Dante vede i non battezzati |
Questo il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel Limbo, luogo in cui si trovano le anime che non ebbero peccati, se non quello originale di non essere stati battezzati: vi si trovano quindi i bambini nati morti, le persone decedute prima della venuta di Cristo (come lo stesso Virgilio) e quelle che per varie ragioni non ebbero modo di conoscere il suo messaggio (come i musulmani). In questo canto incontrano i grandi poeti antichi: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano.
Analisi del testo
Il luogo dell’azioneSul luogo dell’azione, il Limbo — ripreso dalla tradizione classica — si concentrano i motivi del canto: la condizione dei dannati, la questione del battesimo, la dimensione affettiva per l’anima di Virgilio, la presenza degli spiriti magni del passato, i significati simbolici.
Virgilio e il Limbo
Trova espressione nel canto il tema del destino particolare di Virgilio, motivo psicologico centrale nella Commedia. Egli insiste nello specificare che questi spiriti non peccarono e anzi furono virtuosi ed eccellenti, perché in questo modo esprime anche un giudizio su stesso, che proprio qui ha sua eterna sede.
L'incontro con i poeti
Inizia con questa implicita definizione dei massimi autori antichi la serie di incontri di Dante con altri poeti, che proseguiranno in tutta l’opera come occasione di riflessione e giudizio sull’attività artistica.
La questione teologica: il battesimo
Dante, moralmente tormentato dal problema della dannazione di anime innocenti e nobili ma non cristiane, espone qui il dogma sul sacramento del battesimo. Il tema verrà ripreso e chiarito in Paradiso, proprio nel cielo della giustizia divina.
Commento
Superata la fase di incoscienza, Dante si risveglia e si accorge di aver attraversato l'Acheronte, e si guarda intorno per cercare di capire dove si trova. Dante appare più attivo del solito, forse perché è appena uscito dal sonno del peccato, ma a questa scena fa da contrasto il turbamento di Virgilio che partecipa all'angoscia delle anime eternamente condannate alla sofferenza e alla privazione di Dio (questa scene rende più umana la figura di Virgilio).Ancora Virgilio protagonista: egli anticipa la domanda di Dante, quasi fosse desideroso di chiarirgli la condizione di quella schiera di dannati a cui egli stesso appartiene. Essi non sono peccatori, anzi possono aver avuto meriti in vita; la loro unica colpa è quella di non aver conosciuto la vera fede, essere morti senza battesimo o, nel caso di quelli vissuti prima di Cristo, non aver creduto nel vero Dio.
Ora essi sono condannati a desiderare Dio, senza alcuna speranza di poterlo raggiungere. Le parole di Virgilio sono un misto tra la consapevolezza della propria innocenza e rassegnazione al proprio destino.
La lezione è amara anche per Dante perché pure gli uomini di elevate qualità intellettuali e morali non possono con le loro forze raggiungere la verità e la felicità. È la fede l'unico modo per salvarsi.
Dante vede in lontananza genti degne di onore i cui loro gesti e le loro parole sono un esempio di gentilezza e rispetto e sono in grado di esaltare i valori più elevati come l'onore, la fama e la poesia, ovvero i valori che hanno contraddistinto il mondo classico e che sono più cari a Dante sente; essi non sono in contrasto con i valori cristiani, anzi Dio stesso mostra di pregiarli (grazia acquista in ciel che sì li avanza).
Dopo l'intenso parlare dei sei poeti spariscono la confusione dei sensi e l'angoscia del cuore che erano subentrati mettendo piede nel mondo dei dannati.
L'ultima parte del canto contiene una rassegna di grandi personaggi dell'epopea troiana e romana e dei massimi esponenti del pensiero filosofico e scientifico antico e comunque non cristiano.
Sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta = similitudine (vv. 1-2). Sta a significare "così che io mi scossi come qualcuno che si sveglia di soprassalto"
Allitterazione della r = "ascoltare, sospiri, aura, etterna, tremare, martiri, turbe, eran, viri" (vv. 25-30).
Un possente = perifrasi (v. 53). Si riferisce a Gesù Cristo che è sceso negli Inferi.
Di spiriti spessi = metafora (v. 66). Inteso come fitta folla di spiriti e non come spiriti più grandi in larghezza.
A noi venire = anastrofe (v. 83). L'ordine più corretto sarebbe dovuto essere "venire a noi".
Che vien dinanzi ai tre sì come sire = similitudine (v. 87). Significa che precede gli altri come il loro signore
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano = chiasmo (v. 90). Nel caso in questione Ovidio e Lucano sono nomi di due poeti, mentre tero e ultimo sono aggettivi numerali.
Quel segnor de l’altissimo canto = perifrasi (v. 95). Si riferisce a Omero, maestro della poesia che scrisse altissimi versi.
Che sovra li altri com’aquila vola = similitudine (v. 96). Sta a significare che Omero scrive altissimi versi, così alti che gli permettono di volare sopra gli altri come un'aquila.
E più d’onore ancora assai mi fenno = anastrofe (v. 100). Sta a significare "e mi resero (fenno) un onore ancora maggiore".
Questo passammo come terra dura = similitudine (v. 109). Significa "lo oltrepassammo come se fosse terra asciutta".
Il verde smalto = metonimia (v. 118). S'intende il prato verde sopra il castello.
Democrito, che ‘l mondo a caso pone, Diogenes, Anassagora e Tale, Empedocles, Eraclito e Zenone = enumerazione (vv. 136-138).
L'ultima parte del canto contiene una rassegna di grandi personaggi dell'epopea troiana e romana e dei massimi esponenti del pensiero filosofico e scientifico antico e comunque non cristiano.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quarto canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 4 dell'Inferno.Sì ch’io mi riscossi come persona ch’è per forza desta = similitudine (vv. 1-2). Sta a significare "così che io mi scossi come qualcuno che si sveglia di soprassalto"
Allitterazione della r = "ascoltare, sospiri, aura, etterna, tremare, martiri, turbe, eran, viri" (vv. 25-30).
Un possente = perifrasi (v. 53). Si riferisce a Gesù Cristo che è sceso negli Inferi.
Di spiriti spessi = metafora (v. 66). Inteso come fitta folla di spiriti e non come spiriti più grandi in larghezza.
A noi venire = anastrofe (v. 83). L'ordine più corretto sarebbe dovuto essere "venire a noi".
Che vien dinanzi ai tre sì come sire = similitudine (v. 87). Significa che precede gli altri come il loro signore
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano = chiasmo (v. 90). Nel caso in questione Ovidio e Lucano sono nomi di due poeti, mentre tero e ultimo sono aggettivi numerali.
Quel segnor de l’altissimo canto = perifrasi (v. 95). Si riferisce a Omero, maestro della poesia che scrisse altissimi versi.
Che sovra li altri com’aquila vola = similitudine (v. 96). Sta a significare che Omero scrive altissimi versi, così alti che gli permettono di volare sopra gli altri come un'aquila.
E più d’onore ancora assai mi fenno = anastrofe (v. 100). Sta a significare "e mi resero (fenno) un onore ancora maggiore".
Questo passammo come terra dura = similitudine (v. 109). Significa "lo oltrepassammo come se fosse terra asciutta".
Il verde smalto = metonimia (v. 118). S'intende il prato verde sopra il castello.
Democrito, che ‘l mondo a caso pone, Diogenes, Anassagora e Tale, Empedocles, Eraclito e Zenone = enumerazione (vv. 136-138).