La bolgia dei simoniaci, illustrazione di Gustave Doré |
Il canto in cui sono puniti i simoniaci (coloro che facevano mercato con le cose sacre). Qui Dante incontra papa Niccolò III che gli predice la futura dannazione di Bonifacio VIII e Clemente V; in seguito Dante esplode in una violenta invettiva contro papa Niccolò e tutti i papi dediti alla simonia (simbolo della corruzione ecclesiastica).
Analisi del canto
Il canto dei papi simoniaciÈ un canto completo perché ciò che avviene in questo canto si conclude in questo canto: inizia con Dante sostenuto da Virgilio che scende nella terza bolgia dove sono condannati i simoniaci e alla fine del canto preso in braccio dal suo maestro risale verso la bolgia successiva.
Questo è tutto ciò che avviene nel canto:
- Dante rivolge parole dure a Simon mago e osserva dal punto più alto della bolgia quanta è la giustizia divina che si manifesta nel mondo. (vv. 112);
- la descrizione dei simoniaci, e la discesa nella bolgia (vv. 13-45);
- l'animato incontro con Niccolò III (vv. 46-87);
- invettiva di Dante contro la corruzione del papato (vv. 88-123);
- approvazione di Virgilio per l'invettiva di Dante e risalita verso la bolgia successiva (vv. 124-133).
Simon mago
Simon mago è un personaggio degli Atti degli apostoli, e di lui si narra che volesse comprare con il denaro la facoltà di comunicare con lo Spirito Santo, ma Pietro e Giovanni lo rimproverarono.
Il termine "simoniaco" deriva dal suo nome e appartengono a questo gruppo tutti coloro che vendono o comprano beni spirituali, cariche ecclesiastiche, indulgenze ecc.
Lo stile
Quando Dante incontra papa Niccolò III, quest'ultimo non potendolo vedere, crede che chi ha di fronte sia Bonifacio VIII (vv. 44-66). Questo stratagemma dell'equivoco viene usato da Dante per vivacizzare la narrazione e, nel caso ci fossero dei dubbi, per confermare che l'odiato papa Bonifacio VIII non ha possibilità di salvezza e che è destinato all'Inferno (si tratta di una dura condanna per un personaggio che in quel momento era ancora in vita).
Nel formulare l'invettiva scagliata contro i papi simoniaci, Dante fa uso di un linguaggio ricco di retorica, come: domande retoriche (vv. 90-92; 113-114), richiami biblici (vv. 106-112); versi con punti esclamativi (vv. 115-117).
La polemica antiecclesiastica
In questo canto Dante dà completo sfogo alla critica nei confronti della Chiesa. A rappresentare il peccato di simonia, cioè la volontà di comprare o vendere un bene spirituale in cambio di denaro, vi sono i papi, perché la responsabilità maggiore della Chiesa ricade proprio su di loro. Il papa che incontra è Niccolò III, con l'espediente dell'equivoco nomina anche Bonifacio VIII (nemico personale di Dante) e infine Clemente V (il papa che spostò la sede pontificia da Roma ad Avignone).
Dante allora, con la coscienza di chi mai si è macchiato di tali colpe, si scaglia contro i papi simoniaci così violentemente da dubitare di incorrere in un giudizio di suprema temerarietà: egli, semplice cristiano, può forse osare una denuncia così radicale contro i papi? La sua audacia nasce dalla consapevolezza che, davanti a Dio, non ci sono papi o umili, ma solo uomini che hanno o non hanno rispettato il Vangelo e le norme che governano i corretti rapporti sociali. Dante fa risuonare la tromba apocalittica che divide i giusti dai colpevoli e la colpevolezza qui suona tanto più chiara e definitiva quanto più alta è stata la responsabilità morale e religiosa che i dannati hanno avuto in vita. L'istituzione tuttavia è salva e la feroce critica di Dante a coloro che la rappresentano ribadisce il bisogno di una religiosità limpida, che era già presente nei movimenti ereticali dell'epoca.
Le cose di Dio = metonimia (v. 2). L'autore per l'opera, cioè al posto di dire "le cose sante".
Che ne la terza bolgia state = anastrofe (v. 6). Sta a significare "che state nella terza bolgia".
A la seguente tomba = anastrofe (v. 7). Sta a significare "nella bolgia successiva".
De lo scoglio = sineddoche (v. 8). La parte per il tutto, s'intende il "ponte roccioso".
O somma sapienza = apostrofe (v. 10).
Piena la pietra livida di fóri = anastrofe (v. 14). Sta a significare "la roccia scura piena di buchi".
D’un largo tutti = anastrofe (v. 15). Sta a significare "tutti della stessa larghezza".
