L'esercito acheo, in preda all'angoscia, veglia, mentre Agamennone, turbato dalla difficile situazione, convoca i capi in assemblea e arriva a proporre di tornare in patria. Nestore, invece, dà come sempre un saggio consiglio e suggerisce di mandare un’ambasceria ad Achille, consapevole che egli è l’unico in grado di contrastare Ettore. Con la promessa di Agamennone di restituire Briseide ad Achille ed offrirgli splendidi doni, Fenice (antico precettore di Achille), Aiace e Odisseo si recano alla tenda dell’eroe. È il facondo Odisseo a esporre la proposta di Agamennone, ma Achille rifiuta le scuse e i tesori. Dopo aver addirittura espresso il suo progetto di ritornare in patria per vivere serenamente rinunciando alla gloria eroica, congeda i messaggeri. A nulla vale l’esortazione del vecchio Fenice, che lo ha allevato come un figlio, affinché desista dal suo proposito, deponendo i motivi dell’ira. Achille ritiene che l’offesa arrecatagli da Agamennone non possa essere cancellata né dai doni né dalle preghiere e non raccoglie neppure il rimprovero di Aiace di essere selvaggio nella sua ira. Tornati alla tenda di Agamennone, i messaggeri, gli riferiscono la risposta di Achille; Diomede, sdegnato, propone di riprendere i combattimenti.
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