Biografia:
Ettore Schmitz nacque a Trieste nel 1861 da padre tedesco ebreo e da madre triestina; sottolineò le due componenti della sua origine nello pseudonimo Italo Svevo che assunse quando scoprì la sua vocazione letteraria. Avviato agli studi commerciali secondo la tradizione di famiglia, li abbandonò nel 1880 (dopo avere studiato prevalentemente in scuole tedesche), in seguito al fallimento dell’industria paterna. Costretto a impiegarsi in una banca, dove rimase per vent’anni, prese a scrivere saggi e articoli di critica letteraria e teatrale su diversi quotidiani di Trieste e nel 1892 pubblicò il primo romanzo Una vita, con scarso successo, ma con sempre più accanita volontà di scrivere. Nel 1899 Svevo lasciò la banca per lavorare nell’industria del suocero (fabbricante di vernici per sottomarini), e questo gli permise di fare numerosi viaggi all’estero. Nel 1903 conobbe James Joyce che insegnava inglese in una scuola triestina e da questo sodalizio nacque per Svevo un ulteriore stimolo alla letteratura, mentre le sue idee si puntualizzavano attraverso la lettura dei classici italiani, francesi, tedeschi, dei filosofi dell’Ottocento e, soprattutto, attraverso la conoscenza delle idee di Freud e della psicanalisi. Anche il suo secondo romanzo Senilità fu quasi ignorato, ma una più vasta eco, soprattutto all’estero, ebbe La coscienza di Zeno nel 1923. Tuttavia dovettero passare ancora degli anni prima che l’originalità letteraria di Italo Svevo fosse capita e valorizzata appieno in Italia (il primo a capirne il valore e a segnalarlo fu Eugenio Montale nel 1925), e molte opere sveviane ebbero un riconoscimento postumo. Lo scrittore morì in un incidente automobilistico nel 1928.
Le idee e la poetica
L’originalità dell’arte di Svevo, che pure affonda le sue radici nel Realismo di fine Ottocento, consiste nel dare un valore maggiore allo studio dei personaggi piuttosto che alla descrizione oggettiva di fatti e di ambienti. I personaggi sveviani si dibattono in un continuo travaglio interiore che l’autore cerca di portare a galla attraverso una accurata indagine psicologica. Essi sono infelici e inetti, incapaci di affrontare la realtà che li circonda, ma pronti a scovare mille pretesti per giustificare i loro comportamenti, Svevo studia i contradditori moti della coscienza individuale, ma con benevolenza, amaramente consapevole che essi sono il riflesso diretto della crisi di certezze che è propria di tutta la società. Anche la lingua di Svevo è singolare perché intessuta su diverse stratificazioni linguistiche (la lingua italiana, quella tedesca, il dialetto triestino), e può essere considerata poco letteraria, ma risponde bene all’intimità delle riflessioni dei personaggi, oltre che al tono dimesso della loro stessa natura. Anche in questo, Svevo rompe la tradizione di dualismo fra la lingua parlata e lingua scritta, additando una forma narrativa di maggiore disinvoltura al romanzo moderno.
Le opere più importanti di Svevo sono:
Una vita (1892): romanzo che narra la vita scialba, ma piena di illusioni, di Alfonso Nitti, un impiegato di banca, mediocre, che sogna di diventare qualcuno. Il suo atteggiamento nella vita è di continua indecisione, quasi di vigliaccheria che culmina quando, sedotta Annetta, la figlia del titolare della banca, si spaventa all’idea di sposarla e fugge con una scusa. Al suo ritorno, quando aveva eroicamente deciso di affrontare il matrimonio riparatore, trova Annetta fidanzata con un altro, i suoi colleghi e il direttore che lo trattano con disprezzo, un’atmosfera di freddezza che non sa affrontare con il suo carattere tutt’altro che combattivo. Perciò e frustato, decide il suicidio.
Senilità (1898): romanzo che narra la storia di Emilio Brentani, modesto impiegato non più giovane che, nel tran tran della vita quotidiana, si lascia affascinare della giovane Angiolina, scaltra e di pochi scrupoli. Emilio, convinto che Angiolina sia una ragazza perbene, è assai deluso quando si accorge che essa lo tradisce sfrontatamente, anche con il suo migliore amico; incapace di reagire con la dovuta energia, si ritira nella solitudine della sua casa dove continua la sua vita abulica e inutile, in quella senilità che non è vecchiezza di anni, ma atteggiamento psicologico di abbandono e di rinuncia.
