La struttura
In questo capitolo e nel successivo, Manzoni interrompe nuovamente il racconto per lasciare spazio a un'altra digressione, che ha per oggetto le origini e lo sviluppo del nuovo flagello: la peste.Il testo è articolato in varie parti: la descrizione del diffondersi dell'epidemia; il riferimento all'inefficienza dei governanti e all'intempestività dei loro provvedimenti; l'analisi del comportamento della gente, ostinata in un primo tempo a negare che si tratti di peste e costretta poi dall'evidenza ad ammettere la terribile realtà del contagio; il resoconto delle prime manifestazioni di follia collettiva, espressa nelle accuse al protofisico Settala, nell'irrazionalità dei gesti e nelle convinzioni che attribuiscono ai cosiddetti untori la responsabilità di spargere la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malie.
Dal punto di vista della collocazione del capitolo nella struttura generale del romanzo, la sua duplice finalità è spiegata dall'autore stesso: presentare lo sfondo storico nel quale si svilupperanno le ultime avventure dei protagonisti e illustrare un periodo della storia patria più famoso che conosciuto.
La narrazione, inoltre, non è staccata dai capitoli precedenti, perché richiama alcuni aspetti del XXVIII capitolo.
I nuclei tematici
L'illustrazione del proprio metodo storiograficoRinunciando a rappresentare i personaggi e riducendo ai minimo il ricorso all'immaginazione, per sviluppare un discorso che si vuole rigorosamente storico, l'autore non può non esporre i punti principali del suo metodo storiografico:
- ricorso alle fonti: è necessario consultare i documenti dell'epoca che forniscono le notizie utili alla ricostruzione dei fatti storici. Tuttavia, il giudizio sulle relazioni contemporanee non è molto positivo: nessuna è chiara e completa; tutte contengono degli errori e una strana confusione di tempi e di cose, dovuta al fatto che gli storici del XVII secolo non si servivano delle categorie di causa, effetto e sviluppo;
- utilizzo di un procedimento scientifico, consistente nell'esame e nel confronto tra le relazioni, edite e inedite. L'autore però, mosso dalla precisa coscienza dei limiti del lavoro dello storico, dichiara di non avere alcuna pretesa di completezza e, pertanto, di considerare inutile la lettura dei testi originali.
Più in particolare, questo metodo si precisa nelle seguenti fasi:
- analisi dei fatti più generali e più importanti;
- disposizione dei medesimi in ordine cronologico di causa-effetto;
- studio dei loro rapporti e delle influenze reciproche.
L'informazione (la notizia), pur essendo necessariamente sintetica, risulterà vera, cioè costruita a partire dalle fonti, e continuata, cioè in grado di mettere in luce lo sviluppo temporale e le connessioni tra gli eventi. Come vedremo infine, l'autore non si pone esclusivamente come storico, ma anche come moralista che commenta e giudica i fatti narrati.
Il resoconto del diffondersi del contagio
La precisazione di carattere metodologico è seguita dal resoconto che si ricollega esplicitamente a quanto era stato etto nel capitolo XXVIII. Si spiega così la presenza della congiunzione adunque: è come se la narrazione riprendesse, con assoluta naturalezza, dal capitolo XXVIII.
All'autore non interessa una ricerca sulle forze che producono la malattia o una descrizione di quest'ultima in termini medici: egli è interessato, piuttosto, allo studio dei comportamenti umani, a mettere in luce le reazioni degli uomini, che si trovarono coinvolti in quelle vicende.
Tra tutti coloro che espressero la propria opinione, solo due persone dimostrarono un atteggiamento sensato: il cardinale Borromeo che, distinguendosi ancora una volta per la sua mentalità aperta e la sua perspicacia, prescrisse alcune importanti misure (denunciare i casi di contagio e consegnare le robe infette); il protofisico Settala che, pur non essendo alieno da pregiudizi ed errori, fu una vittima, coraggiosa e inascoltata, dell'ignoranza e della superstizione generale.
Tuttavia, ciò che più colpisce il lettore è la stupida e micidiale fiducia, da parte di tutti, che non ci fosse la peste. Il giudizio del narratore, diventato particolarmente severo, si focalizza sui principali responsabili di questo aspetto della vicenda, sottolineato da un crescendo di indifferenza, ignoranza e ottusità:
-il governatore Spinola: si interessa solo dell'andamento della guerra, il cui sviluppo lo assorbe completamente; senza rendersi conto della gravità del suo provvedimento, che sembra fatto apposta per diffondere il contagio, ordina festeggiamenti pubblici per la nascita dell'erede al trono di Spagna;
-gli organi di governo: adottano gli avvertimenti del tribunale della sanità quando ormai i rimedi sono inutili; con la pubblicazione delle gride confermano, seppure indirettamente, l'esistenza degli untori;
- i medici: la maggior parte di essi non crede al contagio, tranne poche eccezioni (Tadino, Settala); quando, infine, non possono più negare l'esistenza del morbo, ricorrono ad una trufferia di parole: si tratta di febbri maligne, febbri pestilenti; non vedono ciò che è più importante: che il male s'attaccava per contatto;
- il popolo: non vuole ammettere la presenza della malattia; si rifiuta di denunciare gli ammalati e, pur di evitare il lazzeretto, corrompe becchini e i loro soprintendenti, oltre ai subalterni del tribunale; perseguita i medici Tadino e Settala; arriva ad attribuire le cause del contagio all'azione di untori, che operano per mezzo di veleni e incantesimi.
Nello sfacelo generale della società, si salvano soltanto il già ricordato Federigo e i cappuccini, alla cui generosa carità vengono affidate l'organizzazione e la gestione del lazzeretto. La prospettiva del moralista che, raccontando i fatti, li interpreta e li giudica, non è mai astratta, perché lo scrittore è impegnato nella ricerca della verità, attraverso un'analisi sempre lucida e spietata, con la quale fa emergere il rovescio della ragione, il negativo delle azioni umane. In parallelo, emergono i tratti di una società ideale che, animata dalla solidarietà e dalla carità, è visibile nell'impegno eroico dei cappuccini e nelle premure del cardinale Borromeo. La carestia, la guerra e la peste si vanno sempre più precisando come una metafora del male dell'esistenza, attraverso cui l'uomo deve passare per maturare la propria personalità e recuperare i valori positivi della vita.