Li piedi e de le gambe infino al grosso = climax ascendente (vv. 23-24). Sta a significare "i piedi, le gambe e le cosce".
Ritorte e strambe = endiadi (v. 27). Sta a significare "attorte e intrecciate".
Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte = similitudine (vv. 28-30). Sta a significare "Come la fiamma che brucia le cose unte è solita lambire solo la superficie esterna, tale era il fiammeggiare sui piedi dei dannati, dai calcagni alle punte".
Tu se’ segnore, e sai = allitterazione della "s".
Anima trista come pal commessa = similitudine (v. 47). Sta a significare "anima triste conficcata come un palo".
Io stava come ’l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, richiama lui, per che la morte cessa = similitudine (vv. 49-51). Sta a significare "Io ero nella posizione del frate che confessa il perfido assassino, il quale, dopo essere stato messo nella buca a testa in giù, lo chiama per evitare la morte".
La bella donna = perifrasi (v. 57. Per indicare la chiesa.
Tal mi fec’io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch’è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno = similitudine (vv. 58-60). Sta a significare "Io divenni allora come quelli che non capiscono cosa è stato loro risposto, quasi interdetti, per cui non sanno cosa ribattere".
Non son colui, non son colui = anadiplosi (v. 62).
Se di saper = ellissi (v. 67). Sta a significare "se ti preme sapere, se ti interessa sapere".
Qui me misi in borsa = metafora (v. 72). Sta a significare "Qui ho messo in borsa me stesso".
E come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge = similitudine (vv. 86-87). Sta a significare "come il suo re fu accondiscendente con lui, così sarà verso il papa il re di Francia".
In prima da san Pietro ch’ei ponesse le chiavi = anastrofe (vv. 91-92). Sta a significare "a San Pietro prima di affidargli le chiavi".
Al loco che perdé = anastrofe (v. 96). Sta a significare "per prendere il posto".
L'anima ria = perifrasi (v. 96). Per indicare l'anima malvagia, Giuda.
Delle somme chiavi = perifrasi (v. 101). Per indicare la Chiesa.
Colei che siede sopra l’acque = perifrasi (v. 107). Per indicare la Chiesa.
Al suo marito = perifrasi (v. 111). S'intende il marito della Chiesa, ovvero il papa.
Fatto v’avete = anastrofe (v. 112). Sta a significare "vi siete fatti, vi siete fabbricati".
Il primo ricco patre = perifrasi (v. 117). S'intende papa Silvestro.
La polemica antiecclesiastica
In questo canto Dante dà completo sfogo alla critica nei confronti della Chiesa. A rappresentare il peccato di simonia, cioè la volontà di comprare o vendere un bene spirituale in cambio di denaro, vi sono i papi, perché la responsabilità maggiore della Chiesa ricade proprio su di loro. Il papa che incontra è Niccolò III, con l'espediente dell'equivoco nomina anche Bonifacio VIII (nemico personale di Dante) e infine Clemente V (il papa che spostò la sede pontificia da Roma ad Avignone).
All'origine di questi conflitti comunque c'è la donazione dell'antico imperatore romano Costantino (convertito al Cristianesimo), il quale avrebbe concesso "in buona fede" la città di Roma a Papa Silvestro I, inconsapevole che questo dono sarebbe stato causa di tanti mali.
Commento
Una distesa di fori da cui fuoriescono le gambe e i piedi dei peccatori, lambiti da fiamme ardenti: ecco lo scenario della terza bolgia infernale che raccoglie i simoniaci. Questi dannati fecero commercio di cose sacre, stravolgendo completamente il compito loro affidato. La colpa è terribile e tanto odiosa che Dante, decisamente disgustato nel presentarla, adotta un linguaggio sarcastico, quasi da produrre un effetto comico. La Commedia non fa quasi mai ridere, perché affronta tematiche di alto valore esistenziale, ma qui, nella figura di un papa simoniaco conficcato a testa in giù, coi piedi che bruciano e che si storcono a esprimere sofferenza e disappunto, c'è il divertimento del cristiano "giusto" e dell'uomo onesto di fronte a una rappresentazione grottesca. Dante in questo canto non è sfiorato dalla compassione, perché la colpa dei simoniaci non ha radici in qualche sentimento di apprezzabile spessore umano, ma nella meschinità di un cuore avido, spregiatore degli uomini e di Dio. Così Dante si diverte e comunica ai lettori questo suo gusto che culmina nelle parole di papa Niccolò III: Se' tu già costi ritto, se' tu già costi ritto, Bonifazio? È a questo punto, infatti, che viene a sapere che il suo acerrimo nemico, Bonifacio VIII, è atteso nella bolgia. Il comico nasce, come teorizza lo scrittore Luigi Pirandello, dall'avvertimento del contrario", cioè dal capovolgimento