L'incontro con Ser Brunetto, illustrazione di Gustave Doré |
In questo canto sono puniti i violenti contro Dio (tra cui i sodomiti) e Dante ha modo di incontrare il suo maestro Brunetto Latini e ascoltarlo... ma non comprende bene la profezia del suo esilio.
Analisi del canto
Il canto di Brunetto LatiniIl protagonista di questo canto è Brunetto Latini, che fu scrittore, politico di Firenze, notaio di parte Guelfa, ed ebbe ebbe fra i suoi allievi il giovane Dante. La sua figura è importante all'interno dell'opera perché ha un duplice scopo: illustrare la condizione dei sodomiti e pronunciare la drammatica profezia sul destino di Dante. Nel corso del canto tutto lo spazio sarà occupato dal dialogo fra Brunetto Latini e Dante, ovvero fra maestro e allievo, che tende a far dimenticare al lettore che anche l'altro maestro, Virgilio, fosse presente nella scena.
Dal dialogo tra i due si può dedurre che Brunetto Latini è anche più di un maestro per Dante, è quasi come una figura paterna:
- i due oltre alla reciproca stima usano delle espressioni che dimostrano affetto, elogio e conforto;
- Brunetto è felicemente meravigliato di rivedere Dante;
- Dante non accenna al peccato del suo maestro e anzi sembra stupito di trovarlo nell'Inferno.
- uso di un linguaggio colloquiale caratterizzato da similitudini (vv. 4-12, 17-21, 43-45, 122-124), modi di dire (v. 99) e locuzioni proverbiali (vv. 65-66 e 95-96).
La profezia di ser Brunetto
A Dante era già stato profetizzato il suo destino attraverso i precedenti incontri con i personaggi di Ciacco e di Farinata, ma la profezia di Brunetto è più dettagliata, anche se per il Poeta rimane dal significato oscuro e convinto del fatto che se la farà spiegare meglio da Beatrice quando la raggiungerà. Sarà la profezia di Cacciaguida (Paradiso Canto XVII) quella definitiva riguardo l'esilio di Dante. Attraverso la profezia di Brunetto veniamo a sapere che gli abitanti di Firenze adotteranno un comportamento poco riconoscente nei confronti di Dante perché sopraffatti dall'invidia (vv. 61-64), pur senza svelare l’imminente esilio, ma l'aspetto positivo è che avrà gloria letteraria, fonte di immortalità e di sicura invidia da parte dei suoi nemici (vv. 7072).
A Dante era già stato profetizzato il suo destino attraverso i precedenti incontri con i personaggi di Ciacco e di Farinata, ma la profezia di Brunetto è più dettagliata, anche se per il Poeta rimane dal significato oscuro e convinto del fatto che se la farà spiegare meglio da Beatrice quando la raggiungerà. Sarà la profezia di Cacciaguida (Paradiso Canto XVII) quella definitiva riguardo l'esilio di Dante. Attraverso la profezia di Brunetto veniamo a sapere che gli abitanti di Firenze adotteranno un comportamento poco riconoscente nei confronti di Dante perché sopraffatti dall'invidia (vv. 61-64), pur senza svelare l’imminente esilio, ma l'aspetto positivo è che avrà gloria letteraria, fonte di immortalità e di sicura invidia da parte dei suoi nemici (vv. 7072).
Brunetto Latini passa dalla profezia alle accuse lanciando una dura invettiva contro gli abitanti di Firenze attraverso l'uso di espressioni e similitudini per definirli avari, invidiosi e superbi.
