Testo "Il re degli Elfi"
Chi cavalca a quest'ora per la notte il vento?
E' il padre con il suo figlioletto;
se l'è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.
Figlio, perchè hai paura e il volto ti celi?
Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?
Figlio, è una lingua di nebbia, nient'altro.
Caro bambino, su vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori diversi sulla riva ci sono;
mia madre ha tante vesti d'oro.
Padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?
Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscìo
Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna
Padre , padre, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie degli Elfi?
Figlio figlio mio, ogni cosa distinguo:
i vecchi salici danno un bagliore grigio.
Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza.
Padre, padre, mi afferra in questo istante!
Il re degli Elfi mi ha fatto del male!
Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo,
nelle sue braccia il bambino era morto.
Analisi e commento
La seguente dolcissima ballata è una delle più semplici e delle più belle di Goethe. Un padre stringe al petto il figlioletto ammalato, in una cavalcata affannosa attraverso la foresta, nel tentativo di trovare aiuto per salvarlo. Ma il re degli Elfi, la personificazione mitica della morte, chiama con voce sempre più imperiosa il bambino che, per stretto fra le braccia paterne, non può sottrarsi al suo richiamo. La tragedia finale è scandita da un unico verso: quando il padre ha raggiunto una cosa a cui chiedere soccorso, il figlio è già morto.
La Metrica: quartine di dodecasillabi. Il traduttore ha mantenuto la metrica del testo originale
Questa ballata, scritta nel 1782 a Weimar, sembra risentire degli influssi dello Sturm und Drang, cioè di quella sensibilità germanica dominata da immagini misteriose, da spiriti maligni, da cavalcate eroiche. Ma il sentimento che la anima è indiscutibilmente romantico, così tenero e umano, così ricco di concreta pietà da allontanare ogni sapore di mistero. La morte, anche se assume le vesti di Oberon, il re degli Elfi, ha la voce suadente della fatalità per un bambino troppo ammalato, e la corsa del padre, la sua disperazione espressa in quell'abbraccio sempre più stretto e possessivo, nulla possono a salvare il figlio. Il fascino della ballata sta nella ingenuità del dialogo fra padre e figlio in cui si insinua la voce del re degli Elfi che soltanto il bambino può udire, o crede di udire, e la narrazione rimane sospesa in un sapore di realtà e di fiaba. Goethe trasfigura una situazione pietosamente vera in una favola dai toni gentili e ne sdrammatizza la tensione dolorosa tanto da farci più godere della favola che soffrire della vicenda reale.