Il poema, composto da XII canti o libri, si può dividere in due parti: nella prima sono narrate le peregrinazioni di Enea da Troia fino a Cartagine dove incontra Didone, e da qui alle rive del Lazio; nella seconda le guerre sostenute da Enea e dai suoi compagni con le genti indigene, soprattutto contro i rutuli, per l'affermazione dei troiani in Italia.
L'Eneide si rifà ai due grandi esempi dell'Iliade (II parte) e dell'Odissea (I parte).
La vicenda
All'inizio del poema, Enea, fuggito da Troia in fiamme, sta navigando con la sua gente per il Mediterraneo in cerca di una terra, promessa dagli dei secondo una profezia. Una tempesta lo costringe a sbarcare sulle coste dell'Africa, dove Didone, una regina fenicia, sta innalzando la sua città, Cartagine. Accolto ospitalmente nella reggia, l'eroe racconta le sue peripezie: l'incendio di Troia, la morte di Priamo e della propria moglie Cresua, la fuga, le peregrinazioni tra l'isola di Creta e la Sicilia, la morte di suo padre Anchise, la certezza che la terra promessa ai troiani dal destino è l'Italia.
Didone commossa dal racconto dell'eroe, s'innamora di lui. Travolto dalla passione, Enea dimentica per qualche tempo la missione che il destino gli ha affidato; ma poi, ammonito dagli dei, incapace di tradire la sua gente. Didone, disperata, si uccide.
La flotta troiana tocca la Sicilia e quindi risale le coste dell'Italia fino alla spiaggia di Cuma, dove Enea visita la Sibilla Cumana che lo conduce nel regno dei morti perché egli possa conoscere il destino dei suoi. Tra i morti, si fa incontro all'eroe l'ombra di suo padre Anchise, che gli mostra, tra le anime che ancora debbono incarnarsi sulla terra, quelle dei grandi romani futuri, e celebra le virtù che faranno di Roma la padrona del mondo. Ripreso il viaggio, Enea giunge alla foce di un grande fiume: il Tevere, che, da certi segni, riconosce come la meta finale del viaggio. Qui è accolto benevolmente dal re Evandro e da suo figlio Pallante, nonché dal re Latino, che gli promette in sposa la figlia Lavinia, già promessa dalla madre al re dei rutuli Turno. Ne nasce perciò una guerra sanguinosa, che coinvolge rutuli e troiani e dà l'occasione al poeta di affrontare il genere epico avendo presente il modello omerico.
Egli però eccelle soprattutto nei momenti più commoventi, come la morte del giovane Pallante e la spedizione notturna di due ragazzi troiani, Eurialo e Niso, che penetrano nelle file nemiche, ma vengono scoperti e uccisi. Il poema ha termine con la morte di Turno, sconfitto da Enea in duello, e il trionfo della piccola armata troiana e dei suoi alleati.
L'eroe Enea
Enea è l'uomo a cui il Fato ha assegnato una missione che porta a termine a costo di grandi sacrifici, accettandola anche quando questa va contro i suoi sentimenti e i suoi desideri. Non è guidato dalla passioni come gli eroi dell'Iliade, né dal desiderio di avventura e di conoscenza come Odisseo, ma della pietas, cioè il sentimento di venerazione per gli dei, il rispetto del Fato, il senso del dovere nei confronti della patria, dei genitori, dei parenti, degli amici, di se stesso. Enea, rispetto agli eroi dell'epica greca, ha una misura umana, una sofferta vita interiore; la sua grandezza non sta tanto nelle imprese eroiche quanto nell'accettazione consapevole del proprio destino e nella compassione verso i propri simili.
Qualche studioso ha rimproverato a Enea la mancanza del calore degli affetti, l'estraneità alle emozioni umane, ma nell'Eneide la sensibilità dell'eroe si manifesta a ogni distacco, a ogni perdita.
Nelle ultime ore di Troia egli è in preda alla furia della disperazione; quando lascia Cartagine, prova tante e tali emozioni che deve lottare per controllarle, quando muore l'amico Pallante, è travolto da un furioso desiderio di vendetta.
Ma la sua forza d'animo gli fa superare ogni ostacolo e contrastare la violenza delle passioni: l'eroe sa che i frutti di ogni sua pena e di ogni suo travaglio saranno colti dopo la sua breve esistenza terrena.
La fortuna di Virgilio e dell'Eneide
L'ammirazione per Virgilio, iniziata già con gli scrittori della sua epoca, è continuata e continua ancora oggi.
Sant'Agostino considerava l'Eneide suo libro da capezzale. Nel medioevo il poeta latino venne considerato un mago, un profeta di Cristo. Lo ammirarono Dante (che ne fece la sua guida nel viaggio allegorico attraverso l'Inferno e il Purgatorio) e Petrarca.
Sulla nostra cultura pochi altri autori hanno esercitato un'influenza pari alla sua.
La fortuna letteraria di Virgilio non si è offuscata nel tempo, anzi la sua opera ha continuato e continua a influenzare scrittori e poeti di tutto il mondo.
Il poeta inglese Thomas Stearns Eliot, dopo essersi chiesto in un celebre saggio che cos'è un classico, si è risposto senza esitazione: <<Un classico è Virgilio, è il classico modello>>.
Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges ha confessato: <<Le mie notti sono piene di Virgilio>>.
Alcuni studiosi sostengono che nell'Eneide si avvertono due "voci": con una, quella più esplicita, Virgilio canta le lodi di Augusto, sovrano del mondo intero dopo la battaglia di Azio nel 31 a.C.; con l'altra, più sottile e insistente, il poeta ci dice quanto è costato l'impero in termini umani, in crudeltà e intolleranza. Enea, per portare in salvo i Penati, fondare una nuova città nel Lazio, ha abbandonato vilmente Didone e ha ammazzato Turno che, ormai sconfitto, gli chiedeva pietà.
Per Enea la vita è un penoso dovere, un cammino da seguire secondo il volere del Fato (la parola Fato compare nel poema 120 volte).