Don Abbondio è il primo personaggio presentato dal Manzoni, il curato di un paesino sulle rive del Lago di Como. Questo personaggio lo vediamo subito entrare nel vivo del romanzo con l’incontro dei bravi che gli vietano di celebrare il matrimonio tra Lorenzo e Lucia.
L’autore coglie questa occasione per iniziare la sua descrizione tramite la scelta di un particolare paesaggio in correlazione con la sua personalità e il suo carattere. Tutte le sue mosse ispirano una grande tranquillità, la tranquillità di chi si sta godendo la propria passeggiata: la lettura dell'uffizio, il chiudere il breviario mettendovi l'indice della mano destra come segno per poi mettere questa dietro la schiena, lo spostare i ciottoli che sono un intralcio con il piede da una parte della strada, l'alzare oziosamente gli occhi intorno per posarli sui monti là vicino sono tutti gesti scanditi dall'abitudine, in una vicenda quotidiana dove ogni cosa è al suo posto e non c'è spazio per avvenimenti nuovi o sorprese, e solo qualche piccolo sasso può rappresentare un turbamento, peraltro subito scansato. Nonostante ciò, un giorno come un altro, avviene il fatto nuovo, quello che sconvolge quell'abitudinario andare di don Abbondio: l'incontro con i bravi. Inizialmente i gesti di don Abbondio sono contratti e rigidi, non più riposati e distesi come prima; gli occhi, cercano un soccorso o una via di fuga.
Il tempo, in questo momento, come in altre situazioni nel corso del romanzo, gli è amico, ma nello stesso tempo nemico.
Durante il dialogo la voce di don Abbondio è un balbettio che si agita fra scuse ritorte come accuse agli altri, adulazioni e complicità. Si capisce già che tipo di persona sia don Abbondio; egli è un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Questa metafora mette in rilevo la sua fragilità.
Il curato era sempre stato premuroso per la sua vita, per le sue abitudini tranquille; proprio per questo aveva abbracciato il sacerdozio, per entrare a far parte di una classe che lo avrebbe protetto e avrebbe mitigato le difficoltà della vita. Egli però non rifiuta gli ideali del cristianesimo, preferirebbe solo che siano di più comoda applicazione e più alla portata delle sue modeste capacità, ma, approfittando di ciò, finisce per cadere nella più assoluta viltà.
Il suo sistema consiste principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non può scansare: se si trovasse assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, starebbe col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli è volontariamente nemico. Don Abbondio critica anche duramente chi non è come lui e riesce a trovare sempre qualche torto in coloro che si sono messi contro i potenti. Soprattutto poi è contro i confratelli che aiutano i deboli. In questo modo , mostra la sua incapacità a risolvere i problemi e, provando a raggirarli, viene meno ai suoi doveri di sacerdote.
Due sono gli aspetti apparentemente contrastanti che però delineano il quadro generale della figura del curato: l’egoismo e il servilismo. Il primo è mostrato nei confronti dei più deboli, il secondo verso quelle persone contro cui non avrebbe potuto vincere.
Don Abbondio non è una vittima della paura e dell'angoscia, ma un eroe del quieto vivere, che si manifesta nella casa, luogo di pace e di rifugio.
Questo personaggio si presenta anche molto attaccato ai beni materiali e a volte è anche un po’ ignorante; la cultura è per lui uno svago piuttosto che un impegno.
Nonostante tutto è un personaggio di rilievo nel romanzo che esprime la condizione dell’uomo con i suoi difetti.
Le figure retoriche e le frasi celebri di don Abbondio sono:
L’autore coglie questa occasione per iniziare la sua descrizione tramite la scelta di un particolare paesaggio in correlazione con la sua personalità e il suo carattere. Tutte le sue mosse ispirano una grande tranquillità, la tranquillità di chi si sta godendo la propria passeggiata: la lettura dell'uffizio, il chiudere il breviario mettendovi l'indice della mano destra come segno per poi mettere questa dietro la schiena, lo spostare i ciottoli che sono un intralcio con il piede da una parte della strada, l'alzare oziosamente gli occhi intorno per posarli sui monti là vicino sono tutti gesti scanditi dall'abitudine, in una vicenda quotidiana dove ogni cosa è al suo posto e non c'è spazio per avvenimenti nuovi o sorprese, e solo qualche piccolo sasso può rappresentare un turbamento, peraltro subito scansato. Nonostante ciò, un giorno come un altro, avviene il fatto nuovo, quello che sconvolge quell'abitudinario andare di don Abbondio: l'incontro con i bravi. Inizialmente i gesti di don Abbondio sono contratti e rigidi, non più riposati e distesi come prima; gli occhi, cercano un soccorso o una via di fuga.
Il tempo, in questo momento, come in altre situazioni nel corso del romanzo, gli è amico, ma nello stesso tempo nemico.
Durante il dialogo la voce di don Abbondio è un balbettio che si agita fra scuse ritorte come accuse agli altri, adulazioni e complicità. Si capisce già che tipo di persona sia don Abbondio; egli è un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Questa metafora mette in rilevo la sua fragilità.
Il curato era sempre stato premuroso per la sua vita, per le sue abitudini tranquille; proprio per questo aveva abbracciato il sacerdozio, per entrare a far parte di una classe che lo avrebbe protetto e avrebbe mitigato le difficoltà della vita. Egli però non rifiuta gli ideali del cristianesimo, preferirebbe solo che siano di più comoda applicazione e più alla portata delle sue modeste capacità, ma, approfittando di ciò, finisce per cadere nella più assoluta viltà.
Il suo sistema consiste principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non può scansare: se si trovasse assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, starebbe col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli è volontariamente nemico. Don Abbondio critica anche duramente chi non è come lui e riesce a trovare sempre qualche torto in coloro che si sono messi contro i potenti. Soprattutto poi è contro i confratelli che aiutano i deboli. In questo modo , mostra la sua incapacità a risolvere i problemi e, provando a raggirarli, viene meno ai suoi doveri di sacerdote.
Due sono gli aspetti apparentemente contrastanti che però delineano il quadro generale della figura del curato: l’egoismo e il servilismo. Il primo è mostrato nei confronti dei più deboli, il secondo verso quelle persone contro cui non avrebbe potuto vincere.
Don Abbondio non è una vittima della paura e dell'angoscia, ma un eroe del quieto vivere, che si manifesta nella casa, luogo di pace e di rifugio.
Questo personaggio si presenta anche molto attaccato ai beni materiali e a volte è anche un po’ ignorante; la cultura è per lui uno svago piuttosto che un impegno.
Nonostante tutto è un personaggio di rilievo nel romanzo che esprime la condizione dell’uomo con i suoi difetti.
Le figure retoriche e le frasi celebri di don Abbondio sono:
- Don Abbondio non era un cuor di leone;
- Non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno;
- ll nostro Don Abbondio s'era dunque accorto, d'essere in quella società come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro;
- Il coraggio uno non se lo può dare.