei Greci e dei Romani, se bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e perché tali soneranno purtroppo a moltissimi italiani se bene composte e armonizzate di versi e di accenti italiani. In esse il poeta esalta la vita che si rinnova in armonia con la natura e canta la bellezza e la storia della nostra terra, le sue armonie e le sue speranze.

Rime e ritmi (1898): Rime con metri tradizionali e Ritmi con metri barbari. Sono l’ultima raccolta carducciana, con liriche di solenne poesia; ma già vi si avvertirono i sintomi di una certa stanchezza, soprattutto l’ispirazione è fiacca, indirizzata al tema ripetitivo della morte oppure ai temi un po’ freddi di reminescenza storica.

Il Carducci ha lasciato anche pregevoli Prose: quelle di critica sul Parini; i discorsi storici e quelli letterari su Dante, Petrarca, Boccaccio; gli studi su Ariosto, Tasso, Leopardi; le Confessioni e battaglie in cui, con stile tagliente, impasto vivo di cultura classica e di lingua parlata, mette a nudo la sua anima. Assai interessante anche l’epistolario.



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