C’è una trama unitaria nel complesso della poesia pasco liana, ed è la simbologia, che via via presenta caratteri specifici, a seconda del progetto che regge il singolo testo, ma che ha alcune costanti. Penso, sì, alla simbologia della morte, che pervade di sé la presenza di personaggi, oggetti, paesaggi, eventi, ma anche al correlativo simbolo del nido, che costituisce l’unico rifugio entro il quale l’ossessione della morte può essere resa sopportabile, se non esorcizzata. Il nido è il luogo familiare, dominato dalla figura primordiale della madre, che è la custode dei riti, dei sentimenti, dei pensieri di chi appartiene alla famiglia, vivi e morti, tutti uniti insieme.
Nel calore del nido le inquietanti, angosciose voci che vengono da fuori e gli stessi lutti, le violenze, il male, l’errore, si compongono come in un rifugio, non sereno certamente, ma come difeso e sicuro, proprio per la complicità degli affetti.
Come appare fin dal testo che è posto in limine di Myricae e ai Canti di Castelvecchio, una posizione tanto rilevata hanno i lutti di famiglia, dall’assassinio del padre alla morte della madre e di fratelli e sorelle, e proprio l’uccisione del padre è la causa diretta della distruzione del nido, con l’abbandono della casa descritta in Romagna e con la dispersione per il mondo della famiglia, cioè nel gorgo di confusione Pascoli dice anche a proposito del matrimonio della sorella Ida, in per sempre), perché distrugge l’ambito sicuro entro il quale la vita è possibile.
Nel nido distrutto, dove scendono i morti tenacemente legati a esso, ma queruli, aspri, convulsi, pieni di rancori e di rimpianti o di pretese, non resta, allora, che la determinazione a non partire più, a non ripetere la dispersione.
Ne La voce la madre morta richiama Zvani (Giovannino, cioè il poeta ragazzo) che sta per uccidersi per la dispersione del vivere e il fiume fa sentire il suo richiamo di morte, al pensiero del nido che, già colpito e sconvolto, finirebbe travolto in modo definitivo (le sorelle ancora piccine, i morti stessi, che attendono una preghiera dal vivo, cioè il segno, almeno, di un affetto non venuto meno).
Si pensi anche al romanzo georgico e al fatto che tutto ciò che vi è rappresentato è chiuso all’interno della famiglia che ne è protagonista, anche se a volte soltanto di sfondo: non c’è vita di paese non ci sono relazioni di nessun genere verso gli altri, e la celebrazione della siepe, che è stata interpretata come la rivelazione di un atteggiamento piccolo-borghese di inno alla proprietà, è da leggere invece come il simbolo della necessità che il nido sia ben chiuso e difeso dal male e dai rischi che possano venire dal di fuori a turbarlo e a sconvolgerlo.
Sul modello del nido familiare, il Pascoli costruisce anche la sua concezione della narrazione come il grande nido dove tutti i figli devono raccogliersi, anche se in povertà, per vivere l’unica autentiva vita di solidarietà nel dolore, nella fatica, nelle difficoltà; e l’Italia vi fa allora, la parte della grande Madre, che deve pensare a sfamare tutti i suoi figli (come il Pascoli dice in Italy, ne Gli eroi del Sempione e in altri testi politici ancora).
Nel calore del nido le inquietanti, angosciose voci che vengono da fuori e gli stessi lutti, le violenze, il male, l’errore, si compongono come in un rifugio, non sereno certamente, ma come difeso e sicuro, proprio per la complicità degli affetti.
Come appare fin dal testo che è posto in limine di Myricae e ai Canti di Castelvecchio, una posizione tanto rilevata hanno i lutti di famiglia, dall’assassinio del padre alla morte della madre e di fratelli e sorelle, e proprio l’uccisione del padre è la causa diretta della distruzione del nido, con l’abbandono della casa descritta in Romagna e con la dispersione per il mondo della famiglia, cioè nel gorgo di confusione Pascoli dice anche a proposito del matrimonio della sorella Ida, in per sempre), perché distrugge l’ambito sicuro entro il quale la vita è possibile.
Nel nido distrutto, dove scendono i morti tenacemente legati a esso, ma queruli, aspri, convulsi, pieni di rancori e di rimpianti o di pretese, non resta, allora, che la determinazione a non partire più, a non ripetere la dispersione.
Ne La voce la madre morta richiama Zvani (Giovannino, cioè il poeta ragazzo) che sta per uccidersi per la dispersione del vivere e il fiume fa sentire il suo richiamo di morte, al pensiero del nido che, già colpito e sconvolto, finirebbe travolto in modo definitivo (le sorelle ancora piccine, i morti stessi, che attendono una preghiera dal vivo, cioè il segno, almeno, di un affetto non venuto meno).
Si pensi anche al romanzo georgico e al fatto che tutto ciò che vi è rappresentato è chiuso all’interno della famiglia che ne è protagonista, anche se a volte soltanto di sfondo: non c’è vita di paese non ci sono relazioni di nessun genere verso gli altri, e la celebrazione della siepe, che è stata interpretata come la rivelazione di un atteggiamento piccolo-borghese di inno alla proprietà, è da leggere invece come il simbolo della necessità che il nido sia ben chiuso e difeso dal male e dai rischi che possano venire dal di fuori a turbarlo e a sconvolgerlo.
Sul modello del nido familiare, il Pascoli costruisce anche la sua concezione della narrazione come il grande nido dove tutti i figli devono raccogliersi, anche se in povertà, per vivere l’unica autentiva vita di solidarietà nel dolore, nella fatica, nelle difficoltà; e l’Italia vi fa allora, la parte della grande Madre, che deve pensare a sfamare tutti i suoi figli (come il Pascoli dice in Italy, ne Gli eroi del Sempione e in altri testi politici ancora).