Catone, illustrazione di Gustave Doré |
In questa canto Dante e Virgilio, dopo essere usciti dall'Inferno, si trovano sulla spiaggia del Purgatorio. Qui incontrano Catone, e Virgilio gli spiega l'importanza del viaggio del suo discepolo e questi gli ordina a sua volta di cingere Dante con il giunco.
Analisi del canto
La struttura del cantoIl canto si apre con il tradizionale proemio che il poeta usa per descrivere l'argomento della cantica: descrizione dell'aldilà a cui non poteva mancare l'invocazione alle Muse, l'incontro con Catone e il rito di purificazione di Dante.
La struttura del Purgatorio si contrappone a quella dell'Inferno: il Purgatorio presenta un cielo stellato e luminoso mentre l'Inferno è buio e privo di stelle; nel Purgatorio vi è la figura di Catone che si materializza nel raggio di luce che si contrappone a Caronte, il traghettatore infernale; nell'Inferno usa l'espressione "mar sì crudele" (del peccato), nel purgatorio "miglior acque" (della salvezza).
Il canto è caratterizzato dalla presenza di numerosi elementi allegorici, essi sono:
Il canto di Catone
Catone è il protagonista del canto ed ha il ruolo di guardiano del Purgatori. Nonostante fosse pagano e morto suicida non appartiene al Regno infernale bensì a quello della salvezza eterna. Questo perché è morto per difendere a ogni costo un'ideale di libertà, quindi per un motivo di alto valore, ragion per cui la sua anima è salva e può rappresentare questo ideale nel Purgatorio. Egli ha i segni caratteristici fisici e morali del magnanimo, come li avevano gli spiriti magni del Limbo, e proprio come loro è deceduto prima della nascita di Cristo. Dante mostra ammirazione per i valori morali praticati da "uomini grandi" ed è convinto che questo conferisce una "perfezione naturale", ed è un percorso necessario per raggiungere la "perfezione spirituale" per mezzo della Grazia divina, come similmente descritto nel canto XX del Paradiso per altre nobili anime pagane.
Il peggio è passato...
L'uscita di Dante dall'inferno è caratterizzata dalla visione del cielo stellato descritto negli ultimi versi dell'Inferno (canto XXXIV): ritornar nel chiaro mondo (v. 134), salimmo su (v. 136), le cose belle / che porta 'l ciel (vv. 137138), uscimmo a riveder le stelle (v. 139).
- la metafora del viaggio per mare, a indicare il cammino di Dante attraverso il Purgatorio (vv. 1-6);
- la visione di Venere splendente in cielo, simbolo delle virtù che incitano ad amare le cose alte e pure (vv. 19-21);
- le quattro stelle simbolo delle virtù cardinali, virtù che l'umanità peccatrice ha perso (vv. 22-27);
- l'incontro con Catone, simbolo della libertà (vv. 30 e successivi);
- il rito di purificazione di Dante con il giunco, simbolo di umiltà (vv 94-136).
Il canto di Catone
Catone è il protagonista del canto ed ha il ruolo di guardiano del Purgatori. Nonostante fosse pagano e morto suicida non appartiene al Regno infernale bensì a quello della salvezza eterna. Questo perché è morto per difendere a ogni costo un'ideale di libertà, quindi per un motivo di alto valore, ragion per cui la sua anima è salva e può rappresentare questo ideale nel Purgatorio. Egli ha i segni caratteristici fisici e morali del magnanimo, come li avevano gli spiriti magni del Limbo, e proprio come loro è deceduto prima della nascita di Cristo. Dante mostra ammirazione per i valori morali praticati da "uomini grandi" ed è convinto che questo conferisce una "perfezione naturale", ed è un percorso necessario per raggiungere la "perfezione spirituale" per mezzo della Grazia divina, come similmente descritto nel canto XX del Paradiso per altre nobili anime pagane.
