Data la seguente frase:
possiamo notare che per ogni parola composta da più sillabe, noi pronunciamo una sillaba con maggiore intensità di tono (VENto, gherMI’, portO’, ALto ecc).
È su questa sillaba che cade l’accento.
Osserviamo queste parole e le sillabe in cui sono divise:
Per chi parla italiano dall’infanzia è spontaneo pronunciare correttamente queste parole, facendo cadere l’accento al posto giusto.
Più difficile è pronunciare correttamente parole che non conosciamo, soprattutto se l’accento cade in una posizione imprevista. Una poesia di Eugenio Montale comincia così:
Le prime due parole si pronunciano upupa e ilare (con accento alla prima vocale in entrambi). Per chiarire questi problemi, precisiamo innanzitutto i termini che useremo:
In ta-vo-le, per esempio, "ta" è la sillaba tonica, "a" la vocale tonica, "vo" e "le" le sillabe atone.
L’accento tonico, però, non si segna né si scrive: Favola, inutile ecc.
Solo quando esso cade sull’ultima sillaba (come in virtù, partì ecc.) si ricorre all’accento grafico, detto semplicemente accento.
L’accento tonico può cadere sull’ultima sillaba (virtù), sulla penultima (vino), sulla terzultima (tavola), sulla quartultima (visitano).
Secondo la posizione della sillaba tonica, le parole si dividono in:
Tronche = con l’accento sull’ultima sillaba (ricordò)
Piane = con l’accento sulla penultima sillaba (attrezzo)
Sdrucciole = con l’accento sulla terzultima sillaba (co-la-to)
Bisdrucciole = con l’accento sulla quartultima sillaba (visitano)
Le parole italiane sono in grande maggioranza piane (confrontate nel brano di apertura: vento, alto, come, una, bolla, sapone ecc.).
Si dice édile o edìle, persuadere o persuadére? Il vocabolario suggerisce edìle e persuadére. Nel caso di incertezza si deve dunque consultare il vocabolario che registra le parole con il giusto accento.
Si è già visto che le parole che si scrivono nello stesso modo ma si pronunciano in modo diverso si chiamano omografi. Ne abbiamo già esaminati alcuni (botte, bòtte): la differenza di pronuncia consisteva nella apertura o chiusura della vocale tonica.
Anche balia, è scritta allo stesso modo ma può avere due significati diversi.
Bàlia = donna che allatta bambini altrui
Balìa = potere, mercé
Anche la parola principi intesa come figli di sovrano regnante o norme varia il suo significato in base a dove cade l’accento.
Ecco alcuni esempi di questi tipi di omografi:
àltero = io modifico
Altèro = superbo
Àmbito = ambiente
Ambìto = desiderato
Càpitano = avvengono
Capitàno = ufficiale
Circùito = percorso
Circuìto = ingannato
Còmpito = dovere
Compìto = preciso
Prèdico = faccio una predica
Predìco = faccio previsioni
Règia = reale, del re
Regìa = cinematografica
Rètina = parte dell’occhio
Retìna = quella per lavare i piatti
Rùbino = atto del rubare
Rubìno = gemma preziosa
Séguito = che viene dopo “in seguito”
Seguìto = accompagnato da qualcuno
FRASE: Non c’è né vino né caffè.
Se si osserva con attenzione notiamo che l’accento in caffè è diverso da quello che vi è in né.
I segni dell’accento usati nella nostra scrittura sono tre:
1. Accento grave (indica suono aperto): è
2. Accento acuto (indica suono chiuso): né
3. Accento circonflesso (indica contrazione): odi (= odii).
L’accento più comune è il grave, che si mette sulla A, sulla I e sulla U (benché chiuse), e sulla O aperte: città, partì, tribù, è, parlò.
L’accento acuto si mette sulla E e sulla O di suono chiuso: perché botte è diverso da bòtte?
L’accento circonflesso è ormai chiuso: interrompere gli studi^ (più comune gli studi o studii)
L’accento è obbligatorio:
Nelle parole si più sillabe, tronche in vocale: venerdì, andrò, città.
