Dante incontra Bocca degli Abati (Canto XXXII). Illustrazione di Paul Gustave Doré. |
In questo canto Dante si trova nella prima zona di Cocito e invoca le Muse affinché lo aiutino nella descrizione di questo luogo. Nella prima zona di Cocito sono puniti i traditori dei parenti, nella seconda zona di Cocito sono puniti i traditori della patria.
Analisi del canto
Le rime aspre e chiocceCon questa espressione, nell'invocazione iniziale alle Muse (v. 1), Dante fa riferimento allo stile e al linguaggio necessari per trattare la materia bruta dell'estrema profondità infernale. È la richiesta di un'ispirazione sicuramente realistica e «comica», ma anche di una poesia dottrinale e concettuale in grado esprimere le verità del Male.
Il Cocito, luogo di tensione e odio
La zona estrema dell'Inferno è caratterizzata da un clima di odio senza pietà, che viene trasmesso anche allo stesso Dante: egli sferra un calcio in faccia a uno dei dannati, poi lo minaccia tirandolo per i capelli, infine lo maledice. Poco prima due fratelli cozzavano bestialmente l'un contro l'altro; e Bocca degli Abati, dopo aver resistito con rabbia alla violenza di Dante, si vendica su Buoso da Duera.
I personaggi
Vi sono svariati personaggi che vengono nominati nel canto in rapida successione ma si trovano tutti immobilizzati nel ghiaccio e descrive i peccatori usando espressioni animali (pecore, zebe, rana, cicogna, becchi, cagnazzi, latrati, bestial segno). Nessuno più vuole essere ricordato nel mondo poiché per un traditore significherebbe solo peggiorare ancor di più la propria reputazione.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del trentaduesimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 32 dell'Inferno.Le rime = sineddoche (v. 1). La parte per il tutto, "le rime" anziché uno "stile poetico".
Aspre e chiocce = endiadi (v. 1).
Oh sovra tutte mal creata plebe = apostrofe (v. 13). Cioè: "O anime più di tutte create al male e alla dannazione".
Non fece al corso suo sì grosso velo di verno la Danòia in Osterlicchi, né Tanai là sotto ’l freddo cielo, com’era quivi = similitudine (vv. 25-28). Cioè: "Non formarono mai durante il periodo invernale nel loro corso una così spessa crosta di ghiaccio né il Danubio in Austria (Osterlicchi) né il Don sotto il freddo cielo (di Russia), come quel lago d'Inferno".
E come a gracidar si sta la rana col muso fuor de l’acqua, quando sogna di spigolar sovente la villana; livide, insin là dove appar vergogna eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia = similitudine (vv. 31-35). Cioè: "E come la rana gracida col muso a pelo d'acqua d'estate, quando la contadina sogna di cogliere spighe in abbondanza; così le anime dolenti e livide dei dannati erano immerse nel ghiaccio fino al punto del corpo in cui la vergogna traspare (al viso)".
Mettendo i denti in nota di cicogna = similitudine (v. 36). Cioè: "battendo i denti come fanno le cicogne".
Con legno legno spranga mai non cinse forte così; ond’ei come due becchi cozzaro insieme, tanta ira li vinse = similitudine (vv. 49-51). Cioè. "Una spranga non strinse mai un pezzo di legno a un altro così saldamente; per cui essi come due montoni cozzarono l’uno contro l’altro, tale fu l’ira che li vinse".
Che bestemmiava duramente ancora = anastrofe (v. 86). Cioè: "che ancora bestemmiava duramente".
Vivo son io = anastrofe (v. 91). Cioè: "io sono vivo".
E caro esser ti puote = anastrofe (v. 91). Cioè: "e ti può essere utile".
Altri chi v’era? = anastrofe (v. 118). Cioè: "chi altri c'era?".
E come ’l pan per fame si manduca, così ’l sovran li denti a l’altro pose là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca = similitudine (vv. 127-129). Cioè: "e come si mangia il pane per fame, così quello che stava sopra addentava l'altro nel punto in cui il cervello si congiunge con il midollo spinale".
Non altrimenti Tideo si rose le tempie a Menalippo per disdegno, che quei faceva il teschio e l’altre cose = similitudine (vv. 129-132). Cioè: "Tideo non morse in modo diverso le tempie a Menalippo per odio, rispetto a quanto faceva quel dannato con il cranio e tutto il resto".
Se quella con ch’io parlo non si secca = metafora (v. 139). Cioè: "purché la lingua con cui parlo non mi caschi".