Mesenzio, Lauso ed Enea durante la battaglia |
Giove convoca il concilio degli dei per conoscere le ragioni della guerra, contraria sia al suo volere sia al disegno del Fato: lo scontro fatale sarà quello contro Cartagine, e solo allora agli dei sarà lecito parteggiare per uno dei contendenti.
Venere si lamenta della furia di Turno e di tutti gli inganni di Giunone; aggiunge che rinuncerà piuttosto all'impero, purché le sia concesso di salvare Iulo, ma rimpiange che il Fato abbia costretto Enea ad abbandonare Troia se ora non gli è concessa la sede promessa.
Giunone replica dicendo che i Troiani sono in difficoltà per l'assenza di Enea, dovuta a una sua precisa scelta; inoltre polemicamente sostiene che anche Venere parteggia per i Troiani e ne aiuta le sorti; infine ricorda le antiche offese arrecatele. Giove alla fine è costretto ad accettare la guerra, ormai irreparabile, ma garantisce che i Fati troveranno la giusta via per risolvere il conflitto, sostenendo comunque la sua assoluta imparzialità.
Nel frattempo al campo troiano prosegue l'assedio, sempre più serrato, mentre gli assediati entro le mura reggono la difesa. Enea, che lasciato Evandro si era recato al campo degli Etruschi, accetta l'alleanza di Tarconte e si accinge a tornare dai suoi per mare, con trenta navi alleate. Durante la navigazione notturna gli si fanno incontro le antiche navi, trasformate in ninfe una di esse, Cimodocea, gli narra quanto è accaduto durante la sua assenza e lo sollecita ad accelerare il cammino per raggiungere gli uomini di Tarconte e di Evandro che, compiuto il viaggio per terra, lo attendono schierati, secondo i suoi ordini.
Quindi la ninfa sospinge la nave ammiraglia che veloce guida le altre. Infine, lo scudo sbalzato da Vulcano, levato al cielo da Enea, avverte da lontano i compagni del suo arrivo e li rincuora, mentre i nemici sono disorientati, vedendo una luce splendente circondare il comandante troiano. Turno non si perde d'animo, cerca di impedire lo sbarco, e invita i suoi a occupare la spiaggia e ricacciare i soldati nemici. Mentre la nave di Tarconte, incagliata su una secca, fa naufragio, iniziano furiosi e accaniti i combattimenti, nei quali si segnala, oltre a Enea, Pallante che con nobili parole incoraggia gli Arcadi in fuga davanti ai Latini e si getta egli stesso fra i nemici, di cui fa strage; anche il giovane Lauso, figlio di Mezenzio, schierato con Turno, dà nobile prova di sé (v. 443 e successivi).
Giuturna, sorella divina di Turno, lo incita ad andare in aiuto di Lauso, che Turno sostituisce nel duello fatale contro Pallante. Il giovane figlio di Evandro, meno esperto, meno crudele del nemico, accetta con molto coraggio lo scontro. Il giovane guerriero prega Ercole, antico ospite, di intervenire al suo fianco ma, pur dolente, l'eroe non lo può aiutare. Pallante affronta così da solo Turno: il suo primo attacco scalfisce appena il Rutulo, cui basta un solo colpo per trafiggerlo mortalmente. Il vincitore trionfa sul corpo caduto e vantandosi gli strappa un prezioso balteo istoriato.
La notizia della morte di Pallante raggiunge subito Enea che ne è sconvolto: si avventa nella mischia alla ricerca di Turno, dopo aver catturato quattro giovani da immolare sul rogo funebre di Pallante. Ascanio e gli assediati escono dal campo e si uniscono ai combattimenti. Giove, intanto, accorgendosi che Venere aiuta i Troiani, consente a Giunone di intervenire, a sua volta, in favore dei Latini, prolungando di qualche tempo la vita di Turno. La dea allora forma una vana immagine di Enea, che inganna il suo nemico, il quale si slancia all'inseguimento fin su una nave su cui crede che anche il Troiano abbia cercato scampo. Giunone interviene di nuovo e recide la gomena dell'ormeggio, dissolve il fantasma di Enea, spinge la nave fino ad Ardea, per portare così Turno in salvo. L'eroe, disperato per essere fuggito e temendo di essere accusato di viltà, vorrebbe uccidersi e solo l'intervento della dea lo trattiene dal compiere questo gesto.
Intanto il crudele Mezenzio entra in battaglia e infuria tra gli armati, sterminando i nemici, finché Enea gli muove incontro e lo affronta: la sua asta riesce a ferirlo ma quando Enea gli si avvicina per finirlo con la spada, il figlio Lauso si precipita a difenderlo cercando di distogliere il nemico dal padre. L'eroe troiano tenta di dissuaderlo dal battersi in un duello impari, ma il giovane impone lo scontro e lo assale: Enea non può fare altro che reagire e gli affonda la spada nel petto, dolente questo pur necessario epilogo; poi rimanda ai suoi la salma senza spogliarla delle armi.
Mentre Mezenzio cerca di curare la sua ferita, sulla riva del fiume, gli giunge la notizia della morte del figlio: sconvolto dall'idea di aver macchiato il nome di Lauso con le sue atrocità, fuori di sé dal dolore, egli ritorna nella mischia dove, nel secondo scontro con Enea trova la morte: nello spirare prega il nemico di sottrarre il suo corpo all'ira degli avversari e di consentire che sia sepolto con il figlio.
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