Nei monosillabi ciò, può, già, più, giù, chiù, piè (= piede): ciò non può valere, a piè di pagina.
In alcuni monosillabici, per distinguerli da altri di diverso significato.
È (verbo) e (congiunzione)
Là (avverbio) la (articolo, pronome e nota musicale)
Lì (avverbio) li (pronome)
Dà (verbo) da (preposizione)
Sì (avverbio) si (pronome e nota musicale)
Sé (pronome) se (congiunzione)
Tè (nome di bevanda) te (pronome)
Né (congiunzione) ne (pronome e avverbio)
Ché (congiunzione = poiché) che (pronome e congiunzione)
Dì (= giorno) di (preposizione)
Tre, re, blu non hanno l’accento ma se messi alla fine di una parola composta si, esempio: ventitré, viceré, rossoblù.
"Sé" pronome riflessivo ha sempre l’accento: sé stesso, a sé stante. Alcune grammatiche dicono che sé unito a se stesso perde l’accento perché cessa la possibilità di essere confuso con se congiunzione.
Al plurale, però la confusione nascerebbe di nuovo, perché se stessi (= loro stessi) e se stesse (= loro stesse) potrebbero confondersi con se stessi e se stesse (= se io stessi, se egli stesse), perciò è preferibile accentarlo comunque. "Se" pronome è senza accento solo nelle forme atone tipo: se ne va, se ne ride ecc.
Sono usate con l’accento anche le forme: do, dài, dànno (di dare) per distinguerle da "do" nota musicale, "dai" preposizione articolata, e "danno" inteso come un guasto (sostantivo).
Il vento se la ghermì, se la portò in alto, in alto come una bolla di sapone. Piumadoro gettò un grido e chiuse gli occhi. Osò riaprirli a poco a poco, e guardare in giù, attraverso la sua gran capigliatura.(Guido Gozzano)
possiamo notare che per ogni parola composta da più sillabe, noi pronunciamo una sillaba con maggiore intensità di tono (VENto, gherMI’, portO’, ALto ecc).
È su questa sillaba che cade l’accento.
Osserviamo queste parole e le sillabe in cui sono divise:
- virt-tù, ve-ri-tà, serenità
- mam-ma, a-ma-re, a-mi-ci-zia
- co-mi-co, tra-gi-co, dram-ma-ti-co
Per chi parla italiano dall’infanzia è spontaneo pronunciare correttamente queste parole, facendo cadere l’accento al posto giusto.
Più difficile è pronunciare correttamente parole che non conosciamo, soprattutto se l’accento cade in una posizione imprevista. Una poesia di Eugenio Montale comincia così:
«upupa, ilare uccello…»
Le prime due parole si pronunciano upupa e ilare (con accento alla prima vocale in entrambi). Per chiarire questi problemi, precisiamo innanzitutto i termini che useremo:
- La sillaba che viene accentata si chiama sillaba tonica.
- La vocale di tale sillaba si chiama vocale tonica.
- Il suo accento si chiama accento tonico.
- Le altre sillabe si chiamano sillabe atone (cioè senza tono, senza accento).
In ta-vo-le, per esempio, "ta" è la sillaba tonica, "a" la vocale tonica, "vo" e "le" le sillabe atone.
L’accento tonico, però, non si segna né si scrive: Favola, inutile ecc.
Solo quando esso cade sull’ultima sillaba (come in virtù, partì ecc.) si ricorre all’accento grafico, detto semplicemente accento.
L’accento tonico può cadere sull’ultima sillaba (virtù), sulla penultima (vino), sulla terzultima (tavola), sulla quartultima (visitano).
Secondo la posizione della sillaba tonica, le parole si dividono in:
Tronche = con l’accento sull’ultima sillaba (ricordò)
Piane = con l’accento sulla penultima sillaba (attrezzo)
Sdrucciole = con l’accento sulla terzultima sillaba (co-la-to)
Bisdrucciole = con l’accento sulla quartultima sillaba (visitano)
Le parole italiane sono in grande maggioranza piane (confrontate nel brano di apertura: vento, alto, come, una, bolla, sapone ecc.).
