François Perrier, Enea e la Sibilla Cumana, 1646 circa. Varsavia, Museo Nazionale |
Enea al timone dirige la flotta verso la terraferma e approda a Cuma. Si reca al tempio di Apollo, per interrogare, come gli era stato consigliato da Eleno, la Sibilla, profetessa del dio, che trae i suoi vaticini in un'enorme grotta, l'antro dalle cento porte.
La Sibilla sta per essere invasata dal dio e ordina ai Troiani di fare il sacrificio dovuto perché il dio inizi a ispirarla: Enea promette un tempio ad Apollo e a Trivia e prega la Sibilla di cantare a voce il suo messaggio e di non affidarlo, come era abitudine, alle foglie, temendo che il vento le possa scompigliare e così rendere impossibile l'interpretazione. La profetessa, finalmente ispirata dal dio, annuncia a Enea che i pericoli per mare sono finiti, ma altri lo attendono in terra. Arriveranno al regno di Lavinio, ma là dovranno affrontare dure guerre, combattere contro un giovane pari per la sua forza ad Achille e subire nuovamente l'ira di Giunone, a causa, ancora una volta, di una donna straniera. Ordina però a Enea di non cedere ai dolori e di continuare a lottare: il primo aiuto gli verrà da una città greca.
Enea chiede quindi alla Sibilla come scendere ai Campi Elisi, dove il padre (libro V) gli ha ordinato di recarsi. La Sibilla gli prescrive di cercare il ramo d'oro nascosto nel bosco: esso si cela tra le fronde e, una volta strappato, ne germoglia subito un altro; ma può essere spiccato solo con il favore del Fato e deve essere offerto a Proserpina per favorire la discesa nell'Ade. Inoltre ordina a Enea di seppellire un compagno che è morto nel frattempo.
Angosciato da quest'ultima notizia, Enea torna presso le navi e là, sul lido, trova il corpo inanimato di Miseno, punito con la morte da Tritone, perché aveva gareggiato con gli dei nel suonare la tromba di guerra. Enea e i compagni raccolgono legna per la pira funebre di Miseno: mentre nel bosco Enea si augura di trovare il ramo d'oro; due colombe inviate da sua madre, con brevi voli lo accompagnano fin dove vede brillare fra i rami quello dorato, che riesce a spezzare.
Tornato alla spiaggia, celebra con i compagni i riti funebri per lo sventurato Miseno. Quindi, accompagnato dalla Sibilla, si avvia a scendere nel regno dei morti: alla bocca del lago d'Averno, presso una grotta dalle esalazioni mefitiche, si consumano i sacrifici notturni e s'invocano Ecate e Plutone, sovrani degli Inferi; poi, mentre la terra muggisce spaventosamente e gli alberi sono scossi da una furia, la Sibilla ordina a Enea di seguirlo da solo, pronto e audace, mentre gli altri devono stare lontani.
Nel vestibolo infernale appaiono il pianto, i rimorsi, le malattie, le personificazioni dei mali dell'umanità, e poi una serie di figure mostruose, fra cui i Centauri, la Chimera, le Gorgoni e le Arpie; quindi i due si dirigono verso la palude Stigia. Presso l'Acheronte incontrano Caronte, traghettatore delle anime: Enea viene a sapere dalla Sibilla che le anime che si affollano per passare il fiume infernale sono quelle dei morti insepolti che devono aspettare cento anni prima di poter essere traghettati. Fra le anime degli insepolti Enea vede antichi eroi e l'ombra di Palinuro, che gli narra la sua fine e gli chiede di essere sepolto o portato oltre il fiume. La Sibilla lo rimprovera in quanto non è concesso violare la legge divina, ma profetizza che gli abitanti del luogo dove egli giace insepolto, trascinato fino a riva dal mare, lo seppelliranno, spinti da funesti prodigi.
Caronte vorrebbe impedire il passaggio di Enea, ma la Sibilla lo convince mostrando il ramo d'oro e spiegando che Enea varca il limite dell'oltretomba per vedere il padre morto, mosso quindi da una grande pietà. Convinto Caronte e oltrepassato l'Acheronte, all'ingresso del regno dei morti, la Sibilla getta focacce soporifere a Cerbero, mostro mostruoso con tre teste che sta a guardia della palude Stigia.
L'eroe e la profetessa entrano in una specie di antinferno, nel quale sono radunate le anime dei morti anzitempo: bambini e fanciulli, suicidi (fra cui Didone), gli eroi morti in battaglia: mentre attorno a Enea si accalcano gli antichi compagni Troiani, di fronte a lui le schiere greche fuggono o lanciano grida. Fra gli eroi vede Deifobo, figlio di Priamo, che gli narra il tradimento di Elena: a lui sposata dopo essere rimasta vedova di Paride, lo aveva tradito consegnandolo a Menelao, nella speranza di riconciliarsi con il primo marito. Le orrende ferite che ancora reca il suo corpo testimoniano l'agguato mortale. Ma la Sibilla invita Enea ad affrettarsi e Deifobo saluta tristemente l'antico compagno.
Enea osserva le grandi mura del Tartaro circondate dal Flegetonte, dove sono i malvagi e chiede alla profetessa quali delitti lì si puniscano: la Sibilla elenca varie colpe, fra cui la slealtà, l'avarizia, l'infedeltà, ma si dice incapace di dire tutti i delitti che lì si scontano fra pene e tormenti.
I due visitatori volgono a destra, verso il palazzo di Dite, dove Enea reca l'offerta del ramo d'oro, quindi nei Campi Elisi, luogo incantato e luminosissimo, dove le anime dei beati passano il loro tempo infinito in tranquille occupazioni: chi danza, chi canta, chi fa esercizi ginnici. Sono poeti, musicisti, soldati morti per la patria, sacerdoti; in una valletta Enea incontra Anchise, che dice di averlo da tempo aspettato e gli illustra la teoria della metempsicosi: le anime, vivificate dallo Spirito Universale, entrano nei corpi e li animano, per tutta la vita; dopo la morte, esse si purificano e bevono l'acqua del Lete, che dà l'oblio della vita precedente, e tornano a incarnarsi. Quindi conduce Enea su un colle e di lì gli mostra i futuri Romani illustri, celebra le doti civili e politiche che caratterizzeranno Roma e conclude il suo racconto con l'esaltazione di Marcello, nipote di Augusto, morto giovanissimo. Quindi accompagna il figlio e la Sibilla fino alla porta d'avorio, da dove Enea e la Sibilla escono alla spiaggia.
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