Nella costellazione simbolica pascoliana, cioè nel suo mondo più o meno spontaneo si simboli e significati, l'immagine simbolica decisiva è quella del nido. Si tratta anzitutto di un'immagine reale, perché molte poesie vedono gli uccelli quali protagonisti. Ma il nido vale soprattutto come metafora:
Il mistero della vita, scrive Pascoli nella Prefazione ai Nuovi poemetti, è grande e il meglio che ci sia da fare è di stare stretti più che si possa agli altri.
Accanto al simbolo del nido, la figura della madre: la primordiale custode dei riti e dei sentimenti di quanti vivi e morti, uniti indissolubilmente, si riconoscono nel nido o gli sono appartenuti. Perciò all'immagine del nido si lega quella della culla, sorta di prolungamento del seno materno: il bambino si addormenta tranquillo in braccio alla mamma, dimentica ogni insicurezza, come in un'ovatta candida, anche se fuori infuria la tempesta. E' il mito poetico cantato in La mia sera.
- nido è la casa, in cui rinchiudersi per sfuggire al male che sta fuori;
- nido è la famiglia, oltre al quale, per il poeta fanciullo, vi sono solo i malvagi;
- nido è, per estensione, anche la patria, madre dei suoi figli (cantata dal Pascoli nazionalista).
Il mistero della vita, scrive Pascoli nella Prefazione ai Nuovi poemetti, è grande e il meglio che ci sia da fare è di stare stretti più che si possa agli altri.
Gli studiosi hanno voluto esaminare in chiave psicologica questo motivo poetico del nido; a loro giudizio, esso è un sintomo:
- della regressione all'infanzia di Pascoli, cioè del suo desiderio di tornare alla condizione infantile di sicurezza;
- della sua istintiva diffidenza verso ciò che è sconosciuto, verso il mondo esterno o adulto;
- della volontà, per reazione, di restare chiusi e protetti in una piccola cerchia di affetti familiari (la casa, la sorella più cara);
- in senso più estensivo, si è visto nel nido un riflesso delle paure che un giovane della società rurale di fine Ottocento nutriva verso la civiltà industriale e borghese.
Accanto al simbolo del nido, la figura della madre: la primordiale custode dei riti e dei sentimenti di quanti vivi e morti, uniti indissolubilmente, si riconoscono nel nido o gli sono appartenuti. Perciò all'immagine del nido si lega quella della culla, sorta di prolungamento del seno materno: il bambino si addormenta tranquillo in braccio alla mamma, dimentica ogni insicurezza, come in un'ovatta candida, anche se fuori infuria la tempesta. E' il mito poetico cantato in La mia sera.
La crisi dell'uomo contemporaneo
Le immagini del nido e della madre sono già interpretate come una reazione al male, a un contesto negativo: il nido è principalmente un rifugio, protetto dalla complicità di chi lo abita, contro il dolore, i lutti, le violenze del mondo. Tutto Pascoli si avvia dall'evento-choc consumatosi quando il poeta aveva solo dodici anni: il padre in una pozza di sangue, ucciso da una cieca violenza. Tutta la storia, da qui in poi, appare cattiva al poeta, e infatti l'immagine del nido si accompagna regolarmente a quella dei pericoli che incombono ai suoi danni. Solo nel nido si può vivere; fuori ci sono unicamente solitudine e incomprensione. perciò nella poesia pascoliana non c'è vita di paese, manca quel tessuto di relazioni sociali che costituisce invece lo sfondo della società contadina, e che si percepisce anche, per esempio, negli idilli leopardiani.
Se le cose stanno così, il male più grande, per Pascoli, è la dispersione del nido, il suo sciogliersi: per esempio quando si deve lasciare la casa, come si narra in Romagna, una delle prime poesie di Myricae; oppure quando muore un fratello o la madre; o ancora, se qualcuno della famiglia si allontana, per sposarsi. Ogni partenza dal nido è un tradimento: così viene giudicato il fidanzamento della sorella Ida in Per sempre. E' la biografia stessa di Pascoli a testimoniarci la sua incapacità di uscire dal nido, cioè di misurarsi con le difficoltà del mondo e di vivere un'esistenza adulta.
Alla fine, il nido pascoliano, questa sorta di limbo incantato, che difende chi sta dentro da ogni incursione della vita reale; questo tentativo di recuperare l'infanzia come un'età dell'oro, unico tempo davvero sereno, perché non è soggetto alle delusioni e ai rischi del vivere, divene un simbolo poetico dell'inettitudine, dell'incapacità di vivere raffigurata da molti scrittori del Novecento. Soprattutto Myricae e i Canti di Castelvecchio sono libri colmi di inquietudini, di dolorosi presentimenti; l'idillio vi appare continuamente turbato, sempre sull'orlo di spezzarsi. Con grande efficacia queste due raccolte poetiche danno voce al fondamentale disagio e alla crisi esistenziale dell'uomo contemporaneo.