Si dice édile o edìle, persuadere o persuadére? Il vocabolario suggerisce edìle e persuadére. Nel caso di incertezza si deve dunque consultare il vocabolario che registra le parole con il giusto accento.
Altri omografi
Si è già visto che le parole che si scrivono nello stesso modo ma si pronunciano in modo diverso si chiamano omografi. Ne abbiamo già esaminati alcuni (botte, bòtte): la differenza di pronuncia consisteva nella apertura o chiusura della vocale tonica.
Anche balia, è scritta allo stesso modo ma può avere due significati diversi.
Bàlia = donna che allatta bambini altrui
Balìa = potere, mercé
Anche la parola principi intesa come figli di sovrano regnante o norme varia il suo significato in base a dove cade l’accento.
Ecco alcuni esempi di questi tipi di omografi:
àltero = io modifico
Altèro = superbo
Àmbito = ambiente
Ambìto = desiderato
Càpitano = avvengono
Capitàno = ufficiale
Circùito = percorso
Circuìto = ingannato
Còmpito = dovere
Compìto = preciso
Prèdico = faccio una predica
Predìco = faccio previsioni
Règia = reale, del re
Regìa = cinematografica
Rètina = parte dell’occhio
Retìna = quella per lavare i piatti
Rùbino = atto del rubare
Rubìno = gemma preziosa
Séguito = che viene dopo “in seguito”
Seguìto = accompagnato da qualcuno
I vari accenti
FRASE: Non c’è né vino né caffè.Se si osserva con attenzione notiamo che l’accento in caffè è diverso da quello che vi è in né.
I segni dell’accento usati nella nostra scrittura sono tre:
1. Accento grave (indica suono aperto): è
2. Accento acuto (indica suono chiuso): né
3. Accento circonflesso (indica contrazione): odi (= odii).
L’accento più comune è il grave, che si mette sulla A, sulla I e sulla U (benché chiuse), e sulla O aperte: città, partì, tribù, è, parlò.
L’accento acuto si mette sulla E e sulla O di suono chiuso: perché botte è diverso da bòtte?
L’accento circonflesso è ormai chiuso: interrompere gli studi^ (più comune gli studi o studii)
Con o senza accento
L’accento è obbligatorio:
Nelle parole si più sillabe, tronche in vocale: venerdì, andrò, città.
Nei monosillabi ciò, può, già, più, giù, chiù, piè (= piede): ciò non può valere, a piè di pagina.
In alcuni monosillabici, per distinguerli da altri di diverso significato.
È (verbo) e (congiunzione)
Là (avverbio) la (articolo, pronome e nota musicale)
Lì (avverbio) li (pronome)
Dà (verbo) da (preposizione)
Sì (avverbio) si (pronome e nota musicale)
Sé (pronome) se (congiunzione)
Tè (nome di bevanda) te (pronome)
Né (congiunzione) ne (pronome e avverbio)
Ché (congiunzione = poiché) che (pronome e congiunzione)
Dì (= giorno) di (preposizione)
Per non sbagliare
Tre, re, blu non hanno l’accento ma se messi alla fine di una parola composta si, esempio: ventitré, viceré, rossoblù.
"Sé" pronome riflessivo ha sempre l’accento: sé stesso, a sé stante. Alcune grammatiche dicono che sé unito a se stesso perde l’accento perché cessa la possibilità di essere confuso con se congiunzione.
Al plurale, però la confusione nascerebbe di nuovo, perché se stessi (= loro stessi) e se stesse (= loro stesse) potrebbero confondersi con se stessi e se stesse (= se io stessi, se egli stesse), perciò è preferibile accentarlo comunque. "Se" pronome è senza accento solo nelle forme atone tipo: se ne va, se ne ride ecc.
Sono usate con l’accento anche le forme: do, dài, dànno (di dare) per distinguerle da "do" nota musicale, "dai" preposizione articolata, e "danno" inteso come un guasto (sostantivo).