La coscienza di Zeno (1923): romanzo. Zeno Cosini, per consiglio del medico psicanalista, prende a scrivere un diario dei fatti essenziali della sua vita, per imparare a conoscere meglio sé stesso e a dominare le sue manie, come il vizio del fumo. Il romanzo è quindi una lunga analisi introspettiva del personaggio Zeno: egli narra i fatti che via via gli capitano o quelli che ha già vissuto e che gli riaffiorano alla memoria. Protagonista dell’opera è soprattutto la sua malattia, immaginaria e di comodo, che permette a Zeno di crearsi gli alibi per la sua cattiva coscienza e per non prendere mai le decisioni che contano.
Vino Generoso (1927): novella. Un uomo non giovane è tormentato da una avvilente malattia che lo costringe a seguire una dieta. Egli non può mangiare e bere a suo piacimento, ma durante un banchetto nuziale infrange ogni regola: egli beve abbondantemente e tra i fiumi del vino si addormenta sognando la vita vera, vedendone tutte le miserie, gli egoismi, i sensi di colpa. E’ tale lo spavento che si risveglia e decide di sottostare a tutte le diete del dottore, pur di non ricadere in quell’incubo che gli ha svelato la realtà che preferiva ignorare.
La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1826, pubblicata nel 1830 a cura di E. Montale): Un uomo, ormai sessantenne, si innamora di una bella e povera fanciulla, assai disponibile a concedersi a lui in cambio di un lavoro e di denaro. Ma i turbamenti di questo amore e della conseguente gelosia provocano nel vecchio l’insorgere dell’angina pectoris che lo costringe a drastiche cure e a una vita di assoluta sobrietà. Per vincere la solitudine egli si accinge a scrivere pagine e pagine di meditazione sulla vecchiaia, quasi un diario espiatorio e liberatorio. La fanciulla, sempre più elegante e con arie ormai da gran dama, emancipata e sfrontata, viene a trovarlo ogni volta che egli la chiama, soddisfatta di essere nominata erede delle sue sostanza. La vicenda, in apparenza banale, è un pretesto per un acuto saggio intorno alla psicologia dell’uomo di età avanzata che è portato a confrontarsi con i giovani, ben consapevole ormai di vivere in una dimensione diversa.
Una burla riuscita (1828): titolo del primo di una raccolta di racconti.
Commedia (pubblicate postume nel 1960): sono molte e scritte da Svevo nel corso di quasi tutta la vita, ma non hanno un incisivo valore letterario; esse servono soprattutto per chiarire alcuni aspetti delle opere narrative.
Il vecchione: poche pagine di un romanzo che Svevo aveva appena cominciato a scrivere quando morì.
Ettore Schmitz nacque a Trieste nel 1861 da padre tedesco ebreo e da madre triestina; sottolineò le due componenti della sua origine nello pseudonimo Italo Svevo che assunse quando scoprì la sua vocazione letteraria. Avviato agli studi commerciali secondo la tradizione di famiglia, li abbandonò nel 1880 (dopo avere studiato prevalentemente in scuole tedesche), in seguito al fallimento dell’industria paterna. Costretto a impiegarsi in una banca, dove rimase per vent’anni, prese a scrivere saggi e articoli di critica letteraria e teatrale su diversi quotidiani di Trieste e nel 1892 pubblicò il primo romanzo Una vita, con scarso successo, ma con sempre più accanita volontà di scrivere. Nel 1899 Svevo lasciò la banca per lavorare nell’industria del suocero (fabbricante di vernici per sottomarini), e questo gli permise di fare numerosi viaggi all’estero. Nel 1903 conobbe James Joyce che insegnava inglese in una scuola triestina e da questo sodalizio nacque per Svevo un ulteriore stimolo alla letteratura, mentre le sue idee si puntualizzavano attraverso la lettura dei classici italiani, francesi, tedeschi, dei filosofi dell’Ottocento e, soprattutto, attraverso la conoscenza delle idee di Freud e della psicanalisi. Anche il suo secondo romanzo Senilità fu quasi ignorato, ma una più vasta eco, soprattutto all’estero, ebbe La coscienza di Zeno nel 1923. Tuttavia dovettero passare ancora degli anni prima che l’originalità letteraria di Italo Svevo fosse capita e valorizzata appieno in Italia (il primo a capirne il valore e a segnalarlo fu Eugenio Montale nel 1925), e molte opere sveviane ebbero un riconoscimento postumo. Lo scrittore morì in un incidente automobilistico nel 1928.
