La poesia "Lavandare" è stata scritta da Giovanni Pascoli nel 1891 e fa parte della raccolta Myricae, nella sezione L'ultima passeggiata.
Testo
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Parafrasi
Nel campo arato solo per metà, c’è un aratro abbandonato, che sembra abbandonato tra la nebbia che esala dalla terra.E a tempi scanditi proviene dal canale, il fruscio e il rumore dei tonfi dei panni bagnati dalle lavandaie accompagnato da frequenti e lunghe cantilene.
Il vento soffia forte e fa sembrare le foglie che cadono neve, e tu, mio amato, non sei ancora tornato al tuo paese! Quando sei partito, come sono rimasta! Come l'aratro abbandonato in mezzo al campo da arare.
Analisi del testo
Schema metrico: 2 terzine e 1 quartina di endecasillabi (madrigale), con schema di rime: ABA, CBC, DEFE. I vv. 7 e 9 sono legati da rima imperfetta (-asca e -asta presentano infatti la variazione di una sola consonante).
Il titolo della poesia "lavandare" fa riferimento a quelle donne che praticavano un mestiere faticoso, che comportava una sfregatura ritmica ed in maniera energica della biancheria, anche in virtù del fatto che un tempo ci si cambiava gli abiti con minor frequenza e, quindi, lo sporco era più difficile da rimuovere.
La prima strofa è caratterizzata da uno stato di malinconia, di solitudine e abbandono attraverso la figura dell'aratro che si trova insolitamente abbandonato in un campo coltivato per metà e come sfondo vi è la nebbia. In questa strofa prevale l'area sensoriale visiva (il colore del campo, la figura dell'aratro, la nebbia).
Nella seconda strofa viene messo in risalto il lavoro umile e di gruppo delle lavandaie. Qui domina l'area sensoriale uditiva (il rumore dell'acqua provocato dalle lavandaie che sbattono i panni in acqua e le loro lunghe cantilene che ritmano il lavoro).
Nella terza strofa, la descrizione delle foglie che cadono lascia intendere che è autunno e le foglie che cadono vengono associate alla neve per la loro azione di cadere giù lentamente, ma potrebbe anche essere un pianto interiore (la malinconia è un dolore che si ha dentro). Qui domina l'area sensoriale visiva (le foglie e l'aratro) e viene messo ancor più in evidenza lo stato di malinconia, solitudine e abbandono attraverso la metafora e la similitudine. L'immagine iniziale dell'aratro solitario presente nella prima strofa viene ripreso in quest'ultima strofa e, quindi, il testo è costruito in maniera circolare. Inoltre, Pascoli preferisce usare una rima imperfetta (frasca-rimasta) proprio per evidenziare il carattere "popolare" di questi versi.
Spiegazione per parola
MEZZO NERO: in quanto è stato arato solo la metà (la terra smossa è di colore più scuro rispetto a quella non ancora rivoltata). Si noti come l'idea sia espressa con una pura nota coloristica.SENZA BUOI: e quindi abbandonato.
VAPOR LEGGIERO: nebbiolina, foschia.
GORA: canale
LO SCIABORDARE DELLE LAVANDARE: il ritmico battere dei panni nell'acqua a opera delle lavandaie (lavandare). Sciabordare è voce onomatopeica; in tal modo si passa dal quadro visivo al rilievo uditivo.
TONFI SPESSI: i numerosi tonfi dei panni nell'acqua.
NEVICA LA FRASCA: dai rami cadono le foglie, leggere come fossero fiocchi di neve.
E TU: l'amato lontano. Pascoli cita qui il verso di una triste canzone del folclore marchigiano, che canta un amore infelice.
MAGGESE: il campo che si lascia periodicamente senza semina, per far riposare la terra e avere poi un più abbondante raccolto.
Figure retoriche
- Iperbato = E cadenzato dalla gora viene / lo sciabordare della lavandare (vv. 4-5).
- Onomatopea = sciabordare" (v. 5). Verbo usato per indicare il suono dei panni che le lavandaie sbattono nell'acqua.
- Metafora = "nevica la frasca" (v. 7) Dai rami cadono cioè le foglie, leggere come fossero fiocchi di neve.
- Sinestesia = "tonfi spessi" (v. 6).
- Onomatopea = "tonfi" (v. 6).
- Chiasmo = "con tonfi spessi e lunghe cantilene" (v. 6); "il vento soffia e nevica la frasca" (v. 7)
- Antitesi = "partisti ... rimasta" (v. 9). Le due parole sono opposte fra loro.
- Similitudine = "come l’aratro in mezzo alla maggese" (v. 10). Cioè è rimasta sola come un aratro abbandonato in un campo a riposo.
- Allitterazione della R: resta, aratro, pare (v. 2); sciabordare, lavandare (v. 5), torni (v. 8); partisti, rimasta (v. 9).
- Enjambement = "pare / dimenticato" (vv. 2-3); "viene / lo sciabordare" (vv. 4-5).
Commento
Questo componimento poetico che a prima vista potrebbe sembrare una descrizione tipica della vita rurale, come nello stile di Verga e dei naturalisti, in realtà, viene usato dal Poeta, per esprimere la sua inquietudine.Siamo in autunno e il poeta sta passeggiando per un campo arato solo per metà, nel quale al centro è situato un aratro circondato dalla nebbia che sale dai fossi. Il poeta è presente ma allo stesso tempo nascosto dalla nebbia, osserva e sente mantenendosi distante. In quel momento sente provenire dal ruscello vicino le lavandaie che sbattono la biancheria nell'acqua e le loro cantilene con le quali si fanno compagnia a vicenda e smorzano la fatica del loro duro lavoro. Una di queste cantilene, inserita nella terza strofa, parla di una donna infelice perché l'uomo che amava se ne è andato e non è più ritornato, e lei è rimasta sorpresa e incapace a reagire come quell'aratro dimenticato lì in mezzo alla campagna. L'aratro possiede un doppio significato: è sia un attrezzo da lavoro ma anche un espediente per sottolineare l'umana solitudine. La capacità di Pascoli sta nel legare tre diversi momenti di vita campestre, ma non solo, riesce a legare anche il suo stato d'animo a tutto quanto descritto nel testo. Il poeta si rivede in quell'aratro senza buoi abbandonato nel campo lasciato a riposo (alla maggese), si rivede nella donna innamorata tristemente lasciata dal suo compagno che non è più tornato da lei: si identifica in tutto ciò, orfano e senza amore, senza mai nominare se stesso nella poesia.