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Inferno Canto 10: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del decimo canto dell'Inferno (Canto X) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Il canto è ancora ambientato nella città di Dite dove scontano la loro pena gli eresiarchi. Dante incontra Farinata Degli Uberti e con egli instaurerà un discorso politico su Firenze (e profezia sull'esilio di Dante). Durante la conversazione vengono interrotti da Cavalcante dei Cavalcanti: questi appare da una tomba scoperchiata per chiedere di suo figlio, ma interpretando male le parole di Dante lo crede morto e sparisce nella disperazione.



Analisi del canto

In questo canto, ambientato nel cerchio degli eretici, si trovano uniti nella stessa tomba due fiorentini della generazione passata: Farinata degli Uberti e Cavalcante. Sicuramente è Farinata il personaggio più importante, che mostra attaccamento alla vita politica, dando origine a un dialogo intenso e in contrasto con i principi di Dante, mentre Cavalcante mostra l'amore per il proprio figlio interrompendo temporaneamente il dialogo degli altri due.


Farinata degli Uberti
Farinata viene descritto fisicamente come un personaggio importante: che si vede dalla cintola in su, con fronte e petto alti e con il tipico sguardo di chi guarda chiunque con disprezzo.
Appartenente alla fazione dei ghibellini e, quindi, avversario del guelfo Dante, a cui gli attribuisce un atteggiamento magnanimo per la sua coerenza nell'agire, per il coraggio e l'amore per la patria. I due si riconoscono perché entrambi parlano la stessa lingua (il toscano) e per l'amore verso Firenze. Di Farinata se ne parla anche nel canto VI (v. 79), quando Dante chiede a Ciacco se le anime "degne" (e in questo elenco era presente anche Farinata) si trovassero nel Paradiso o nell'Inferno. Non si parla molto della pena di Farinata, se non un po' verso la fine del canto, dove si accenna all'accusa di essere un seguace dell'epicureismo.


Firenze e la profezia
I vv. 79-81 ("Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’arte pesa") sono le parole di Farinata che profetizzano volutamente in modo oscuro il drammatico destino di Dante: l'esilio da Firenze.
Si parlerà di questo evento anche per mezzo di altri spiriti negli altri canti del poema, fino allo svelamento che arriva quando Dante incontra l'avo Cacciaguida.


Il tema politico
Dante Alighieri è nato nel 1265, Farinata degli Uberti è morto nel 1264, cioè un anno prima della nascita di Dante. Ma allora perché Dante sente questa rivalità come se l'avesse affrontato nella vita terrena? Molte sono le ragione, la più importante è che fosse ghibellino (autorità papale) che è la fazione opposta ai Guelfi (autorità imperiale), l'altra ragione è che esisteva una rivalità di casato tra gli Uberti e gli Alighieri.
Tuttavia il Poeta nutre anche rispetto per Farinata perché quando i ghibellini vinsero, fu Farinata a impedire la distruzione di Firenze. Due anni dopo la morte di Farinata, nel 1266, i Guelfi vinsero nella Battaglia di Benevento e si ripresero Firenze, cacciando tutte le famiglie ghibelline (da qui la vicinanza di Dante per il tema dell'esilio). Tra tutte le famiglie ghibelline, fu quella degli Uberti che subì l'accanimento maggiore, e in particolare vent'anni dopo la sua morte, Farinata venne considerato eretico e le sue ossa vennero riesumate e gettate nel fiume Arno. A questa riesumazione era presente anche Dante, che ne restò parecchio impressionato, e sicuramente questa è la ragione per cui abbia voluto ricordarlo nel suo poema.


Cavalcante
L'altra personaggio con cui ha modo di dialogare Dante è Cavalcante Cavalcanti, il padre di Guido Cavalcanti, poeta e amico di Dante. È un personaggio molto diverso rispetto a Farinata, innanzitutto non è importante e imponente come il primo, ed è angosciato per la sorte del figlio, al punto tale da interpretare male parole di Dante finendo per credere suo figlio morto. La funzione del dialogo con Cavalcante serve a interrompere e, quindi, dividere in due parti il dialogo tra Dante e Farinata in modo da creare al lettore maggiore suspense.


Il tema dottrinario: la preveggenza dei dannati
Il fatto che Cavalcante interpreta in modo sbagliato le parole di Dante e arrivi a pensare che suo figlio Guido sia morto (vv. 87 69), genera in Dante dei dubbi circa la preveggenza dei dannati. Ci penserà Farinata a spiegare la situazione (vv. 94-117): la conoscenza del futuro da parte dei dannati (già vista in Ciacco e Farinata) è simile alla vista dei presbiti, che vedono bene da lontano, ma non da vicino. Tale conoscenza del futuro deriva dal contrappasso di un peccato comune a tutti i dannati: l'aver pensato solo al presente, e mai alla vita nell'oltretomba, futura. Questa capacità durerà fino al giudizio universale, il giorno in cui le tombe saranno chiuse in eterno, dopo che i corpi saranno ricongiunti con le anime.



