Dove: a Milano.
Quando: dal maggio all'agosto 1630.
Chi: le autorità e il popolo di Milano, il cardinal Federigo.
Sintesi
L'appello dei decurioni al governatoreNel maggio del 1630 la situazione della città di Milano si é fatta cosi difficile, anche dal punto di vista finanziario, che il consiglio dei decurioni decide di rivolgersi al governatore perché adotti provvedimenti adeguati. Ma Ambrogio Spinola, tutto preso dall'assedio di Casale, si limita a vaghe promesse e in seguito trasferisce il potere nelle mani di Antonio Ferrer. Inoltre, la guerra terminerà riconoscendo come legittimo duca proprio quel Carlo di Nevers per cui era stata combattuta, con lo scopo di escluderlo dal potere.
La richiesta della processione solenne
I decurioni chiedono al cardinale di indire una processione solenne con le spoglie di san Carlo Borromeo. Federigo in un primo tempo rifiuta, sia perché non vuole incoraggiare atteggiamenti superstiziosi sia perché teme che quell'evento favorisca il diffondersi della malattia, tanto più nell'ipotesi che gli untori esistano davvero. Il sospetto delle unzioni era infatti andato crescendo, perché la popolazione esasperata era alla ricerca di qualcuno su cui scatenare la propria collera. Due episodi ripresi dal Ripamonti lo dimostrano: il linciaggio a cui fu sottoposto un vecchio che, in chiesa, aveva spolverato la panca prima di sedersi, e l'arresto di tre giovani francesi, colti a toccare il marmo del duomo. I tre furono poi rilasciati, ma la loro vicenda è la prova del clima di «caccia all'untore» che ormai regna in città.
Federigo cede alle insistenze e permette la processione
Di fronte alle rinnovate richieste dei decurioni, Federigo autorizza la processione con il corpo di san Carlo. L'undici giugno, una folla di ogni età e condizione vi partecipa; il giorno successivo, il numero dei morti ha un'impennata. Tuttavia, anziché individuare la causa di tale evento nel grande afflusso di folla, si accentua la responsabilità degli untori che si sarebbero serviti di polveri venefiche (nessuna traccia di sostanze solide).
La situazione nel lazzeretto e nella città
Il numero dei malati concentrati nel lazzeretto sale a sedicimila; già il 4 luglio le morti giornaliere sono più di cinquecento, tanto che alla fine della peste la popolazione di Milano è ridotta a meno di un quarto. Allo sgombero dei cadaveri, alla loro sepoltura, al ricovero dei malati al lazzeretto, all'eliminazione della roba infetta o sospetta, provvedono i monatti; il loro carro è preceduto dagli apparitori che, agitando un campanello per avvertire del loro passaggio, permettono alla gente di allontanarsi. La situazione diventa sempre più tragica: muoiono d'abbandono molti bambini ai quali è morta la madre di peste, vengono a mancare i medici e si riesce con difficoltà a reperirne di nuovi, i viveri scarseggiano sempre più.
Poiché la città è piena di cadaveri insepolti, le autorità si rivolgono nuovamente ai cappuccini che, nel giro di pochi giorni, fanno scavare ampie fosse comuni intorno al lazzeretto. Arrivano ogni tanto aiuti da parte di privati, ma soprattutto si distinguono per abnegazione i religiosi, sempre pronti ad accorrere dove è richiesto il loro aiuto, spronati incessantemente dall'esempio del cardinale.
Il degrado morale, le fantasie deliranti, i processi agli untori
Il disordine portato in città dalla peste facilita l'opera di quanti, cinicamente, vogliono approfittare della situazione per il loro tornaconto, anzitutto i monatti, che ricattano la popolazione per estorcerle denaro. Nel clima di sospetto diffuso, anche i rapporti familiari si deteriorano, perché si temono contagi perfino nell'ambito della famiglia. L'ossessione per le unzioni induce addirittura alcuni malati ad autodenunciarsi nel delirio della febbre e alimenta le storie più fantastiche. La follia collettiva corrompe anche gli uomini di cultura: alcuni dotti sostengono che le ragioni della peste sono da ricercarsi in una cometa apparsa nel 1628 o in una congiunzione di Saturno con Giove; persino i medici più preparati, come il Tadino, cominciano a dar credito alle ipotesi più strane e lo stesso cardinal Federigo si mostra incerto su tale argomento. I pochi che non credono alle dicerie non osano opporsi apertamente all'opinione dei più colti. In questo clima di paura i magistrati, nell'intento di tutelare e rassicurare la popolazione, scatenano una vera e propria caccia agli untori, dando così indirettamente credito alla loro esistenza.
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