Questa lirica costituisce indubbiamente uno dei testi più noti e importanti del Crepuscolarismo, sia per i contenuti (o meglio: non contenuti) sia per il tono dimesso, anche se espresso dall'autore in veste rigorosamente letteraria, con metrica, rime ecc.
Temi: l'incapacità del poeta di rispondere alle domande del presente.
Anno: 1911.
Schema metrico: quartine di versi novenari, con rima ABBA.
Analisi del testo
Io non ho nulla da dire presenta l'immagine, tipicamente crepuscolare, del poeta privo di scopo, un uomo indeciso a tutto; insistentemente e con monotona, ripetitiva puntigliosità, egli ricorda la propria inutilità, estraneità e incapacità di rispondere alle domande del presente.
Con garbo e sorridente ironia, Moretti prende qui posizione contro chi, come D'Annunzio o i futuristi, esaltava il ruolo del poeta-superuomo e profeta.
Respinge il modello di poeta come individuo vitale, attorniato da donne fatali e innamorate, e presenta la nuova figura di un ometto banale, apprezzato solo dalla madre.
Questa lirica di Moretti testimonia una condizione propria non solo dei poeti crepuscolari, ma degli intellettuali novecenteschi in genere: essi sperimentano e confessano a se stessi l'esaurirsi della funzione eroica dell'arte; non è più possibile, per i poeti, esprimere alcun parere autorevole, su nessuna questione.
Il componimento racconta e intanto commenta, definisce, generalizza: una maniera di procedere tipica dei crepuscolari. Lo stile mantiene un registro ragionativo, parlato. Presenta infatti:
Temi: l'incapacità del poeta di rispondere alle domande del presente.
Anno: 1911.
Schema metrico: quartine di versi novenari, con rima ABBA.
Analisi del testo
Io non ho nulla da dire presenta l'immagine, tipicamente crepuscolare, del poeta privo di scopo, un uomo indeciso a tutto; insistentemente e con monotona, ripetitiva puntigliosità, egli ricorda la propria inutilità, estraneità e incapacità di rispondere alle domande del presente.
Con garbo e sorridente ironia, Moretti prende qui posizione contro chi, come D'Annunzio o i futuristi, esaltava il ruolo del poeta-superuomo e profeta.
Respinge il modello di poeta come individuo vitale, attorniato da donne fatali e innamorate, e presenta la nuova figura di un ometto banale, apprezzato solo dalla madre.
Questa lirica di Moretti testimonia una condizione propria non solo dei poeti crepuscolari, ma degli intellettuali novecenteschi in genere: essi sperimentano e confessano a se stessi l'esaurirsi della funzione eroica dell'arte; non è più possibile, per i poeti, esprimere alcun parere autorevole, su nessuna questione.
Il componimento racconta e intanto commenta, definisce, generalizza: una maniera di procedere tipica dei crepuscolari. Lo stile mantiene un registro ragionativo, parlato. Presenta infatti:
- pause e ritorni;
- domande ed esclamazioni di dialogo;
- espressioni colloquiali, interiezioni e particelle d'attesa;
- frequenti ripetizioni.
Tutto serve infatti a evitare l'enfasi, antitetica alla condizione crepuscolare.
Il tono oscilla fra l'ironico e il malinconico: viene rifiutata la baldanza dei poeti d'un tempo, ma non si accetta neppure la banalità piccolo borghese. Perciò la malinconia (E' triste. Credetelo, in fondo, / è triste) è l'esito dell'ironia, dopo la scoperta del vuoto dell'anima.