Inizialmente Catone è sdegnato alla vista di Dante e Virgilio perché pensa che siano arrivati nella spiaggia del Purgatorio in modo innaturale. Virgilio come già fatto parecchie volte nell'Inferno spiega la natura del viaggio di Dante che avviene per volontà divina e prova a far emozionare Catone per farsi ammettere nel Purgatorio parlandole della moglie Marzia. Catone spiega che gli affetti terreni (come la moglie Marzia) non influenzano la vita oltremondana, e intrepreta questo tentativo di Virgilio come una lusinga e la respinge infastidito.
Infine Catone gli lascia attraversare il Purgatorio perché questa è la volontà divina dandogli anche le giuste indicazioni per procedere e in seguito invita Virgilio a lavare il viso di Dante (rito di purificazione) prima di incontrare l'angelo che presiede la porta del Purgatorio, nonché a cingergli i fianchi con un un giunco liscio, simbolo di umiltà, e poi sparisce misteriosamente allo stesso modo come era apparso.
Il peggio è passato...
L'uscita di Dante dall'inferno è caratterizzata dalla visione del cielo stellato descritto negli ultimi versi dell'Inferno (canto XXXIV): ritornar nel chiaro mondo (v. 134), salimmo su (v. 136), le cose belle / che porta 'l ciel (vv. 137138), uscimmo a riveder le stelle (v. 139).
Il Purgatorio viene descritto positivamente attraverso le espressioni:
il dolce color d'orienta/ zaffiro (v. 13), il sereno aspetto del cielo (v. 14), il bel pianeto che faceva tutto rider l'oriente (vv. 19-20), e tutte le stelle dell'altro emisfero (vv. 22-24).
L'inizio del canto possiede la gioiosa energia della rinascita. Il lettore è indotto a trarre un respiro di sollievo: dopo tanta angoscia l'animo si apre a nuove realtà più rasserenanti. La natura, in armonia con questa rinnovata speranza, si tinge di colori pastello e l'uscita dall'incubo dell'Inferno diviene una riappacificazione con se stessi e con il mondo. Quanto doveva essere bello il mondo prima del peccato originale! Le stelle luminose che gli uomini non riescono più a vedere hanno l'intensità di una luce primordiale e fanno ritrovare all'uomo virtù ormai scomparse, cioè la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Le quattro virtù cardinali furono un tempo in dote all'umanità, quand'essa viveva nella grazia. Catone Uticense fu uomo di quel mondo, nel senso che ritrovò in sé ciò che allora, nell'Eden, era naturalezza e spontaneità di agire e pensare. Lo recuperò in un momento fatidico per la repubblica romana e tragico per se stesso. Per Dante, Catone è il simbolo di una libertà ritrovata, di una conquista interiore che si realizza però, paradossalmente, col suicidio. Dante, che ha condannato il suicidio (cfr. Pier della Vigna, Inferno canto XIII) secondo l'ortodossia cristiana, sembra a questo punto dimenticarsene e fa l'esaltazione morale di Catone. A ben vedere, Dante, riprende l'immagine di Catone che gli pervenuta dagli Auctores, Cicerone e Seneca, i quali esaltarono la figura di questo fiero repubblicano che preferì morire con la sua repubblica piuttosto che sopravviverle. Al poeta ciò sembra il massimo della libertà interiore, se per libertà si intende la consapevole affermazione, alta e sovrana, della dignità dello spirito umano. Così Dante pone Catone a guardia del regno della libertà, là dove lentamente lo spirito impara a ritrovare la sua intima natura, quell'Eden travolto dalla colpa, attraverso la scelta del bene. Questo fece Catone, anche se utilizzò un gesto estremo, il suicidio, che il cristiano condanna. Ma Catone non aveva conosciuto Cristo, non sapeva di un uomo giusto che ingiustamente aveva patito l'agonia e l'angoscia della morte, recuperando a se stessa l'umanità col suo sangue. Così Gesù, quando discese agli Inferi, prese l'anima di Catone e la pose a guardia del Purgatorio: aveva trovato in lui, nel pagano dignitoso e irreprensibile, quei tratti di estrema libertà che connotano l'uomo quando nega il male nelle sue diverse forme. "Amai Marzia, ma ora tra me e lei corre il solco invalicabile dell'abisso infernale" — afferma Catone. Anche l'amore sottostà alla regola della libertà, nel cui regno trova la sua massima esplicazione. Dante comincia ora a decifrare il senso del suo viaggio: anch'egli ha scoperto che l'uomo può e deve conoscere il male per guardarlo con l'occhio disincantato di chi acquisisce l'autonomia interiore. Le lacrime di Dante sanciscono la fine di un incubo e l'aprirsi della sua anima a nuove esperienze interiori, mentre la sua vita, cinta dal semplice giunco, suggerisce che libertà e semplicità concorrono in egual misura alla consapevolezza del proprio io.
Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele = metafora (vv. 1-3). Cioè: "La navicella del mio ingegno, che lascia dietro di sé un mare così crudele, ormai, alza le vele per percorrere acque più tranquille".
Di quel secondo regno = perifrasi (v. 4). Per indicare il Purgatorio.
L’umano spirito = anastrofe (v. 5). Cioè: "l'anima umana".
O sante Muse = apostrofe (v. 8).
Sentiro / lo colpo = enjambement (vv. 11-12).
Dolce color = sinestesia (v. 15). Sfera sensoriale del gusto e della vista.
D’oriental zaffiro = anastrofe (v. 13). Cioè: "di zaffiro orientale".
Sereno aspetto = anastrofe (v. 14). Cioè: "aspetto sereno".
Aura morta = perifrasi (v. 17). Per indicare le tenebre infernali.
‘L petto = metonimia (v. 18). Il contenente per il contenuto, il petto anziché il cuore.
Lo bel pianeto che d’amar conforta = perifrasi (v. 19). Per indicare il pianeta Venere.
Rider l’oriente = personificazione (v. 20). Cioè: "ridere sta per risplendere".
Puosi mente / a l’altro polo = enjambement (vv. 22-23).
E vidi quattro stelle = allegoria (v. 23). Per indicare le virtù cardinali.
La prima gente = perifrasi (v. 24). Per indicare Adamo ed Eva.
Goder pareva = anastrofe (v. 25). Cioè: "sembrava godere".
Oh settentrional vedovo sito = apostrofe (v. 26). Cioè: "o emisfero boreale impoverito".
Bianco mista / portava = enjambement (vv. 34-35).
Luci sante = metonimia (v. 37). L'astratto per il concreto, le luce santi anziché le stelle.
Luci sante / fregiavan = enjambement (vv. 37-38).
Ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante = similitudine (v. 39). Cioè: "io lo vedevo come se avesse avuto il sole di fronte".
Fuggita avete = anastrofe (v. 41). Cioè: "siete fuggiti".
La pregione etterna = metafora (v. 41). Riferimento all'Inferno.
Oneste piume = personificazione (v. 42).
O che vi fu lucerna = metafora (v. 43). Cioè: "chi vi ha fatto luce".
Nera fa = anastrofe (v. 45). Cioè: "fa nera, che rende sempre oscura".
Lo duca mio = anastrofe (v. 49). Cioè: "il mio maestro".
‘l ciglio = sineddoche (v. 51). La parte per il tutto, il ciglio anziché gli occhi o la testa.
Si spieghi / di nostra = enjambement (vv. 55-56).
Non vide mai l’ultima sera = metafora (v. 58). Cioè: "non è mai morto".
Mostrata ho = anastrofe (v. 64). Cioè: "ho mostrato".
Lasciasti / la vesta = enjambement (v. 75).
La vesta = metafora (v. 75). Per indicare il corpo.
Li occhi casti / di Marzia tua = enjambement (vv. 78-79).
Li occhi casti = sineddoche (v. 78). La parte per il tutto, gli occhi anziché l'onestà morale di Marzia.
Di Marzia tua = anastrofe (v. 79). Cioè: "della tua Marzia".
Occhi miei = anastrofe (v. 85). Cioè: "miei occhi".
Ch’i’ fu’ di là = perifrasi (v. 86). Per indicare quando era in vita sulla terra.
Ricinghe / d’un giunco = enjambement (v. 94-95).
