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Eneide Libro 2 - Riassunto

Appunto contenente il riassunto del libro II (secondo) dell'Eneide.
Enea fugge mentre Troia brucia, olio su tela di Federico Barocci, 1598, Galleria Borghese, Roma.

Nonostante sia ormai calata la notte, Enea, nel silenzio generale e fra l'attenzione degli astanti, comincia il suo doloroso racconto dell'ultima notte di Troia.

Ricorda come, mediante l'inganno del cavallo, i Greci fossero riusciti a entrare nella città. Fingendo di partire, essi abbandonano l'accampamento: i Troiani, illudendosi che la guerra sia finita, aprono le porte della città e vanno nell'antico campo greco, dove i nemici hanno lasciato un immenso cavallo di legno di cui non si comprende lo scopo. Alcuni pensano di portarlo nella città altri di distruggerlo: fra questi ultimi si schiera Laocoonte, sacerdote di Nettuno.

Viene catturato però Sinone, un greco che finge di essere caduto in disgrazia presso i compagni, e soprattutto di essere odiato da Ulisse: egli era compagno di Palamede, ucciso con accusa di tradimento causata dall'odio di Ulisse. Sinone racconta che, sconvolto dal dolore, aveva promesso di vendicare l'amico e proprio per questo si era attirato l'odio di Ulisse. Egli narra che i Greci, già a tempo stanchi della guerra avevano tentato di partire, ma erano stati bloccati dai veti: allora l'indovino Calcante li aveva consigliati di propiziarsi gli dei con un sacrificio umano e la vittima designata sarebbe stato proprio Sinone, che però era riuscito a mettersi in salvo; Sinone rafforza il suo racconto con una solenne e spergiura preghiera di clemenza.
Interrogato da Priamo sul significato del cavallo, il Greco afferma che dopo il furto del Palladio (la statua di Atena conservata nella città, furto di cui erano responsabili Ulisse e Diomede), tutto il campo greco era stato pervaso da funesti prodigi. Calcante allora aveva profetizzato che avrebbero dovuto partire subito per prendere nuovamente gli auspici e poi tornare a Troia e sconfiggerla; il cavallo lasciato è una sorta di compenso, in cambio del Palladio: se i nemici lo introdurranno in città, essa sarà salvata.

I troiani,ingannati dall'abile discorso di Sinone e, nello stesso tempo inclini a credere che la guerra sia finalmente finita, decidono di far entrare il cavallo in città: a nulla valgono le parole di Laocoonte, che, per la sua ostinazione è punito dall'ira degli dei: due immensi draghi sbucano improvvisamente dal mare e, dopo aver avvolto e stritolato nelle loro spire lui e i suoi due figli, si celano sotto lo scudo di Minerva, nel suo tempio. Anche questo mostruoso prodigio rafforza il racconto di Sinone: i Troiani aprono una breccia nelle mura per far entrare il cavallo, incuranti delle profetiche parole di Cassandra.

Durante la notte, mentre tutti dormono ignari, Sinone spalanca il ventre del cavallo, dal quale escono gli uomini in armi che vi si celavano; essi fanno entrare i compagni che, nel frattempo, si sono riavvicinati alla città, lasciando il nascondiglio dietro l'isoletta di Tenedo. Mentre Enea dorme, gli appare in sonno l'ombra sfigurata di Ettore che gli ordina di fuggire subito dalla patria che è ormai perduta. Enea si risveglia sconvolto, si reca sul tetto della casa e vede incendi divampare in tutta la città.
Nonostante ciò, veste le sue armi, sperando di poter ancora lottare, poi raccoglie un gruppo di eroici compagni con i quali si impegna in una serie di scontri; vede la triste sorte di Cassandra, trascinata fuori dal tempio dai Greci e tenta vanamente di difenderla; di lì corre alla casa di Priamo, dove si lotta furiosamente. Enea riesce a entrare per un passaggio segreto e tenta un'estrema difesa con armi di fortuna; al ingresso del palazzo infuria Pirro Neottolemo, il figlio di Achille, che osa addirittura affrontare il vecchio Priamo, il quale, pur tremante per la vecchiaia, ha indossato le armi per lottare un'ultima volta. Ma Pirro lo uccide barbaramente proprio sull'altare della casa, dopo aver finito davanti ai suoi occhi il figlio Polite.

Enea comprende che tutto è perduto e la scena della morte di Priamo gli ricorda il padre Anchise, la moglie Creusa e il piccolo Ascanio: corre verso casa e solo l'intervento della madre Venere lo fa desistere dall'avventarsi contro Elena, la causa dei mali dei Troiani, che se ne sta nascosta presso gli altari. Venere rivela al figlio che gli dei stessi stanno abbattendo Troia e lo invita a tornare a casa.

Vi trova il padre che non vorrebbe fuggire, nonostante Creusa e Ascanio lo supplichino di partire con loro; allora Enea, che non vuole partire senza il padre, decide di buttarsi di nuovo nella mischia, per ottenere una morte gloriosa, ma un prodigio sul capo del nipotino Ascanio convince Anchise ad accettare la fuga, voluta ormai dagli dei.

Enea carica sulle sue spalle l'anziano padre, zoppo, e reca con sé gli dei Penati, ma nella fuga concitata Creusa si smarrisce: non appena Enea se ne accorge, lasciati al sicuro i fuggiaschi, si mette affannosamente in ricerca della moglie. Essa gli appare come un'ombra e lo invita ad andarsene, poiché il Fato non gli concede di portarla con se; gli profetizza che, dopo un lungo viaggio, giungerà alla terra ove scorre il Tevere e lì avrà un'altra sposa, di stirpe regale. Enea cerca per tre volte invano di abbracciare l'ombra di Creusa; poi desolato, torna ai suoi cari e trova con loro altri compagni, scampati alla strage, pronti alla fuga. Ripreso il padre sulle spalle, con tutti i superstiti si volge ai monti.


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