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Biografia: Jacopone da Todi


Biografia:
Jacopone da Todi nacque tra il 1230 e il 1236 a Todi, è probabile che fosse un notaio. Fu, comunque, uomo colto, giacché si formò nell'ambito dell'importante scuola giuridica dell'Università di Bologna, e nobile di nascita, poiché appartenne alla famiglia dei Benedetti, illustre casata della città di Todi. La tranquilla giovinezza e il matrimonio felice avrebbero fatto di lui forse nulla più che un soddisfatto pater familias, preoccupato al massimo delle sue pratiche legali, se un episodio drammatico non fosse repentinamente venuto a turbare la sua esistenza.
Vuole la leggenda che, crollato durante una festa il pavimento della stanza in cui egli si trovava con la giovane moglie, questa perisse nell'incidente, con immenso dolore del marito che molto l'amava.  Nel prepararla per la sepoltura si sarebbe scoperto su di lei un cilicio, strumento di penitenza che la giovane portava di nascosto a tutti, celando le sue sofferenze. Jacopone, profondamente colpito, si fa allora terziario francescano, e per dieci anni conduce vita di penitenza e di mortificazione, finché risolve di entrare nell'Ordine dei Frati Minori «spirituali», l'Ordine Francescano più severo, il più legato all'antica regola ascetica e rigorista.
Aspro censore dei costumi del clero, Jacopone rivolge acerbe critiche alle gerarchie ecclesiastiche e al papa stesso, Bonifacio VIII, finché quest'ultimo, che non è uomo da pazientare troppo di fronte agli attacchi di un accusatore così inopportuno, lo scomunica e lo fa incarcerare, escludendolo perfino dalla indulgenza nobiliare del 1300.
Nel carcere di Castel San Pietro, Jacopone languirà per sei anni, durante i quai invierà al pontefice alcune epistole: nella prima egli si esprime senza mezzi termini, con fierezza, dimostrandosi sicuro di poter sopportare ancora a lungo il proprio martirio; al papa chiede soltanto di ritirare la scomunica, l'unico castigo che abbia il potere di prostrarlo. In una seconda epistola il tono è invece quella della supplica, che il tudertino veste di accenti disperati.
Ma Bonifacio VIII è irremovibile; soltanto con l'avvento del nuovo papa, Benedetto XI, Jacopone riacquista la libertà. Si ritira allora a Collazzone, ospite delle Clarisse nel convento di San Lorenzo e qui muore nel 1306. Aveva probabilmente settansei anni, dato che la sua nascita si fa risalire al 1230 circa.
Jacopone scrisse in tutto un centinaio di laude, dettate a volte da un ardente slancio mistico, a volte da una pungente intenzione satirica. Avvertimenti severi all'uomo perché stia all'erta di fronte alle tentazioni, improvvise «pazzie» accese nel cuore dalla carità.

Il carcere

Di sé e della sua vita in carcere Jacopone parla nel Cantico di frate Iacopone e de la sua prigionia: il carcere è una casa sotterrata, gli hanno tolto il cappuccio, nessuno gli può parlare, lo nutrono con cibi disgustosi. Dalla descrizione realistica del suo stato egli si apre ora a slanci di mistica esaltazione ora a momenti di più pacata  riflessione sulla povertà, troppo poco amata dagli uomini.


Opere:

Fra le liriche in cui egli cerca espressioni libere e immediate al suo fervore religioso, due soprattutto si staccano: in una egli confessa il timore che possa venirgli meno lo stato di rapimento che lo pervade, nell'altra, del «jubilo del core ch'esce in voce», l'esaltazione mistica si esprime quasi, come è stato scritto, in un «balbettio commovente».


Pianto della madonna o Donna de Paradise
Fra tutte le sue laude, la più bella e commossa è il Pianto della Madonna, una rievocazione dell'ultimo colloquio con Cristo e la Madre dolorosa. Tre temi teatrali e un quarto, corale e di sfondo, compongono questa lauda: la narrazione drammatica del Nunzio, il lamento di Maria, il testamento spirituale di Cristo, la presenza della folla. Dalla voce del narratore si dispiegano la vicenda animata (la flagellazione e la crocifissione di Cristo) e la storia (il tradimento di Giuda, l'indifferenza di Pilato). Alla voce del narratore risponde quella di Maria che piange e implora, madre dolente, sola presenza degli affetti e degli smarrimenti umani.

Altre opere
Oltre alle laude, a Jacopone furono anche attribuiti altri scritti, che la filologia moderna ha però dimostrato apocrifi. Incerta resta l'attribuzione di due opere: il trattato "In che modo l'uomo può tosto pervenire alla cognizione della verità è perfettamente la pace dell'anima possedere" e dei "Detti".
In questi due scritti l'umanità e il pensiero di Jacopone appaiono comunque presenti. Nel celebre capo terzo dei Detti ci parla dei tre stati dell'anima: la disperazione per i peccati, la compassione nel pensiero di Cristo, l'amore.


Lo stile

Vi è sempre, nella poesia di Jacopone, una tensione drammatica, esplodente o trattenuta , che rivela la forza del suo misticismo; il suo linguaggio ha una realistica crudezza, la sua voce si raccoglie poi nel silenzio e nella contemplazione. Il grande frate scrive nel volgare di Todi, ma su fondo latino, un latino che egli riesce a piegare e fondere col suo stile personalissimo.
Certe caratteristiche, nella poesia di Jacopone, hanno fatto pensare ai primi segni di un teatro in formazione, come nel Pianto della Madonna, in cui il dialogo fra Maria e Gesù ha in sé un ritmo che pare fatto per la recitazione. Non è ancora ai livelli di una rappresentazione visiva, nulla è propriamente rappresentato, tutto è riferito via via che accade. Ma tali caratteri rispecchiano le origini della lauda e il suo posto della vita spirituale del Medio Evo.



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