Il mondo dalla parte dell’io
Gli autori del romanzo contemporaneo amano raccontare non più dall’alto, ma da dentro: raccontano cioè il mondo dal punto di vista soggettivo del personaggio. La realtà, più che rappresentata nei dati materiali, oggettivi, viene rivissuta, giudicata, misurata nei suoi echi interiori; il mondo esterno è trascritto non più direttamente, ma solo per i suoi riflessi sull’individuo. Perciò la narrativa contemporanea racconta spesso vicende dove non accade nulla, dove cioè l’azione narrativa è minima e dove, all’opposto, prevale il raziocinare, spesso inconcludente, dei personaggi e del narratore. Quest’ultimo si rende esplicitamente presente nel racconto, ama parlare in prima persona, secondo un’indicazione che fu già di Gustave Flaubert (Madame Bovary sono io, 1857).Non più fatti, ma la coscienza
In un romanzo incentrato sulla vita intima dei personaggio, ciò che prevale non sono più i fatti, bensì i moti e i flussi della coscienza; una volta infranta la barriera del naturalismo (è un espressione dello studioso Renato Barilli), l’oggettivismo ottocentesco diviene improponibile. Coscienza è una parola-tema di grande pregnanza, scelta non casualmente da Italo Svevo a titolo del proprio capolavoro: La coscienza di Zeno (1923).L’interprete maggiore di questa narrativa incentrata sulla coscienza soggettiva è lo scrittore francese Marcel Proust: il suo vastissimo ciclo di sette romanzi. Alla ricerca del tempo perduto (1913-27), s’incentra sui ricordi di un unico personaggio, l’io narrante. Non meno ambizioso il progetto che guida Ulisse (1922) di James Joyce: raccontare nei minimi dettagli un’unica giornata (di per sé insignificante) del protagonista.
Gli autori del nuovo romanzo vogliono dirci come, dietro agli avvenimenti più comuni, si nasconda un mondo variegato, dinamico, fatto di pensieri, sensazioni, intenzioni, istinti, sentimenti, ricordi. La coscienza, questo vasto e mobile mondo di dentro, si rivela spesso a partire da fatti minimi: le epifanie (improvvise manifestazioni) di Joyce, o le intermittenza (trasalimenti, rivelazioni) del cuore di Proust. Tutta la realtà viene raccontata dalla parte dell’io, senza alcuna pretesa di esaurirla o di spiegarla compiutamente.
Il ruolo della psicoanalisi
La coscienza su cui s’incentra la nuova narrativa non appare più una sostanza definita, bensì, come scrive il filosofo americano William James (1842-1910), una perenne corrente di pensieri, mobile e indistinta. L’io manca di unità, è sempre mutevole, imprevedibile, è malato, come sostiene Svevo nella Coscienza di Zeno. All’affermarsi di questi terni lo stimolo lo offre la psicoanalisi, la nuova dottrina scientifica di Sigmund Freud (1856-1939): affermando l’esistenza dell’inconscio, egli di fatto apre la via alla persuasione, tutta novecentesca, secondo cui la realtà vera è sempre diversa da quella che appare; anche se tale realtà riguarda noi.Un personaggio relativizzato
Si produce così nel personaggio novecentesco una sorta di scivolamento, di perdita di fiducia. Il protagonista a tutto tondo caro ai romanzieri ottocenteschi, dotato di una fisionomia propria, di un carattere inconfondibile, diviene ora un personaggio relativizzato , che delle cose ha una visione frantumata, scissa, priva di stabili certezze. Nel mio romanzo non dovete cercare quel vecchio Ego stabile, dichiarò nel 1914 lo scrittore inglese David H. Lawrence (1885-1930). Anzi, il personaggio novecentesco non consiste in sé e per sé: spesso emerge solo dalle diverse immagini che assume nella coscienza degli altri. Incontriamo tali motivi un po’ in tutta la letteratura novecentesca, per esempio nei romanzi dell’inglese Joseph Conrad (1857-1924), nelle opere dello scrittore praghese Franz Kafka (1883-1924) e del nostro Luigi Pirandello (1867-1936).L’uomo senza qualità: il racconto della crisi
Il personaggio eroe dei romantici, l’individuo titano, capace di opporsi a tutto e a tutti pur di affermare un punto di vista o un ideale, si scopre adesso debole, corroso da oscure forze negative. Alla figura positiva dell’eroe si sostituisce, così la più sfaccettata figura dell’antieroe: un personaggio incerto, ambiguo, malato. Spesso la malattia e la nevrosi sono il segno visibile della sua estraneità al mondo, dovuta a un eccesso di sensibilità e di intelligenza.Il personaggio eroe d’un tempo, l’individuo titano dei romantici, capace di dominare il mondo e d’imporsi sulla realtà, si scopre debole, corroso da oscure forze negative. Il romanzo novecentesco diviene così il racconto della crisi dell'uomo contemporaneo. Le sue sono storie di fallimenti e i suoi sono personaggi malati di nevrosi, che li rende antisociali. Lo vediamo bene nel Leopold Bloom protagonista dell'Ulisse di Joyce: egli è, in realtà, un atieroe, un anti Ulisse. Lo vediamo altrettanto bene nel personaggio inetto di Svevo, nell'escluso di Pirandello (L'esclusa è il suo primo romanzo del 1901), nello Josef K. del Processso (1924) di Kafka, imputato di una colpa che non conosce neppure, o ancora nell'uomo senza qualità (1930-33) di Robert Musil.
Una persistente vocazione conoscitiva
Tutto ciò, non significa che il romanzo contemporaneo rinunci a quella che da sempre appare una funzione essenziale della letteratura, ovvero quella di spiegare le cose, di fornire un'interpretazione generale della realtà. La funzione conoscitiva (o gnoseologica) è anzi connaturata al romanzo novecentesco e lo distanzia nettamente dall'arte del primo Decadentismo: se i primi decadenti (Baudelaire, Rimbaud, in Italia D'Annunzio e Pascoli) ritenevano che l'arte fosse la forma suprema della verità, ora, invece, il grande romanzo del Novecento assume scienza (la psicoanalisi di Freud) e filosofia come sue preziose alleato nello scavo verso i perché delle cose e della vita.
E' quindi in particolare:
- Svevo fonda il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, sul nuovo sapere psicoanalitico;
- Proust valorizza la teoria del tempo di Bergson.
- Musil studia la filosofia della scienza (l'empiriocriticismo) di Ernst Mach, una filosofia nata nell'ambito del Positivismo ma che riconosce i limiti di validità della scienza;
- le opere di Kafka anticipano i temi (come la precarietà del vivere e l'assurdo quotidiano) poi sviluppati dalla filosofia dell'esistenzialismo.
Certo però l'autore e i personaggi del romanzo contemporaneo faticano a fare davvero ordine nel groviglio di segni che li circonda; il loro sforzo veritativo rimane quasi sempre sterile. Questo dipende dalle mutate condizioni culturali di primo Novecento, ma in loro continua a vivere una nostalgia di conoscenza, che dà alla narrativa contemporanea una dimensione saggistica, di discussione d'idee e, soprattutto, di lettura critica della realtà, sociale, culturale, umana in senso lato. In un certo senso, mentre i filosofi novecenteschi tendono a specializzare il loro sapere e a interrogarsi quasi solo sul metodo e sul linguaggio, è proprio il grande romanzo contemporaneo ad assumersi quell'antico compito di ricerca di verità, che era lo scopo primo della filosofia.