del consueto sistema di riferimento: il papa teocratico, il capo assoluto della Chiesa che impone le norme al cristiano e intanto si dà a loschi intrallazzi politico-economici, presto si troverà a testa in giù, conficcato in un pozzetto, coi piedi in fiamme, a scontare eternamente il sovvertimento del messaggio d'amore e di salvezza di Cristo. È questo rovesciamento di immagini e di situazioni che colpisce, ma l'aspetto buffo presto si trasforma in sarcasmo e in invettiva. Il culmine è raggiunto nell'anticipazione dell'arrivo di Clemente V, autore di più laida opra.Dante allora, con la coscienza di chi mai si è macchiato di tali colpe, si scaglia contro i papi simoniaci così violentemente da dubitare di incorrere in un giudizio di suprema temerarietà: egli, semplice cristiano, può forse osare una denuncia così radicale contro i papi? La sua audacia nasce dalla consapevolezza che, davanti a Dio, non ci sono papi o umili, ma solo uomini che hanno o non hanno rispettato il Vangelo e le norme che governano i corretti rapporti sociali. Dante fa risuonare la tromba apocalittica che divide i giusti dai colpevoli e la colpevolezza qui suona tanto più chiara e definitiva quanto più alta è stata la responsabilità morale e religiosa che i dannati hanno avuto in vita. L'istituzione tuttavia è salva e la feroce critica di Dante a coloro che la rappresentano ribadisce il bisogno di una religiosità limpida, che era già presente nei movimenti ereticali dell'epoca.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del diciannovesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 19 dell'Inferno.Le cose di Dio = metonimia (v. 2). L'autore per l'opera, cioè al posto di dire "le cose sante".
Che ne la terza bolgia state = anastrofe (v. 6). Sta a significare "che state nella terza bolgia".
A la seguente tomba = anastrofe (v. 7). Sta a significare "nella bolgia successiva".
De lo scoglio = sineddoche (v. 8). La parte per il tutto, s'intende il "ponte roccioso".
O somma sapienza = apostrofe (v. 10).
Piena la pietra livida di fóri = anastrofe (v. 14). Sta a significare "la roccia scura piena di buchi".
D’un largo tutti = anastrofe (v. 15). Sta a significare "tutti della stessa larghezza".
Li piedi e de le gambe infino al grosso = climax ascendente (vv. 23-24). Sta a significare "i piedi, le gambe e le cosce".
Ritorte e strambe = endiadi (v. 27). Sta a significare "attorte e intrecciate".
Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte = similitudine (vv. 28-30). Sta a significare "Come la fiamma che brucia le cose unte è solita lambire solo la superficie esterna, tale era il fiammeggiare sui piedi dei dannati, dai calcagni alle punte".
Tu se’ segnore, e sai = allitterazione della "s".
Anima trista come pal commessa = similitudine (v. 47). Sta a significare "anima triste conficcata come un palo".
Io stava come ’l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, richiama lui, per che la morte cessa = similitudine (vv. 49-51). Sta a significare "Io ero nella posizione del frate che confessa il perfido assassino, il quale, dopo essere stato messo nella buca a testa in giù, lo chiama per evitare la morte".
La bella donna = perifrasi (v. 57. Per indicare la chiesa.
Tal mi fec’io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch’è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno = similitudine (vv. 58-60). Sta a significare "Io divenni allora come quelli che non capiscono cosa è stato loro risposto, quasi interdetti, per cui non sanno cosa ribattere".
Non son colui, non son colui = anadiplosi (v. 62).
Se di saper = ellissi (v. 67). Sta a significare "se ti preme sapere, se ti interessa sapere".
Qui me misi in borsa = metafora (v. 72). Sta a significare "Qui ho messo in borsa me stesso".
E come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge = similitudine (vv. 86-87). Sta a significare "come il suo re fu accondiscendente con lui, così sarà verso il papa il re di Francia".
In prima da san Pietro ch’ei ponesse le chiavi = anastrofe (vv. 91-92). Sta a significare "a San Pietro prima di affidargli le chiavi".
Al loco che perdé = anastrofe (v. 96). Sta a significare "per prendere il posto".
L'anima ria = perifrasi (v. 96). Per indicare l'anima malvagia, Giuda.
Delle somme chiavi = perifrasi (v. 101). Per indicare la Chiesa.
Colei che siede sopra l’acque = perifrasi (v. 107). Per indicare la Chiesa.
Al suo marito = perifrasi (v. 111). S'intende il marito della Chiesa, ovvero il papa.
Fatto v’avete = anastrofe (v. 112). Sta a significare "vi siete fatti, vi siete fabbricati".
Il primo ricco patre = perifrasi (v. 117). S'intende papa Silvestro.