Trama:
Il romanzo narra le vicende di due umili popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio è impedito da un prepotente signorotto, don Rodrigo, che riesce ad atterrire don Abbondio, il pavido curato che dovrebbe sposarli. Un tentativo di don Rodrigo di rapire Lucia, induce i due giovani a fuggire dal loro paese, aiutati da fra Cristoforo, un buon cappuccino che li protegge. Lucia con la madre Agnese è accolta nel convento della Monaca di Monza; questa, fatta monaca senza vocazione per ragioni economiche, accoglie dapprima benevolmente Lucia, ma più tardi, cedendo ai ricatti di un giovane scellerato con cui ha una colpevole relazione, lascia rapire la giovane dai bravi dell’Innominato, un prepotente amico di don Rodrigo.
Renzo a sua volta, avviato da padre Cristoforo al convento di Milano, capita in questa città in tempo di carestia e di tumulti popolari e, senza saper neanche lui come, si trova al centro della sommossa. Arrestato all'osteria della «luna piena» come capo sovvertitore, riesce a sfuggire alla giustizia; dopo un lungo cammino arriva in un paesello del bergamasco, in territorio di Venezia, dove è accolto da un suo cugino, Bortolo.
Intanto l’Innominato, mentre sta per mandare Lucia a don Rodrigo, è preso dai rimorsi e dal desiderio di cambiar vita; dopo l’incontro con il cardinale Federico Borromeo, arriva ad una vera e propria conversione e rimanda libera Lucia che nel momento più tragico della sua prigionia aveva fatto alla Madonna un voto di rinunzia a sposarsi con Renzo. Il cardinale consola Lucia e la madre, rimprovera don Abbondio per la sua viltà e fa accogliere Lucia in casa di donna Prassede, a Milano, intanto che Renzo continua a stare nascosto nel bergamasco. Qualche tempo dopo, a causa della guerra che si sta combattendo per la successione al ducato di Mantova, scende in Italia l’esercito imperiale, formato da mercenari Lanzichenecchi che portano la terribile pestilenza. Con la descrizione della peste il romanzo volge alla fine: don Rodrigo muore di peste; Renzo, che non ha più paura della legge, che in questo momento è assai poco rigorosa, torna a cercare Lucia e la trova nel Lazzaretto dove è riuscita a superare la peste. Ma la giovane è perplessa a sposarsi perché trattenuta dal voto che lo aveva fatto. Padre Cristoforo le dà, allora, la dispensa e così i due promessi possono tornare al paese per realizzare la loro unione. E alla fine della terribile pestilenza sarà proprio don Abbondio, sicuro ormai da ogni minaccia, a celebrare il tanto sospirato matrimonio.
1827: prima edizione della seconda stesura col titolo I promessi sposi.
1840-1842: seconda edizione della seconda stesura, definitiva, de I promessi sposi, pubblicato a dispense.
Fra la prima e la seconda stesura (1821-1827): ci sono notevoli diversità di contenuto (più ampie alcune descrizioni, diversi alcuni personaggi); fra la prima e la seconda edizione (1827-1840): c’è soprattutto una differenza di lingua; il Manzoni cerca un linguaggio moderno e spigliato, scelto con sottile impegno perché si adatti ora ai personaggi colti e intelligenti, ora a quelli umili e semplici. Prende come modello la lingua che si parla in Toscana.
Gli permette di attribuire all'Anonimo alcune osservazioni e questo dà al romanzo un tono di maggiore realismo, come se le azioni fossero narrate e commentate da uno che visse in quell'epoca.
Il Manzoni vuole ricavare dalla vicenda che narra alcuni insegnamenti:
-Morali, in quanto il male è sempre sconfitto dal bene, secondo un provvidenziale disegno divino per cui i buoni, anche se devono molto soffrire, ricevono poi una ricompensa;
-Religiosi, perché chi ha fiducia in Dio e nel suo intervento, può essere sicuro di non essere abbandonato, in quanto anche il male e i dolori hanno una loro ragione (dalle traversie di Renzo e Lucia scaturisce la conversione dell’Innominato);
-Politici, perché, sotto la prepotenza degli Spagnoli nella Milano del ‘600 si può facilmente intravedere l’allusione agli Austriaci dell’800 e quindi il romanzo assume il tono di una denuncia delle dominazioni straniere.
I veri protagonisti del romanzo sono le persone semplici, i popolani. Il Manzoni, infatti denuncia la prepotenza dei signorotti piccoli e grandi dei quali egli condanna la miseria intellettuale e morale, a cui contrappone la vita semplice e laboriosa degli umili.
