Struttura
Il capitolo presenta due poli di aggregazione dell'azione narrativa: il palazzotto di don Rodrigo e la casa di Lucia. La struttura binaria caratterizza anche le due parti, uguali e contrarie, nelle quali si divide il racconto: nella prima, è scoperto l'imbroglio di don Rodrigo; nella seconda, si tratta un imbroglio che verrà scoperto più tardi. Binario è anche il tema della Provvidenza: intervento sicuro di Dio, che non abbandona i suoi protetti (è il "filo", cui accenna il frate); invito di Lucia a lasciar fare a "Quello lassù".Infine, assistiamo a un doppio scontro verbale: inizialmente, c'è il "duello" tra padre Cristoforo e don Rodrigo; poi, la disputa di Renzo e Agnese contro Lucia. Per concludere, presenta una struttura binaria anche la discussione tra Renzo e Tonio che, inizialmente perplesso, finisce poi per convincersi e accettare la richiesta dell'amico.
Le tecniche narrative
Il dialogo
Anche in questo, come in altri capitoli, hanno grande importanza le parole che i personaggi pronunciano e scambiano tra loro. Di conseguenza, si spiega la presenza dominante del dialogo, scelta di notevole efficacia espressiva e qui particolarmente valorizzata, principalmente per due ragioni:
- permette al narratore di raccontare l'intreccio in modo più accattivante, senza lunghi interventi in forma di discorso raccontato. Sono i protagonisti stessi che, parlando, fanno progredire la storia;
- arricchisce il carattere di alcuni personaggi, che si va delineando con maggior precisione: l'arroganza di don Rodrigo, il suo uso della forza e del prestigio sociale nei rapporti umani, ma anche il suo disagio di fronte a ciò che non comprende e che suscita il suo timore; la limpidezza morale di Lucia, il suo concetto di bene e male; la grettezza di don Abbondio che, grazie all'accenno di Tonio (quindi indirettamente, attraverso le parole di un altro), conosciamo nelle vesti di usuraio, la morale un po' superficiale e accomodante di Agnese ecc.
La voce del narratore
Non sono da trascurare gli interventi del narratore che, in questo modo, si ritaglia uno spazio personale, nel quale apre un colloquio, una specie di filo diretto, con il lettore. Ne sono un esempio le domande di natura morale che commentano il comportamento del vecchio servitore: in tal modo, il narratore, stimolando nel lettore le stesse domande, persegue il suo ideale di letteratura "utile" alla crescita morale del pubblico. In maniera meno palese, il narratore parla anche attraverso il discorso raccontato, ridotto tuttavia a poche frasi che segnano prevalentemente il passaggio da una sequenza all'altra.
I personaggi
Padre Cristoforo e don Rodrigo
Le prime pagine del capitolo sono occupate da una scena drammatica che vede contrapposti, per la prima volta, un personaggio negativo e uno positivo, due personalità diversamente orientate, due diverse concezioni di vita. Padre Cristoforo e don Rodrigo ci appaiono rappresentati in una dimensione figurativa, sembrano cioè due figure di un quadro, sebbene estremamente dinamico. Siamo di fronte alla scena di un duello. I due contendenti sono uno di fronte all'altro: in atteggiamento ostile don Rodrigo, piantato in piedi in mezzo alla sala, altezzoso e spavaldo; più sulle difensive, per il momento, padre Cristoforo.
Al posto delle armi, si utilizzano le parole.
In questa prima fase, padre Cristoforo fa un uso frequente della reticenza, che è una spia importante del suo carattere: la frase sospesa, la parola non detta, ma facilmente intuibile, rivelano un grande sfogo di autocontrollo, necessario per non danneggiare la causa dei suoi protetti; la reticenza dimostra inoltre che in lui si sta svolgendo la consueta lotta tra Ludovico e Cristoforo, tra l'uomo "vecchio" (aggressivo, impetuoso) e l'uomo "nuovo" (abituato alla disciplina, all'umiltà, alla pazienza). Anche il linguaggio muta, a dimostrazione della lotta interiore che egli sta affrontando: prima prega, propone, sceglie con cura le parole; poi, passa a un tono più infiammato, violento, che esprime ciò che veramente pensa.
Di fronte all'insopportabile provocazione, alla violazione aperta del più elementare codice d'onore, le due "anime" del frate si ricongiungono. Anche la gestualità serve a rappresentare il personaggio evidenziandone il carattere: il teschietto di legno che tiene fra le mani ci mostra infatti un padre Cristoforo proiettato verso un'altra dimensione, quella ultraterrena dei valori eterni.