Le idee e la poetica
L’originalità dell’arte di Svevo, che pure affonda le sue radici nel Realismo di fine Ottocento, consiste nel dare un valore maggiore allo studio dei personaggi piuttosto che alla descrizione oggettiva di fatti e di ambienti. I personaggi sveviani si dibattono in un continuo travaglio interiore che l’autore cerca di portare a galla attraverso una accurata indagine psicologica. Essi sono infelici e inetti, incapaci di affrontare la realtà che li circonda, ma pronti a scovare mille pretesti per giustificare i loro comportamenti, Svevo studia i contradditori moti della coscienza individuale, ma con benevolenza, amaramente consapevole che essi sono il riflesso diretto della crisi di certezze che è propria di tutta la società. Anche la lingua di Svevo è singolare perché intessuta su diverse stratificazioni linguistiche (la lingua italiana, quella tedesca, il dialetto triestino), e può essere considerata poco letteraria, ma risponde bene all’intimità delle riflessioni dei personaggi, oltre che al tono dimesso della loro stessa natura. Anche in questo, Svevo rompe la tradizione di dualismo fra la lingua parlata e lingua scritta, additando una forma narrativa di maggiore disinvoltura al romanzo moderno.
Le opere più importanti di Svevo sono:
Una vita (1892): romanzo che narra la vita scialba, ma piena di illusioni, di Alfonso Nitti, un impiegato di banca, mediocre, che sogna di diventare qualcuno. Il suo atteggiamento nella vita è di continua indecisione, quasi di vigliaccheria che culmina quando, sedotta Annetta, la figlia del titolare della banca, si spaventa all’idea di sposarla e fugge con una scusa. Al suo ritorno, quando aveva eroicamente deciso di affrontare il matrimonio riparatore, trova Annetta fidanzata con un altro, i suoi colleghi e il direttore che lo trattano con disprezzo, un’atmosfera di freddezza che non sa affrontare con il suo carattere tutt’altro che combattivo. Perciò e frustato, decide il suicidio.
Senilità (1898): romanzo che narra la storia di Emilio Brentani, modesto impiegato non più giovane che, nel tran tran della vita quotidiana, si lascia affascinare della giovane Angiolina, scaltra e di pochi scrupoli. Emilio, convinto che Angiolina sia una ragazza perbene, è assai deluso quando si accorge che essa lo tradisce sfrontatamente, anche con il suo migliore amico; incapace di reagire con la dovuta energia, si ritira nella solitudine della sua casa dove continua la sua vita abulica e inutile, in quella senilità che non è vecchiezza di anni, ma atteggiamento psicologico di abbandono e di rinuncia.
La coscienza di Zeno (1923): romanzo. Zeno Cosini, per consiglio del medico psicanalista, prende a scrivere un diario dei fatti essenziali della sua vita, per imparare a conoscere meglio sé stesso e a dominare le sue manie, come il vizio del fumo. Il romanzo è quindi una lunga analisi introspettiva del personaggio Zeno: egli narra i fatti che via via gli capitano o quelli che ha già vissuto e che gli riaffiorano alla memoria. Protagonista dell’opera è soprattutto la sua malattia, immaginaria e di comodo, che permette a Zeno di crearsi gli alibi per la sua cattiva coscienza e per non prendere mai le decisioni che contano.
Vino Generoso (1927): novella. Un uomo non giovane è tormentato da una avvilente malattia che lo costringe a seguire una dieta. Egli non può mangiare e bere a suo piacimento, ma durante un banchetto nuziale infrange ogni regola: egli beve abbondantemente e tra i fiumi del vino si addormenta sognando la vita vera, vedendone tutte le miserie, gli egoismi, i sensi di colpa. E’ tale lo spavento che si risveglia e decide di sottostare a tutte le diete del dottore, pur di non ricadere in quell’incubo che gli ha svelato la realtà che preferiva ignorare.
La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1826, pubblicata nel 1830 a cura di E. Montale): Un uomo, ormai sessantenne, si innamora di una bella e povera fanciulla, assai disponibile a concedersi a lui in cambio di un lavoro e di denaro. Ma i turbamenti di questo amore e della conseguente gelosia provocano nel vecchio l’insorgere dell’angina pectoris che lo costringe a drastiche cure e a una vita di assoluta sobrietà. Per vincere la solitudine egli si accinge a scrivere pagine e pagine di meditazione sulla vecchiaia, quasi un diario espiatorio e liberatorio. La fanciulla, sempre più elegante e con arie ormai da gran dama, emancipata e sfrontata, viene a trovarlo ogni volta che egli la chiama, soddisfatta di essere nominata erede delle sue sostanza. La vicenda, in apparenza banale, è un pretesto per un acuto saggio intorno alla psicologia dell’uomo di età avanzata che è portato a confrontarsi con i giovani, ben consapevole ormai di vivere in una dimensione diversa.
Una burla riuscita (1828): titolo del primo di una raccolta di racconti.
Commedia (pubblicate postume nel 1960): sono molte e scritte da Svevo nel corso di quasi tutta la vita, ma non hanno un incisivo valore letterario; esse servono soprattutto per chiarire alcuni aspetti delle opere narrative.
Il vecchione: poche pagine di un romanzo che Svevo aveva appena cominciato a scrivere quando morì.