La forma è la “parte fissa” che l’uomo è costretto dalle convenzioni sociali a “recitare” e per mezzo della quale egli s’inserisce nelle relazioni sociali che, prese nel loro insieme, appaiono come un complesso e gigantesco “gioco delle parti”. La vita invece è un fluire continuo e dinamico che la nostra coscienza, quando afferra un lembo della nostra esperienza, s’illude di fermare. L’individuo è portato, dal “vizio” del raziocinio, a fissare il fluire continuo della vita in forme stabili, quali i valori mortali, gli ideali, i concetti, gli assiomi, le convenzioni e i ruoli e tutte le altre costruzioni della mente che però si rivelano fittizi.
La forma “uccide” la vita perché pretende di fissare ciò che è mobile, mutabile, fluido, perché tende a dare un valore assoluto a ciò che è relativo. Ma, in effetti, la vita non è assolutamente riducibile a qualcosa di fermo e d’immobile, dato che esse fluisce sempre. Anzi, paradossalmente, la vita continua anche quando muore, perché, se la vita di un individuo finisce, continuano a vivere gli altri, continua il mondo.
Se la vita fluisce continuamente, mentre le forme pretendono di fermarla, tuttavia le infinite possibilità della vita possono rivelarsi agli individui, sua pure riduttivamente, solo attraverso quei ruoli che le convenzioni sociali impongono. Così l’individuo s’illude, calandosi in ognuna di queste “forme”chiuse che sono i ruoli imposti dal suo relazionarsi sociale, di aver realizzato il meglio di sé; ma, una volta assunta la “forma”, una volta calatosi nella parte, l’uomo non può liberarsene, la società non glielo permetterebbe.
L’uomo costretto nelle “forme” imposte dalle convenzioni sociali, specie di maschere attraverso cui l’individuo s’illude di conoscersi, non può, in realtà, mai essere se stesso, avendo di sé un’immagine falsa e incompleta, che non consente né di conoscere se stesso né che gli altri possano conoscerlo. L’individuo ora è uno, ora è un altro, ora è un altro ancora, per cui è centomila e quindi nessuno, come afferma il titolo della celebre opera pirandelliano Uno, nessuno e centomila.
La forma “uccide” la vita perché pretende di fissare ciò che è mobile, mutabile, fluido, perché tende a dare un valore assoluto a ciò che è relativo. Ma, in effetti, la vita non è assolutamente riducibile a qualcosa di fermo e d’immobile, dato che esse fluisce sempre. Anzi, paradossalmente, la vita continua anche quando muore, perché, se la vita di un individuo finisce, continuano a vivere gli altri, continua il mondo.
Se la vita fluisce continuamente, mentre le forme pretendono di fermarla, tuttavia le infinite possibilità della vita possono rivelarsi agli individui, sua pure riduttivamente, solo attraverso quei ruoli che le convenzioni sociali impongono. Così l’individuo s’illude, calandosi in ognuna di queste “forme”chiuse che sono i ruoli imposti dal suo relazionarsi sociale, di aver realizzato il meglio di sé; ma, una volta assunta la “forma”, una volta calatosi nella parte, l’uomo non può liberarsene, la società non glielo permetterebbe.
L’uomo costretto nelle “forme” imposte dalle convenzioni sociali, specie di maschere attraverso cui l’individuo s’illude di conoscersi, non può, in realtà, mai essere se stesso, avendo di sé un’immagine falsa e incompleta, che non consente né di conoscere se stesso né che gli altri possano conoscerlo. L’individuo ora è uno, ora è un altro, ora è un altro ancora, per cui è centomila e quindi nessuno, come afferma il titolo della celebre opera pirandelliano Uno, nessuno e centomila.