L’incontro di don Abbondio con i bravi di don Rodrigo è una fra le tante pagine di raffinata narrazione dei Promessi Sposi. L’autore vi studia con acutezza la psicologia della prepotenza e quella della paura e riesce, con essenzialità espressiva, a crearci un quadro vivace in cui i personaggi sono ritratti con realistica plasticità. Dai loro gesti e dalle loro parole cogliamo l’essenza di una vicenda che si presenta drammatica, ma non possiamo fare a meno di essere soggiogati dal tono ironico, quasi faceto dalla narrazione, per mezzo del quale il dramma si stempera e suscita il riso: quel pover'uomo che abbozza una pavida riverenza, col suo latino inutile e il libro fra le mani, e quei due arroganti che si allontanano spavaldi, cantando una canzonaccia, non hanno proprio nulla che ci faccia presagire una vicenda dolorosa.
Il confronto fra i due modi narrativi, nelle due stesure dei Promessi Sposi, ci aiuta a ricostruire la maturazione stilistica del Manzoni. In fermo e Lucia “manca la lucida compattezza del capolavoro”: vi sono macchie, soluzioni di continuità, sodaglie incolte, minuzie non ancora richiamate alla vita dalla brevità epigrammatica, goffaggini strane in un autore che siamo avvezzi a considerare come uno dei nostri più signorili. Fanno ancora difetto al Manzoni l’abilità suggestiva, la sfumatura, quella particolare delicatezza che risponde nella vita comune al tatto, al garbo…
Il romanzo narra le vicende di due umili popolani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, il cui matrimonio è impedito da un prepotente signorotto, don Rodrigo, che riesce ad atterrire don Abbondio, il pavido curato che dovrebbe sposarli. Un tentativo di don Rodrigo di rapire Lucia, induce i due giovani a fuggire dal loro paese, aiutati da fra Cristoforo, un buon cappuccino che li protegge. Lucia con la madre Agnese è accolta nel convento della Monaca di Monza; questa, fatta monaca senza vocazione per ragioni economiche, accoglie dapprima benevolmente Lucia, ma più tardi, cedendo ai ricatti di un giovane scellerato con cui ha una colpevole relazione, lascia rapire la giovane dai bravi dell’Innominato, un prepotente amico di don Rodrigo.
Renzo a sua volta, avviato da padre Cristoforo al convento di Milano, capita in questa città in tempo di carestia e di tumulti popolari e, senza saper neanche lui come, si trova al centro della sommossa. Arrestato all'osteria della «luna piena» come capo sovvertitore, riesce a sfuggire alla giustizia; dopo un lungo cammino arriva in un paesello del bergamasco, in territorio di Venezia, dove è accolto da un suo cugino, Bortolo.
Intanto l’Innominato, mentre sta per mandare Lucia a don Rodrigo, è preso dai rimorsi e dal desiderio di cambiar vita; dopo l’incontro con il cardinale Federico Borromeo, arriva ad una vera e propria conversione e rimanda libera Lucia che nel momento più tragico della sua prigionia aveva fatto alla Madonna un voto di rinunzia a sposarsi con Renzo. Il cardinale consola Lucia e la madre, rimprovera don Abbondio per la sua viltà e fa accogliere Lucia in casa di donna Prassede, a Milano, intanto che Renzo continua a stare nascosto nel bergamasco. Qualche tempo dopo, a causa della guerra che si sta combattendo per la successione al ducato di Mantova, scende in Italia l’esercito imperiale, formato da mercenari Lanzichenecchi che portano la terribile pestilenza. Con la descrizione della peste il romanzo volge alla fine: don Rodrigo muore di peste; Renzo, che non ha più paura della legge, che in questo momento è assai poco rigorosa, torna a cercare Lucia e la trova nel Lazzaretto dove è riuscita a superare la peste. Ma la giovane è perplessa a sposarsi perché trattenuta dal voto che lo aveva fatto. Padre Cristoforo le dà, allora, la dispensa e così i due promessi possono tornare al paese per realizzare la loro unione. E alla fine della terribile pestilenza sarà proprio don Abbondio, sicuro ormai da ogni minaccia, a celebrare il tanto sospirato matrimonio.
Lista riassunto capitoli
- Introduzione
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15
- Capitolo 16
- Capitolo 17
- Capitolo 18
- Capitolo 19
- Capitolo 20
- Capitolo 21
- Capitolo 22
- Capitolo 23
- Capitolo 24
- Capitolo 25
- Capitolo 26
- Capitolo 27
- Capitolo 28
- Capitolo 29
- Capitolo 30
- Capitolo 31
- Capitolo 32
- Capitolo 33
- Capitolo 34
- Capitolo 35
- Capitolo 36
- Capitolo 37
- Capitolo 38
Informazioni generali sui promessi sposi
1821-1823: prima stesura del romanzo col titolo Fermo e Lucia (fu pubblicata postuma, nel 1916 dall'editore Lesca col titolo Gli sposi promessi).1827: prima edizione della seconda stesura col titolo I promessi sposi.
