Uno degli effetti negativi dell'economia globale è il rischio della decolonizzazione delle aziende. Per le imprese che hanno continuato a produrre in Europa si è posto il problema del costo del lavoro, su cui incidono gli stipendi e le tutele sociali.
La competizione con merci meno costose provenienti da Paesi extraeuropei ha portato le aziende a recuperare la concorrenzialità riducendo l'alto costo del lavoro: molte imprese hanno così diminuito il numero degli occupati e, usufruendo di nuove norme sul lavoro a tempo determinato, hanno iniziato ad assumere lavoratori per limitati periodi di tempo, in base alla esigenze produttive.
Anche l'organizzazione del lavoro si è trasformata, sempre in funzione della flessibilità e della riduzione dei costi. Tutto questo ha reso il lavoro, e anche il lavoratore, flessibile e spesso precario.
Una delle accuse mosse alla globalizzazione è stata così quella di aver creato disoccupazione insieme alla caduta dei salari degli operai europei e all'aumento dell'incertezza lavorativa e anche esistenziale. Sono stati soprattutto i lavoratori non qualificati, non specializzati, a subire il rischio della riduzione del salario e anche della perdita del lavoro.
La globalizzazione, come tutte le grandi trasformazioni, ha dunque imposto dei costi umani e sociali. Compito delle istituzioni sovranazionali, ma anche degli Stati, è quello di compensare e correggere questi costi. Gli Stati, nazionali possono intervenire attraverso un adeguato sistema di Welfare State, che è ancora, nelle nostre economie, il modo più efficiente per distribuire le risorse e la ricchezza, per offrire servizi nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale continua, sostenendo chi è stato colpito da trasformazioni economiche con un adeguato sistema di tutele lavorative.
La competizione con merci meno costose provenienti da Paesi extraeuropei ha portato le aziende a recuperare la concorrenzialità riducendo l'alto costo del lavoro: molte imprese hanno così diminuito il numero degli occupati e, usufruendo di nuove norme sul lavoro a tempo determinato, hanno iniziato ad assumere lavoratori per limitati periodi di tempo, in base alla esigenze produttive.
Anche l'organizzazione del lavoro si è trasformata, sempre in funzione della flessibilità e della riduzione dei costi. Tutto questo ha reso il lavoro, e anche il lavoratore, flessibile e spesso precario.
Una delle accuse mosse alla globalizzazione è stata così quella di aver creato disoccupazione insieme alla caduta dei salari degli operai europei e all'aumento dell'incertezza lavorativa e anche esistenziale. Sono stati soprattutto i lavoratori non qualificati, non specializzati, a subire il rischio della riduzione del salario e anche della perdita del lavoro.
La globalizzazione, come tutte le grandi trasformazioni, ha dunque imposto dei costi umani e sociali. Compito delle istituzioni sovranazionali, ma anche degli Stati, è quello di compensare e correggere questi costi. Gli Stati, nazionali possono intervenire attraverso un adeguato sistema di Welfare State, che è ancora, nelle nostre economie, il modo più efficiente per distribuire le risorse e la ricchezza, per offrire servizi nel campo della sanità, dell'istruzione e della formazione professionale continua, sostenendo chi è stato colpito da trasformazioni economiche con un adeguato sistema di tutele lavorative.