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Emilio Praga: Penombre

Le liriche raccolte in penombre (1864) segnano il momento più scapigliato e anticonformista di Praga.
I versi del libro toccano infatti tutti i temi caratteristici della corrente milanese: il rifiuto della società contemporanea attraverso la consapevole distruzione di se stesso, l'anticlericalismo, il gusto del macabro, le deviazioni sessuali, la profanazione del sentimento d'amore romantico e dell'immagine femminile idealizzata.
Il linguaggio si fa più tormentato, meno comune e più aperto a termini brutalmente realistici.
Assai forte è l'influsso di Baudelaire, apprezzato da Praga come un modello di rivolta alla tradizione e, contemporaneamente, di aspirazione alla perfezione artistica. Si tratta di un motivo ricorrente nelle poesie Penombre, bene esemplificato sin dai primi versi di Spes Unica: Vorrei farmi carnefice / vorrei farmi becchino / per lacerarti, o secolo / quel manto d'arlecchino / e sul tuo muto Golgota / cacciarti col tuo Dio / e imprecarti l'oblio / dei posteri e del sol.
Penombre fu il secondo libro di versi di Praga; il suo esordio poetico era avvenuto con Tavolozza (1862), un libro improntato alla realtà, sia nei temi quotidiani, sia per l'uso di un linguaggio spesso prosastico. Dopo Penombre, sarà la volta di Trasparenze (1878), terzo e ultimo libro di versi di Praga. Qui la tematica scapigliata sfocia in una sensibilità già decadente, che ispira la ricerca degli interiori e più profondi moti dell'animo, accanto all'evocazione di una purezza perduta attraverso il ricorso a temi e momenti dell'infanzia.



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