di Cesare Beccaria
Commento:
L’opera affronta il problema della legislazione criminale con una modernità così risoluta, che appare subito com'era in effetti, violentemente rivoluzionaria. Il Beccaria afferma che la pena di morte è inutile, assurda la tortura, ancora usata ai suoi tempi negli interrogatori, come procedura normali, e che le pene debbono essere miti, non intese a straziare il reo, ma a distogliere con la minor crudeltà possibile gli altri dal compiere gli stessi delitti.
Egli rigetta il concetto delle pene come vendetta (residuo delle barbarie germanica-medievale) o come espiatore e purgatore del reo (secondo la sensibilità cristiana propria della teocrazia medioevale) ponendosi così risolutamente contro tutta la giurisprudenza tradizionale. Pone, poi, una netta distinzione tra il peccato, la punizione del quale deve essere lasciato a Dio, e che deve considerare da un punto di vista strettamente giuridico, applicando le leggi da lei stabilite e uguali per tutti.
I principi del Beccaria sono ispirati all'idea dello Stato come contratto, come libera associazione di individui, rivolta ad un fine di utilità comune. Di qui egli deduce l’inutilità della pena di morte e la sua illegalità, dato che nessuno, nell'originario contratto sociale, può avere affidato alla società il diritto di ucciderlo. Ma al di là di questo rigoroso utilitarismo, l’intima ispirazione dell’opera è morale e umanitaria. “Non è libertà” afferma il Beccaria, ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere la santità della persona umana, va ricercata l’ispirazione profonda dell’autore.
Commento:
L’opera affronta il problema della legislazione criminale con una modernità così risoluta, che appare subito com'era in effetti, violentemente rivoluzionaria. Il Beccaria afferma che la pena di morte è inutile, assurda la tortura, ancora usata ai suoi tempi negli interrogatori, come procedura normali, e che le pene debbono essere miti, non intese a straziare il reo, ma a distogliere con la minor crudeltà possibile gli altri dal compiere gli stessi delitti.
Egli rigetta il concetto delle pene come vendetta (residuo delle barbarie germanica-medievale) o come espiatore e purgatore del reo (secondo la sensibilità cristiana propria della teocrazia medioevale) ponendosi così risolutamente contro tutta la giurisprudenza tradizionale. Pone, poi, una netta distinzione tra il peccato, la punizione del quale deve essere lasciato a Dio, e che deve considerare da un punto di vista strettamente giuridico, applicando le leggi da lei stabilite e uguali per tutti.
I principi del Beccaria sono ispirati all'idea dello Stato come contratto, come libera associazione di individui, rivolta ad un fine di utilità comune. Di qui egli deduce l’inutilità della pena di morte e la sua illegalità, dato che nessuno, nell'originario contratto sociale, può avere affidato alla società il diritto di ucciderlo. Ma al di là di questo rigoroso utilitarismo, l’intima ispirazione dell’opera è morale e umanitaria. “Non è libertà” afferma il Beccaria, ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere la santità della persona umana, va ricercata l’ispirazione profonda dell’autore.