Commento
Cenere e lapilli piovono dal cielo: la punizione che Dio gettò sulla biblica Sodoma è la stessa che colpisce i dannati del canto XV, intellettuali ed ecclesiastici, macchiati del peccato di sodomia. Il canto nasce sull'imbarazzo di un incontro inaspettato, ma si sviluppa sul tema del rapporto maestro-discepolo e dell'importanza della cultura, per concludersi con la profezia dell'esilio di Dante e con l'invettiva contro Firenze. Che nel girone dei sodomiti ci fosse il suo dotto maestro, Brunetto Latini, Dante non se l'aspettava davvero, così come Brunetto non avrebbe mai voluto rivelare al suo illustre discepolo un vizio, da lui stesso condannato nelle sue opere: il Tresor e il Tesoretto. Ma il viaggio di Dante è talmente necessario per l'umanità intera che non può essere sottaciuta nessuna colpa. È così che il padre-maestro del poeta, colui che gli ha insegnato come l'uom s'etterna, è messo a nudo nella sua miseria di peccatore: tanto grande nella sua dignità di letterato e politico, quanto ripugnante nel suo vizio. Il canto alterna momenti di alto valore umano e civile ad altri nei quali ser Brunetto è colto nella sventurata dimensione di dannato: ad esempio quando, all'inizio, il suo volto appare cotto o, alla fine, nel momento in cui corre per raggiungere la schiera dei sodomiti cui appartiene. In questi due casi si evidenzia anche il sistema di valori umano-religiosi che Dante possiede: davanti a Dio non ci sono né potenti né grandi intellettuali, ma soltanto uomini, liberi di sbagliare o di meritare il conforto eterno.Il canto contiene alcuni nuclei tematici molto alti, che ruotano intorno alla figura del docente che, da maestro di retorica, si fa maestro di vita. Ser Brunetto ha mostrato a Dante il valore immortale e la funzione eternatrice delle Lettere e, avendo intuito l'ingegno del suo discepolo, gli anticipa che, al di là della cattiveria invidiosa dei suoi concittadini, la sorte gli riserva una meritata fortuna. Egli è il politico impegnato che offre indicazioni di vita e un modello di riferimento culturale per le nuove generazioni. Quanto al peccato di sodomia, il XV canto riecheggia indirettamente i versetti biblici della Genesi sulla creazione dell'uomo e della donna, dove è detto che Dio li creò maschio e femmina e disse loro: «siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela... Perciò l'uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne». Brunetto Latini aveva perduto il significato profondo di una sessualità che includa la procreazione e si realizzi nell'amore eterosessuale. Occupato totalmente nella costruzione di un mondo laico, legato a un'affettività che prescinde dalla donna, Brunetto ha tagliato nello stesso tempo i ponti con la trascendenza. Ciononostante, in virtù del suo impegno politico-morale, resta per Dante il suo maestro, colui che gli ha insegnato la via per conseguire l'eternità tra gli uomini tramite le proprie opere. Il poeta-discepolo, tuttavia, è andato oltre e, proprio grazie all'amore per una donna (Beatrice), ha scoperto che esiste uno spazio infinito che supera il contingente e si apre a Dio.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del quindicesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 15 dell'Inferno.
D’anime una schiera = anastrofe (v. 16). Sta a significare "una schiera d'anime".
Ciascuna ci riguardava come suol da sera guardare uno altro sotto nuova luna = similitudine (vv. 17-19). Sta a significare "ognuna di esse ci guardava come si osserva qualcuno in una sera di novilunio".
E sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna = similitudine (vv. 20-21). Sta a significare "e strizzavano gli occhi verso di noi come fa il vecchio sarto per infilare l'ago nella cruna".
I’ non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’uom che reverente vada = similitudine (vv. 43-45). Sta a significare "Io non osavo scendere dall'argine per andare insieme a lui; ma tenevo il capo chino, come un uomo che cammina riverente".
A ca = apocope (v. 54). Sta a significare "a casa".
Ti si farà, per tuo ben far, nimico = iperbato (v. 64). Sta a significare "diventerà tuo nemico per le tue buone azioni".
Umana natura = anastrofe (v. 81). Sta a significare "natura umana" o "vita umana".
Giri Fortuna la sua rota = anastrofe (v. 95). Sta a significare "la fortuna giri pure la sua ruota".
D’un peccato medesmo al mondo lerci = anastrofe (v. 108). Sta a significare "lercia dello stesso peccato".
Servo de’ servi = perifrasi (v. 112). Per indicare Bonifacio VIII.
Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde = similitudine (vv. 121-124). Sta a significare "Poi si voltò e sembrò come uno di quelli che corrono il palio a Verona per il drappo verde, nella campagna; e tra questi figurò come il vincitore, non il perdente.".
Enjambements = vv. 23-24; 32-33; 37-38; 44-45; 80-81; 101-102.