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Eugenio Montale: Satura

Riassunto:
L’ultima stagione poetica di Montale si avvia da Satura, il libro uscito nel 1971 dopo quindici anni di silenzio poetico. L’opera prende il titolo dall’antico genere della satura latina, caratterizzato da una vena critica e parodistica e da grande varietà di temi, toni ecc. (nei banchetti rituali dell’antica Roma, infatti, la satura lanx era un piatto guarnito di numerose primizie, diverse l’una dall’altra). I poeti satirici latini avevano utilizzato questo genere per narrare eventi privati, situazioni quotidiana, ben differenti dai contenuti alti dell’epoca o della tragedia, e /o per criticare comportamenti immorali e vizi sociali: due caratteri ben presenti anche in Satura e nei successivi libri montaliani.

L’opera segnò un forte rinnovamento dei temi e del linguaggio di Montale, come lo stesso poeta precisò, tra l’ironico e il divertito: Satura è un libro molto diverso dagli altri. Penso che turberà i critici i quali avevano ormai cristallizzato il mio lavoro e pensavano che io non avrei dato luogo a nient’altro. Qui, invece il cristallo , cioè la poesia perfetta delle precedenti raccolte si è un po’ rotto… No, non ne sono malcontento.

Abituati al tono elevato della Bufera, molti critici rimasero spiazzati di fronte a quello semplice e colloquiale di Satura, al suo lessico prosastico. Certo si trattava di una scelta coraggiosa da parte dell’anziano poeta; ma, a suo avviso, solo termini quotidiani e toni ironici potevano narrare adeguatamente quei contenuti minimali, i piccoli fatti e i piccoli uomini dell’età contemporanea.

I bersagli dell’ironia
Nascosto come un ectoplasma, come leggiamo nella lirica La storia, il poeta coglie il farsi e il disfarsi della realtà quotidiana. Osserva tutto: piccoli e grandi fatti, della vita pubblica così come della vita privata; ogni cosa ricade sotto la lente della sua divertita, e insieme amara, ironia.
Talora l’ironia si fa pungente autoironia: Raccomando ai miei posteri / (se ve ne saranno) in sede letteraria, / il che resta improbabile, di fare / un bel falò di tutto che riguardi / la mia vita, i miei fatti, i mie non fatti… Altre volte Montale ricorda i propri versi d’un tempo, li cita, ma per smitizzarli, per denigrarsi. Dice per esempio che Clizia è tornata a visitarlo, ma la ritrae nei panni della moglie scomparsa, la Mosca, invecchiata, miope, distratta. La donna angelo, abbassata a proporzioni così domestiche, ormai non può più salvare nessuno.
Tra i motivi più presenti in Satura vi è la balbuzie del linguaggio, originata dalla comunicazione di massa. Montale giornalista prendeva spesso di mira i mass-media, nei suoi scritti giornalistici degli anni cinquanta e sessanta (molti poi ripubblicati nel volume Auto da fé del 1966). Moltiplicare informazioni e conoscenze non produce affatto, a suo avviso, una crescita di umanità; così come l’incremento dei mezzi di comunicazione e della quantità di parole e messaggi (oggi aggiungeremmo: di immagini, reali e virtuali) non porta ad alcun progresso di consapevolezza critica e di cultura.

Lo stile basso e satirico
Non basta: il mestiere del giornalista esperto suggerisce a Montale di usare nelle sue liriche satiriche precisamente quel linguaggio standardizzato dei mass-media e della nuova società dei consumi. Esso sostituisce così in chiave ironica le parole letterarie e i modi alti di un tempo.
Perciò lo stile dell’ultimo Montale appare così anonimo; il tono è quello di un discorso impuro, ove tutto si mescola. Siamo di fronte a una specie di bricolage poetico, di arte povera. Qualche volta, tra i versi, fanno ancora capolino rime e strofe; ma servono solo a dimostrare che per il vecchio poeta l’effetto generale della non-poesia in prosa, è previsto e intenzionale.



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