Commento

Una distesa di tombe, un cimitero in cui scontano la pena quei dannati che credettero che l'anima muore col corpo; questo è l'ambiente che hanno di fronte i due poeti. Eretici e materialisti, questi spiriti, dopo il Giudizio universale, giaceranno col corpo per sempre serrati dentro il sepolcro. Un'atmosfera claustrofobica s'afferma sulla scena, quasi tragico contrappasso di chi credette nella vitalità, nella bellezza del vivere, nella libertà del corpo e del pensiero, in una pienezza umana totale ma contingente, sprezzante della dimensione metafisica. Uomini completi, ma ancorati alla terra, gli epicurei rivivono le passioni terrene nel momento in cui incontrano Dante.
Due sono gli affetti che dominano il canto: la passione politica e l'amore paterno. Questi sentimenti sono ammirevoli, capaci di conferire dignità ai personaggi, ma pur sempre cosi temporanei all'occhio del pellegrino Dante in cammino verso la salvezza. Il canto dominato da Farinata, il ghibellino possente e ragguardevole che avvia uno scontro politico con Dante, il discendente di quei Guelfi con cui venne in conflitto a Montaperti e altrove. La diatriba è tipica di due avversari politici che si affrontano senza reticenze: sono due linee ideologiche diverse, ma ciò non significa che l'uno valga meno dell'altro. Seguono nel canto gli eventi fondamentali della lotta tra le due fazioni, costellata di momenti di sangue. Ma c'è un attimo in cui il fiero ghibellino abbassa il tono altezzoso e deciso per abbandonarsi su un ricordo imperioso: egli fu il solo a opporsi alla distruzione di Firenze. Su questo piano Farinata e Dante s'incontrano: al di la della feroce critica alla loro città, entrambi la amano tanto intensamente da doverne subire dolorose conseguenze. Dante infatti viene a sapere da Farinata che presto sarà scacciato da Firenze e costretto all'esilio: l'odio dei concittadini vincerà ancora una volta, come già avvenne con Farinata. Momenti di intensa passione politica s'intrecciano ad altri di tonalità individuale e sentimentale. È Cavalcante Cavalcanti, il padre dell'amico Guido, che offre a Dante lo spunto per affrontare il tema del doloroso amore paterno. Cavalcante ha, dei padri, lo sconfinato amore e l'orgoglio che spinge a esaltare i propri figli, a considerarli unici al mondo. Cavalcante è convinto che il suo Guido sia al di sopra di tutti gli altri intellettuali fiorentini, certamente non lo giudica inferiore a Dante, e si chiede come mai non sia con lui in un viaggio cosi importante. L'assurda domanda svela un retroterra di passioni terrene, di legami intensi, di richiami affettivi che non hanno consolazione. Ancor più sconsolato è poi Cavalcante quando teme che suo figlio sia già morto. Egli non accetta la morte tanto più quella di suo figlio: per lui che ha creduto nella scolarità della vita, l'evento mortale risulta inspiegabile e insensato. Farinata e Cavalcante: due facce di una stessa medaglia, due diverse interpretazioni di una passione per la vita, che la morte ha spezzato definitivamente. A conclusione dell'incontro, a Dante resta l'amaro di una profezia chi presto si avvererà.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del decimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 10 dell'Inferno.


O virtù somma = metonimia (v. 4). S'intende "O guida sommamente virtuosa", l'astratto per il concreto.

Che per li empi giri mi volvi = ipallage (v. 4). Cioè usa la parola "giri" sia per dire che lo conduce intorno sia per indicare i cerchi infernali.

Guardia face = anastrofe (v. 9). Che sta per "fa la guardia".

Morta fanno = anastrofe (v. 15). Cioè "che considerano morta".

O Tosco = apostrofe (v. 22). Cioè: "O toscano".

Città del foco = perifrasi (v. 22). Per indicare Firenze.

D’ubidir disideroso = anastrofe (v. 43). Cioè "desideroso di ubbidire".

A me e a miei primi e a mia parte = climax ascendente (v. 47).

Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco = similitudine (vv. 55-56). Sta a significare "Mi guardò intorno, come se avesse desiderio di vedere se c'era qualcun altro con me".

Come? dicesti "elli ebbe"? non viv’elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume? = climax ascendente (vv. 67-69).

Dolce lume = metafora (v. 69). Per indicare la luce del sole.

Né mosse collo, né piegò sua costa = sineddoche (v. 75), la parte per il tutto.

S’elli han quell’arte, disse, male appresa = iperbato (v. 77). Il verbo "disse" separa "arte" da "male appresa".

La donna che qui regge = perifrasi (v. 80). La donna in questione è Proserpina, identificata con la faccia della Luna.

Lo strazio e ’l grande scempio = endiadi (v. 85).

Il capo mosso = anastrofe (v. 88). Sta per "scosso il capo".

Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose che ne son lontano
= similitudine (vv. 100-101). Sta a significare "Noi, come chi ha un difetto di vista (presbite), vediamo le cose che sono lontane nel tempo".

Il sommo duce = perifrasi (v. 102). Per indicare Dio.

Tutto vede = anastrofe (v. 131). Al posto di "vede tutto", cioè vede ogni cosa.

Di tua vita il viaggio
= metafora (v. 132). Cioè il viaggio, inteso come "il corso della tua vita".

Di tua vita il viaggio = anastrofe (v. 132). Vanno invertiti di posto "il corso della tua vita".

Enjambements = vv. 8-9; 28-29; 46-47; 55-56; 58-59; 121-122.



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