Giunco schietto = allegoria (v. 95). Cioè: "giunco per umiltà".
Primo / ministro = enjambement (vv. 98-99).
Mi levai / sanza parlare = enjambement (vv. 109-110).
Noi andavam per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada, che ‘nfino ad essa li pare ire in vano = similitudine (vv. 118-120). Cioè: "Noi andavamo lungo la pianura solitaria, come un uomo che ritrova la strada perduta e che, finché non la raggiunge, ha creduto di camminare invano".
La rugiada / pugna = enjambement (vv. 121-122).
Oh maraviglia! = esclamazione (v. 134).
Si rinacque / subitamente = enjambement (vv. 135-136).
Commento
Sulla via della libertàL'inizio del canto possiede la gioiosa energia della rinascita. Il lettore è indotto a trarre un respiro di sollievo: dopo tanta angoscia l'animo si apre a nuove realtà più rasserenanti. La natura, in armonia con questa rinnovata speranza, si tinge di colori pastello e l'uscita dall'incubo dell'Inferno diviene una riappacificazione con se stessi e con il mondo. Quanto doveva essere bello il mondo prima del peccato originale! Le stelle luminose che gli uomini non riescono più a vedere hanno l'intensità di una luce primordiale e fanno ritrovare all'uomo virtù ormai scomparse, cioè la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Le quattro virtù cardinali furono un tempo in dote all'umanità, quand'essa viveva nella grazia. Catone Uticense fu uomo di quel mondo, nel senso che ritrovò in sé ciò che allora, nell'Eden, era naturalezza e spontaneità di agire e pensare. Lo recuperò in un momento fatidico per la repubblica romana e tragico per se stesso. Per Dante, Catone è il simbolo di una libertà ritrovata, di una conquista interiore che si realizza però, paradossalmente, col suicidio. Dante, che ha condannato il suicidio (cfr. Pier della Vigna, Inferno canto XIII) secondo l'ortodossia cristiana, sembra a questo punto dimenticarsene e fa l'esaltazione morale di Catone. A ben vedere, Dante, riprende l'immagine di Catone che gli pervenuta dagli Auctores, Cicerone e Seneca, i quali esaltarono la figura di questo fiero repubblicano che preferì morire con la sua repubblica piuttosto che sopravviverle. Al poeta ciò sembra il massimo della libertà interiore, se per libertà si intende la consapevole affermazione, alta e sovrana, della dignità dello spirito umano. Così Dante pone Catone a guardia del regno della libertà, là dove lentamente lo spirito impara a ritrovare la sua intima natura, quell'Eden travolto dalla colpa, attraverso la scelta del bene. Questo fece Catone, anche se utilizzò un gesto estremo, il suicidio, che il cristiano condanna. Ma Catone non aveva conosciuto Cristo, non sapeva di un uomo giusto che ingiustamente aveva patito l'agonia e l'angoscia della morte, recuperando a se stessa l'umanità col suo sangue. Così Gesù, quando discese agli Inferi, prese l'anima di Catone e la pose a guardia del Purgatorio: aveva trovato in lui, nel pagano dignitoso e irreprensibile, quei tratti di estrema libertà che connotano l'uomo quando nega il male nelle sue diverse forme. "Amai Marzia, ma ora tra me e lei corre il solco invalicabile dell'abisso infernale" — afferma Catone. Anche l'amore sottostà alla regola della libertà, nel cui regno trova la sua massima esplicazione. Dante comincia ora a decifrare il senso del suo viaggio: anch'egli ha scoperto che l'uomo può e deve conoscere il male per guardarlo con l'occhio disincantato di chi acquisisce l'autonomia interiore. Le lacrime di Dante sanciscono la fine di un incubo e l'aprirsi della sua anima a nuove esperienze interiori, mentre la sua vita, cinta dal semplice giunco, suggerisce che libertà e semplicità concorrono in egual misura alla consapevolezza del proprio io.