Nel corso del duello, il ruolo di don Rodrigo è quello di un avversario che, fiducioso nelle proprie capacità, programma astutamente il proprio attacco. Intanto, le accuse: prima quella di temerarietà (padre Cristoforo ha osato darsi pensiero del suo onore), poi quella di essere una spia. Con l'intenzione di andarsene e di mettere fine allo sgradevole colloquio, il signorotto allude a qualche fanciulla che deve stare molto a cuore al frate. È come se, in un duello, uno dei due provocasse l'altro con una mossa che costringe l'avversario a uscire allo scoperto, prima dell'attacco finale. Tuttavia, inaspettatamente, l'espressione che doveva siglare la vittoria di don Rodrigo apre invece la fase finale, in cui da indiscusso vincitore si trasforma in vinto. L'infame proposta (Lucia venga a mettersi sotto la sua protezione) scatena l'ira di padre Cristoforo che si esprime ancora una volta nella gestualità: egli si appoggia fieramente sul piede destro, pone la mano sull'anca, punta l'indice; i suoi occhi sono infiammati, pieni dell'antico ardore. Le parole minacciose della profezia suscitano nell'altro oscuri timori.
Lo spavento di don Rodrigo non è semplicemente una grossolana reazione di fronte a un evento tanto terribile come la morte, ma qualcosa di più: sebbene egli si faccia forte della sua posizione sociale, dei pregiudizi nobiliari, di tutti quegli elementi che, insomma, ne fanno un "vincitore" agli occhi del mondo, non sembra però completamente chiuso alla dimensione religiosa, intuisce e sente oscuramente la presenza di Dio; anche se di un Dio potente e inesorabile, fatto a immagine dell'autorità (i governanti, gli uomini di potere) dominante a quel tempo. Don Rodrigo resta naturalmente quello che era prima, ma le parole di fra Cristoforo non sono state inutili: hanno gettato un seme di cui vedremo i fanti negli ultimi, drammatici capitoli del romanzo, dove don Rodrigo si appresterà ad affrontare il supremo giudizio.
Lucia, Agnese, Renzo
La scena si sposta quindi nella casa di Lucia, dove si imbastiscono nuove trame per sfuggire alla persecuzione del signorotto. In questa circostanza, si chiarisce la morale di Agnese, fondata su una visione del mondo estremamente realistica: ella sa come vanno le cose e sa anche che tentare di commuovere don Rodrigo e fargli cambiare idea è un'impresa disperata. Così, tenta con ogni mezzo di convincere i due promessi, partendo dal presupposto che "il fine giustifica i mezzi": il suo linguaggio è efficace e colorito, ricco di espressioni popolari che hanno le scopo di renderlo più convincente. Il tentativo riesce con Renzo, ma è più difficile persuadere Lucia. Per quanto desideri il matrimonio con Renzo, Lucia segue una linea morale limpida e pura che non le permette di ricorrere a compromessi: perciò nega per ora il suo consenso. La diversa statura morale dei personaggi è sottolineata anche dal diverso modo di esprimersi: piuttosto confuso quello di Agnese, che ha per esempio la tendenza a cambiare i soggetti delle frasi all'interno di uno stesso periodo; Lucia, invece, usa un linguaggio chiaro e lineare, proprio di chi è profondamente convinto della bontà dei principi in cui crede .
Nuclei Tematici
Il bene e il male
La discussione su ciò che è bene e ciò che è male è uno dei nuclei tematici fondamentali del capitolo; in esso, viene posto il problema del rapporto tra l'utile e la legge morale.
La morale autentica, sembra dire Lucia, non accetta compromessi: una cosa o è buona e lecita, oppure non lo è; in tal caso non bisogna farla. Tuttavia, Manzoni sa perfettamente, che il comportamento umano non è così lineare e, anche attraverso la caduta, può arrivare una faticosa conquista della verità. La morale di don Rodrigo, invece, è fondata sull'onore (che richiama il punto d’onore del discorso di Attilio, nel capitolo precedente): una parola che indica un privilegio di classe, di nascita (solo chi è nobile, possiede il senso dell'onore; tutti gli altri sono "villani" e "poltroni"), non una qualità dell'animo.
L’inganno
Il tema dell'imbroglio ricorre ripetutamente all'interno del capitolo. Esso si ritrova infatti nell'atteggiamento di don Rodrigo che, affermando con decisione la sua estraneità, tenta di invertire il suo ruolo con quello di padre Cristoforo. In seguito, lo vediamo rappresentato dall'osteria, dove ci si reca per architettare finzioni, e dalla casa di Lucia (che in genere, però, assume connotazioni positive), dove si prepara il matrimonio "per sorpresa".
La Provvidenza
Solo padre Cristoforo non ricorre mai all'imbroglio ma si affida alla Provvidenza che si serve dei mezzi più impensati per realizzare i suoi fini: la figura del vecchio servitore è il segno della presenza del bene anche laddove il male sembra essere dominante. L'interrogativo del narratore a proposito del comportamento del servo che, in un certo senso, "tradisce" il padrone, è un avvertimento a non badare esclusivamente alla forma, ma anche alla sostanza, che è quel «filo» inaspettato che la Provvidenza mette nelle mani del frate. E bene ricordare, comunque, che,nella visone manzoniana, la fede dell’uomo nell'intervento divino non elimina automaticamente il male dal mondo e non si sostituisce all'iniziativa dell’uomo.