La vita in breve
Nato a Nola nel 1548, Giordano Bruno entra adolescente nel convento di S.Domenico a Napoli. Sin dall’inizio si mostra insofferente della vita ecclesiastica, cade in sospetto d’eresia e nel 1576 per sfuggire al processo abbandona il convento e si reca a Roma. Dal 1583 al 1589 si reca in Inghilterra sotto la protezione dell’ambasciatore francese. Nel 1591 torna in Italia su invito del nobile Giovanni Mocenigo che desidera apprendere da lui l’arte della memoria, ma questi nel 1592 lo denuncia per eresia; Bruno rifiuta ogni religione, nega i dogmi cristiani e addirittura afferma che Cristo era un mago che aveva sedotto i popoli con miracoli. Bruno viene processato e sconfessa sul terreno religioso le tesi sostenute su quello filosofico. Egli rifiuta di ritrattare le sue teorie filosofiche e viene condannato a morte il 17 febbraio del 1600.
L’universo infinito
Bruno vede nella teoria astronomica di Copernico la premessa e la base per condurre la missione di rischiaramento filosofico e religioso. La pubblicazione dell’opera copernicana viene descritta ne La cena delle ceneri.
Bruno evidenza che la concezione copernicana della natura era rimasta ancorata a principi tradizionali. Riprendendo le tesi di Cusano, egli afferma che l’universo è infinito perché è effetto di una causa infinita che è Dio. Dio è causa dell’universo in un duplice senso: da un lato è causa in quanto produce l’universo; dall'altro è principio immanente in esso.
Non è valida la tesi di Aristotele che negò l’infinito in atto effettivamente esistente e accettò solo l’infinito in potenza. Per Bruno, che l’infinito esista in atto è dimostrato dalla natura infinita di Dio nel quale l’atto non si distingue dalla potenza. L’universo è infinito non perché infinitamente grande, ma perché costituito da infiniti mondi. Se è infinito l’universo non ha né centro né circonferenza, non è né alto né basso. Eliminate le sfere cristalline e i motori dell’aristotelismo il movimento è intrinseco alla natura stessa.
La libertà di ricerca della ragione
L’immagine dell’universo di Bruno pone problemi inquietanti all’uomo del ‘500 e del ‘600. I teologi non devono mettere in discussione la libertà dei filosofi e degli scienziati.
L’unità di misura
Nei dialoghi De la causa, principio et uno si distingue l’idea di un Dio assolutamente al di là del mondo sensibile, dall’idea che di Dio si fa la ragione. Nel primo caso Dio è una mens super omnia, una mente al di sopra di ogni cosa ed appare a noi come la natura stessa. Come oggetto di riflessione razionale Dio è la natura stessa. Egli è la causa e il principio di ogni cosa. Dio per Cusano era trascendente, mentre per Bruno è immanente alla natura stessa. È la mens insita omnibus (= mente dentro le cose) il principio razionale insito nelle cose. Quando vediamo qualcosa che sembra morire non dobbiamo tanto credere che essa muoia realmente, quanto che muti, cioè che cambi i suoi aspetti accidentali restando immutabile nei suoi principi essenziali. Dio si manifesta come forma o intelletto universale, si manifesta come materia. In tal modo materia e forma sono un’unica realtà. Il concetto di materia risulta mutato in quanto essa appare dotata di un intrinseco principio attivo e di movimento. Proprio per l’idea che ogni realtà dell’universo sia vivente e animata costituisce il fondamento della magia.
Il minimo e le monade
Bruno, nel De triplici minimo et mensura afferma che nelle cose esiste un elemento-base, il minimo, che costituisce la loro essenza. Esso è l’unità ultima. Le cose particolari tendono a raccogliersi in unità più vaste cioè in specie e generi fino a formare l’unità generale dell’essere. Nel De monade Bruno afferma che la struttura degli esseri naturali è matematico-geometrica. Descrive come dall’uno si formi la diade e come da questa si forma prima la triade e via via gli altri numeri fino alla decade.
Unità del sapere e mnemotecnica
L’attività conoscitiva mira a individuare i nessi esistenti fra diverse rappresentazioni sensibili, ma cerca di andare oltre l’orizzonte sensibile in quanto si realizza solo nella contemplazione delle idee, dei principi eterni che sono a fondamento dell’ordine naturale. Di tali principi la realtà sensibile è solo l’ombra, cioè il segno la traccia: un'ombra nella quale la mente cerca di cogliere un ordine, una struttura ideale immutabile.
Il conflitto la virtù e il valore del lavoro
I due principali scritti morali di Bruno: dialoghi, lo spaccio della bestia trionfante e gli eroici furori.
Nella prima opera si parla dello spaccio di tutti i vizi accostati ad alcuni segni zodiacali, cioè a quelli che hanno il simbolo di bestie (ad esempio lo scorpione). La vita è conflitto, guerra perenne ed è guerra del bene contro il male, perché non c’è bene se non nella vittoria sul male. Il mondo è il campo dove si dispiega pienamente l’attività umana, l’ozio viene cacciato dal lavoro e l’uomo cerca di affermare se stesso con le opere. Bruno riconduce i vizi alle superstizioni e afferma che occorre affermare una nuova tavola dei valori. Tali valori sono la verità, la prudenza, la sofia o sapienza ed infine la legge.
Gli eroici furori
Di tale ricerca è espressione compiuta la seconda opera. In essa Bruno descrive tre furori o amori ripresi dalle tre specie di rapto platonico: l’amore per la vita dedita al piacere, quello per la vita attiva e quello per la vita contemplativa. I primi due tipi di furore sono degli uomini di barbaro ingegno, il terzo è l’autentico ed eroico furore.
Quella di Bruno non è una forma di elevazione mistica verso la trascendenza. Essa è risoluzione dell’individuo nell’infinita e vivente natura. Egli vede finalmente se stesso come natura e come parte dell’universo infinito. L’eroico furore di Bruno è una vera e propria passione del conoscere.