Le figure retoriche
Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del primo canto del Purgatorio. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 1 del Purgatorio.Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele = metafora (vv. 1-3). Cioè: "La navicella del mio ingegno, che lascia dietro di sé un mare così crudele, ormai, alza le vele per percorrere acque più tranquille".
Di quel secondo regno = perifrasi (v. 4). Per indicare il Purgatorio.
L’umano spirito = anastrofe (v. 5). Cioè: "l'anima umana".
O sante Muse = apostrofe (v. 8).
Sentiro / lo colpo = enjambement (vv. 11-12).
Dolce color = sinestesia (v. 15). Sfera sensoriale del gusto e della vista.
D’oriental zaffiro = anastrofe (v. 13). Cioè: "di zaffiro orientale".
Sereno aspetto = anastrofe (v. 14). Cioè: "aspetto sereno".
Aura morta = perifrasi (v. 17). Per indicare le tenebre infernali.
‘L petto = metonimia (v. 18). Il contenente per il contenuto, il petto anziché il cuore.
Lo bel pianeto che d’amar conforta = perifrasi (v. 19). Per indicare il pianeta Venere.
Rider l’oriente = personificazione (v. 20). Cioè: "ridere sta per risplendere".
Puosi mente / a l’altro polo = enjambement (vv. 22-23).
E vidi quattro stelle = allegoria (v. 23). Per indicare le virtù cardinali.
La prima gente = perifrasi (v. 24). Per indicare Adamo ed Eva.
Goder pareva = anastrofe (v. 25). Cioè: "sembrava godere".
Oh settentrional vedovo sito = apostrofe (v. 26). Cioè: "o emisfero boreale impoverito".
Bianco mista / portava = enjambement (vv. 34-35).
Luci sante = metonimia (v. 37). L'astratto per il concreto, le luce santi anziché le stelle.
Luci sante / fregiavan = enjambement (vv. 37-38).
Ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante = similitudine (v. 39). Cioè: "io lo vedevo come se avesse avuto il sole di fronte".
Fuggita avete = anastrofe (v. 41). Cioè: "siete fuggiti".
La pregione etterna = metafora (v. 41). Riferimento all'Inferno.
Oneste piume = personificazione (v. 42).
O che vi fu lucerna = metafora (v. 43). Cioè: "chi vi ha fatto luce".
Nera fa = anastrofe (v. 45). Cioè: "fa nera, che rende sempre oscura".
Lo duca mio = anastrofe (v. 49). Cioè: "il mio maestro".
‘l ciglio = sineddoche (v. 51). La parte per il tutto, il ciglio anziché gli occhi o la testa.
Si spieghi / di nostra = enjambement (vv. 55-56).
Non vide mai l’ultima sera = metafora (v. 58). Cioè: "non è mai morto".
Mostrata ho = anastrofe (v. 64). Cioè: "ho mostrato".
Lasciasti / la vesta = enjambement (v. 75).
La vesta = metafora (v. 75). Per indicare il corpo.
Li occhi casti / di Marzia tua = enjambement (vv. 78-79).
Li occhi casti = sineddoche (v. 78). La parte per il tutto, gli occhi anziché l'onestà morale di Marzia.
Di Marzia tua = anastrofe (v. 79). Cioè: "della tua Marzia".
Occhi miei = anastrofe (v. 85). Cioè: "miei occhi".
Ch’i’ fu’ di là = perifrasi (v. 86). Per indicare quando era in vita sulla terra.
Ricinghe / d’un giunco = enjambement (v. 94-95).
Giunco schietto = allegoria (v. 95). Cioè: "giunco per umiltà".
Primo / ministro = enjambement (vv. 98-99).
Mi levai / sanza parlare = enjambement (vv. 109-110).
Noi andavam per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada, che ‘nfino ad essa li pare ire in vano = similitudine (vv. 118-120). Cioè: "Noi andavamo lungo la pianura solitaria, come un uomo che ritrova la strada perduta e che, finché non la raggiunge, ha creduto di camminare invano".
La rugiada / pugna = enjambement (vv. 121-122).
Oh maraviglia! = esclamazione (v. 134).
Si rinacque / subitamente = enjambement (vv. 135-136).