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Tesina sull'Estetismo

La concezione secondo cui qualsiasi rappresentazione oggettiva della realtà è, inevitabilmente, limitata si traduce anche sul versante della narrativa: i narratori del Decadentismo rinunciano al ruolo pubblico di missionari dei valori del progresso scientifico e sociale e rivolgono, piuttosto, la loro attenzione al culto della bellezza intesa come fine a se stessa. Nasce da qui la tendenza all’estetismo (dal greco aisthetis, sensazione), cioè la tendenza al’arte per l’arte, che è uno dei temi maggiori della letteratura decadente; un motivo spesso associato alla contemplazione di una bellezza sfiorente, che ha ormai raggiunto l’apice e sta ora spegnendosi lentamente.
Un primo divulgatore dell’Estetismo fu il critico d’arte inglese Walter Pater (1839-94), che fece conoscere al pubblico d’Oltremanica le raffinatezze dell’arte rinascimentale italiana.
Il primo personaggio figlio della narrativa decadente fu Des Esseintes, protagonista di Controcorrente o A Ritroso (titolo originale in francese: A rebours, 1884), opera dello scrittore francese Joris Karl Huysmans (1848-1907). Il romanzo incontrò vivo successo, tanto da essere ribattezzato la Bibbia del Decadentismo; Des Esseintes divenne il prototipo del dandy, l’esteta, malato di bellezza, e perciò isolato dal mondo comune, che egli giudica troppo volgare.

Questa figura dell’esteta fu poi rapidamente replicata in altri due tipici esteti:
  1. Andrea Sperelli, protagonista del romanzo Il piacere (1889) di D’Annunzio;
  2. Dorian Gray, il gentiluomo demoniaco dell’omonimo romanzo (Il ritratto di Dorian Gray, 1890) di Oscar Wilde (1854-1900).
I romanzi citati, improntati a un culto della sensazione raffinata, estraneo a ogni scopo realistico diffusero in tutta Europa l’idea che sono le sensazioni estetiche, ben più dei convincimenti morali, il modello cui conformare i comportamenti individuali. In base a questa concezione, non importa compiere azioni buone, bisogna invece che le proprie azioni siano sempre belle. Scrittori come D’Annunzio e Wilde sono stati così coerenti nel loro immoralismo da trasformare la propria vita in un seguito di scandali.
A tale venerazione per il bello, per una perfezione artistica da raggiungersi con una preziosa ricerca tecnica, si richiamavano in quegli anni anche altre esperienze artistiche, come:
- le teorie del critico inglese John Ruskin (1819-1900), polemico con la civiltà industriale, e la pittura preraffaellita dell’inglese Dante Gabriel Rossetti (1828-82), che aveva quindi recuperato il modello degli ingenui pittori vissuti prima (pre-) di Raffaello;
- un gruppo di poeti francesi, emuli di Baudelaire e chiamati parnassiani per il loro desiderio di allontanarsi dalla realtà volgare e immergersi nella remota sfera del bello (il Parnaso era, nell’antichità il monte delle Muse, dee della poesia.
- il raffinato lavorio tecnico sulla parola compiuto da poeti come Pascoli e D’Annunzio nelle loro raccolte liriche.
Ben diversa posizione assumeranno le avanguardie di primo Novecento: esse semmai si sforzano di smontare l’involucro della bellezza tradizionale, utilizzando linguaggi non figurativi.

La posizione di Pascoli e D’Annunzio
I due principali autori del Decadentismo italiano, almeno nella prima fase, furono D’Annunzio e Pascoli.
Entrambi, lo abbiamo detto, vanno ascritti all’Estetismo di fine Ottocento.
Infatti in Gabriele D’Annunzio (1863-1938) l’estetismo si manifesta con il contributo fra arte e vita, nell’ambizione cioè a fare la vita come un’opera d’arte: è il significato fondamentale, afferma se stesso e la propria volontà di potenza (c’è qui un’eco della filosofia di Nietzsche), senza riguardo per le regole sociali o per la morale corrente. Tale soggettivismo, l’attenzione spasmodicamente fissata su di sé, contrassegna un po’ tutte le opere di D’Annunzio, in prosa e in versi, anche quando, come in Notturno (1916-21), lo scrittore metterà in scena un io debole e malato.
Non un superuomo, ma un fanciullino, è invece l’io poetico in cui si riconosce Giovanni Pascoli (1855-1912). La differenza è grande, eppure il fanciullino pascoliano condivide con il superuomo dannunziano l’esasperato individualismo: tutto nasce dall’io-poeta, che si pone come centro del mondo. E’ infatti dallo sguardo incantato sulle cose del fanciullino che scaturisce la novità delle poesie di Myriace (1891). Il poeta-fanciullo di Pascoli però, benché diminuito nella sua dignità rispetto ai poeti-vati di un tempo, non si vergogna di essere un poeta, come invece accadrà, di lì a pochissimo, ai crepuscolari.



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