L'arrivo del capitano di giustizia |
La digressione sulla carestia
A livello di struttura, la lunga digressione (righe 1248) che apre il capitolo occupa il tempo necessario a Renzo per giungere da Porta Orientale al luogo del tumulto, raccontando in flashback le premesse dell'assalto ai forni che, nella realtà storica, avvenne a Milano il giorno di san Martino del 1628. Il narratore aveva annunciato il flashback alla fine del capitolo precedente.Non si tratta di pagine staccate dal resto della narrazione perché, in primo luogo, la storia è un elemento essenziale del romanzo: come si descrive il passato di un personaggio (fra Cristoforo, la monaca di Monza) per comprenderne meglio la personalità, così si analizza un episodio storico di rilievo, mettendone in luce le cause e gli effetti, per conoscere le forze e gli obiettivi che muovono l'agire umano. Nella vicenda storica s'inserisce il personaggio di Renzo (la finzione si intreccia alla verità) che esce profondamente cambiata dalla traumatica esperienza, sfondo della movimentata "avventura" del giovane.
Dapprima il narratore presenta le condizioni della popolazione alla vigilia del raccolto del 1628, scarso per il secondo anno consecutivo. Egli passa quindi ad analizzare le cause che hanno prodotto un raccolto più misero di quelli precedenti, individuando due motivi: le cattive condizioni climatiche e la responsabilità umana, soprattutto quella dei governanti.
Dalle cause agli effetti: vi è penuria di grano e, di conseguenza, i prezzi salgono (rincaro), il consumo si riduce (perché la gente non ha abbastanza denaro) e si spreca di meno. Ecco perché il narratore definisce il rincaro «doloroso, ma salutevole». Però, l'opinione comune non attribuisce tale fenomeno all'effettiva scarsità del prodotto, ma ne dà un'altra spiegazione: il grano c'è, tuttavia non se ne vende a sufficienza per il consumo. E naturale prendersela con coloro che, pur avendolo, lo nascondono: gli incettatori, i proprietari di terre, i fornai. L'analisi si sofferma quindi sulle reazioni popolari al provvedimento: cominciano a diffondersi voci incontrollabili, secondo cui i magazzini traboccano di grano, mentre, contemporaneamente, si esportano granaglie all'estero. La situazione richiede dei provvedimenti. Il primo tentativo è nullo, perché gli editti contro gli incettatori non servono ad aumentare la circolazione di merci di cui c'è reale penuria. Il secondo, compiuto dal cancelliere Ferrer (in carica negli anni fra il 1611 e il 1632), si rivela nulla più che un artificio, perché abbassa il prezzo del pane, mentre rimane altissimo il costo delle materie prime. Cresce il malcontento dei fornai, ma la posizione di Ferrer nei loro confronti è chiara: erano stati ricchi in passato e lo sarebbero stati di nuovo con il ritorno dell'abbondanza; forse inoltre sarebbero stati risarciti; intanto, tirassero avanti come potevano. Il terzo tentativo è quello del governatore, don Gonzalo Fernandez de Cordova, il quale, impegnato a risolvere difficoltà secondo lui ben più serie, scarica su un'apposita commissione la responsabilità di fissare il prezzo del pane. Di nuovo il rincaro, di nuovo il malcontento popolare: si ritorna agli effetti iniziali.
I personaggi
La folla
Vera protagonista del capitolo è la folla, con i suoi umori e le sue reazioni istintive che si manifestano nel duplice assalto al forno delle grucce e alla casa del vicario di Provvisione. La presentazione dell'assalto al forno permette al narratore di esprimere il proprio giudizio che, spesso ironico, lascia trasparire la pena, ma anche la condanna, verso uomini che, perduta ogni razionalità, si comportano in modo istintivo. Ciò spiega le metafore della tempesta e quelle zoomorfe. L'insieme di queste figure svolge la funzione di far condividere dal lettore il giudizio negativo espresso dall'autore. L'uso frequente della paratassi sottolinea efficacemente l'irrazionalità dei gesti, la perdita del controllo di sé che si traduce nella distruzione del forno e nello spreco incosciente della farina.
Il capitano di giustizia
Di rilievo anche la figura del capitano di giustizia, rappresentante del potere. La coppia folla/capitano rimanda al binomio violenza/ipocrisia. Il capitano di giustizia usa un linguaggio che prima maschera poi rivela i suoi sentimenti. Nel suo discorso, domina la figura retorica dell'enfasi, soprattutto quando egli fa appello ai valori morali. Il riferimento all'autorità divina (il timor di Dio) e a quella politica (il re) non implicano che egli creda realmente alle sue parole, come rivela, subito dopo, il ricorso a paternalistiche lusinghe per ottenere ciò che l'appello ai valori non aveva prodotto. Il passaggio alla verità è segnato ancora una volta dal linguaggio, che si conferma una spia importante del carattere dei personaggi. L'ipocrisia richiede un linguaggio misurato, in questo caso paterno e protettivo. La verità, lo stato d'animo reale, si esprime in toni violenti e scomposti: da figliuoli a canaglia.
Renzo
In questa tragica rappresentazione dello scontro tra il potere e gli oppressi, Renzo svolge ancora un ruolo marginale, da spettatore più che da attore. Egli giunge in città la mattina dell'11 novembre, proprio quando l'agitazione sta per esplodere. Il giovane segue gli spostamenti della folla, che ora ritardano ora accelerano il suo cammino, ma, invece di ritornare al convento di Porta Orientale, si lascia prendere dalla curiosità, in marcia verso la casa del vicario di Provvisione. È in questa circostanza che Renzo agirà in prima persona, rinunciando al suo iniziale atteggiamento di pura passività, ma perdendo anche quella capacità di giudizio razionale che ancora lo distingueva in questo primo tempo (ricorda le battute da lui pronunciate a proposito della devastazione dei forni e del falò degli attrezzi).