1840-1842: seconda edizione della seconda stesura, definitiva, de I promessi sposi, pubblicato a dispense.
Fra la prima e la seconda stesura (1821-1827): ci sono notevoli diversità di contenuto (più ampie alcune descrizioni, diversi alcuni personaggi); fra la prima e la seconda edizione (1827-1840): c’è soprattutto una differenza di lingua; il Manzoni cerca un linguaggio moderno e spigliato, scelto con sottile impegno perché si adatti ora ai personaggi colti e intelligenti, ora a quelli umili e semplici. Prende come modello la lingua che si parla in Toscana.
È un romanzo storico perché:
- La vicenda è ambientata in un preciso contesto storico (quello della dominazione spagnola in Milano e della guerra per la successione al ducato di Mantova, 1628-1630);
- Si riallaccia al genere «romanzo storico», allora molto diffuso in Europa sull'esempio dei romanzi dell’inglese Walter Scott, anche se il Manzoni è assai più scrupoloso e attento studioso della storia, che prende come sorgente della sua opera «mista di storia e di invenzione».
Lo scopo del romanzo
Il Manzoni immagina di avere trovato la sua storia in un manoscritto del Seicento, di autore anonimo e si essersi limitato a trascriverlo in linguaggio moderno. A che serve questa finzione?Gli permette di attribuire all'Anonimo alcune osservazioni e questo dà al romanzo un tono di maggiore realismo, come se le azioni fossero narrate e commentate da uno che visse in quell'epoca.
Il Manzoni vuole ricavare dalla vicenda che narra alcuni insegnamenti:
-Morali, in quanto il male è sempre sconfitto dal bene, secondo un provvidenziale disegno divino per cui i buoni, anche se devono molto soffrire, ricevono poi una ricompensa;
-Religiosi, perché chi ha fiducia in Dio e nel suo intervento, può essere sicuro di non essere abbandonato, in quanto anche il male e i dolori hanno una loro ragione (dalle traversie di Renzo e Lucia scaturisce la conversione dell’Innominato);
-Politici, perché, sotto la prepotenza degli Spagnoli nella Milano del ‘600 si può facilmente intravedere l’allusione agli Austriaci dell’800 e quindi il romanzo assume il tono di una denuncia delle dominazioni straniere.
I veri protagonisti del romanzo sono le persone semplici, i popolani. Il Manzoni, infatti denuncia la prepotenza dei signorotti piccoli e grandi dei quali egli condanna la miseria intellettuale e morale, a cui contrappone la vita semplice e laboriosa degli umili.
Don Abbondio e i bravi
All'origine di tutta la storia dei Promessi Sposi ci sono la prepotenza di don Rodrigo e la pavidità di don Abbondio: il primo, per un capriccio e una scommessa, non esita ad imporre i suoi ordini con l’intimidazione con i suoi scagnozzi “bravi”, il secondo, sacerdote senza vera vocazione, è disposto a ogni servilismo per salvaguardare il suo quieto vivere.L’incontro di don Abbondio con i bravi di don Rodrigo è una fra le tante pagine di raffinata narrazione dei Promessi Sposi. L’autore vi studia con acutezza la psicologia della prepotenza e quella della paura e riesce, con essenzialità espressiva, a crearci un quadro vivace in cui i personaggi sono ritratti con realistica plasticità. Dai loro gesti e dalle loro parole cogliamo l’essenza di una vicenda che si presenta drammatica, ma non possiamo fare a meno di essere soggiogati dal tono ironico, quasi faceto dalla narrazione, per mezzo del quale il dramma si stempera e suscita il riso: quel pover'uomo che abbozza una pavida riverenza, col suo latino inutile e il libro fra le mani, e quei due arroganti che si allontanano spavaldi, cantando una canzonaccia, non hanno proprio nulla che ci faccia presagire una vicenda dolorosa.
Il confronto fra i due modi narrativi, nelle due stesure dei Promessi Sposi, ci aiuta a ricostruire la maturazione stilistica del Manzoni. In fermo e Lucia “manca la lucida compattezza del capolavoro”: vi sono macchie, soluzioni di continuità, sodaglie incolte, minuzie non ancora richiamate alla vita dalla brevità epigrammatica, goffaggini strane in un autore che siamo avvezzi a considerare come uno dei nostri più signorili. Fanno ancora difetto al Manzoni l’abilità suggestiva, la sfumatura, quella particolare delicatezza che risponde nella vita comune al tatto, al garbo…