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Purgatorio Canto 2: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del secondo canto del Purgatorio (Canto II) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Arrivo della barca delle anime, Gustave Doré

In questa canto Dante e Virgilio si imbattono nell'angelo nocchiero, incaricato di raccogliere sulla sua barca le anime salve destinate al Purgatorio; incontrano le anime dei penitenti e tra questi l'amico Casella che intona una canzone in grado di attirare l'attenzione di tutte le anime e questo fa arrabbiare Catone che le rimprovera per la loro lentezza e negligenza invitandole a correre.



Analisi del canto

Il canto di Casella
Il canto inizia con una forma di natura geoastronomica in cui attraverso un discorso poetico ed elevato spiega che il tempo in cui sta accadendo quello che sta per raccontare è l'alba. Nella descrizione della cantica del Paradiso utilizzerà più spesso questa tecnica introduttiva. Il vero viaggio di Dante nel Purgatorio inizia in questo canto: il poeta si imbatte nell'imbarcazione di anime trasportata dall'Angelo nocchiero e tra esse vi trova l'amico e cantore Casella. Ed è proprio quest'ultimo il protagonista di questo canto dinamico e ricco di tematiche affettive e sentimentali, e lo si può notare in modo più evidente durante il tentativo di Dante di abbracciare invano il suo amico. Da questa spiacevole scene il poeta trova l'espediente per parlare della fisicità del Purgatorio.


La fisicità nel Purgatorio
I penitenti del Purgatorio sono stupiti nel vedere Dante in vita e lo notano dal suo respiro. Inoltre le anime mantengono il loro aspetto fisico e patiscono tutte le pene di un essere vivente come la fame, la seta, la fatica... ma si tratta di una fisicità spirituale e non carnale (diversa da quelle del mondo terreno e infernale), ragion per cui per Dante non è possibile abbracciare l'anima del suo caro amico.


I penitenti
Le anime del Purgatorio presentano caratteristiche e comportamenti schematici, cioè che si presenteranno uguali anche per le future anime che incontrerà nei canti successivi: il loro muoversi in schiera, la paura e lo stupore nel vedere Dante, la scarsa conoscenza del luogo in cui si trovano. Sono anime imperfette che raggiungeranno la beatitudine ma che in questo momento sono ancora ostacolate dai vizi terreni al punto che diventa necessario il rimprovero di Catone per rimetterle in riga.


La pena del tempo
Se l'Inferno rappresenta la dannazione eterna e il Paradiso la salvezza eterna, del Purgatorio sappiamo che è l'unico dei tre regni oltremondani che ha una fine, in quanto è un luogo di passaggio. Il tempo che le anime rimangono nel Purgatorio è quello necessario affinché possano essere purificate in modo da poter raggiungere il Paradiso.


L'angelo nocchiero
L'angelo nocchiere è una figura di straordinaria bellezza e sacralità (in quanto è il primo ministro celeste che compare nel Purgatorio e nel Poema) ed ha la funzione di traghettatore per le anime del Purgatorio, ruolo simile che aveva Caronte nell'Inferno.




Commento

Alla ricerca dei sogni perduti
L'apparizione dell'angelo nocchiero è un momento di serena certezza in un contesto di situazioni estranee all'esperienza umana. Dopo tanti demoni infernali, l'incontro con l'angelo acquista una dimensione rassicurante che si profila via via all'orizzonte di Dante, ancora turbato dall'angoscia precedente. Ormai la rugiada ha lavato il volto del poeta-pellegrino, che è pronto ad affrontare le nuove difficoltà con la coscienza di essere scampato a un tragico pericolo. La situazione di incertezza caratterizza anche le anime che giungono dalla foce del Tevere a bordo della navicella, unite però nella consapevolezza di essere uscite da una condizione di schiavitù: cantano infatti insieme In exitu Isdel de Aegypto, il salmo degli Ebrei fuggiti dalla prigionia d'Egitto, lo stesso che veniva cantato in chiesa nelle cerimonie funebri. L'anima libera dal peccato scioglie il suo canto a Dio e la coralità ravviva il senso di comunione e compartecipazione che caratterizza le anime del Purgatorio.
Il passato, tuttavia, incombe forte e drammatico; sono ancora vive nel pellegrino le immagini sconvolgenti di un mondo stravolto, le strida e gli alti guai, il frastuono di un'atmosfera cupa e sinistra. La caligine tolta dal volto è ancora presente nell'animo di Dante. Il poeta avverte la necessità di una pausa, di un momento di pace, cui si possa abbandonare lo spirito esausto. Affiorano alla memoria le immagini positive di una realtà trascorsa, i momenti di gioia, i sogni accarezzati e mai perduti. Ecco una vecchia canzone d'amore, ricca di ricordi e sensazioni: l'anima rapita si tuffa nella memoria, si abbandona al ricordo, a ciò che di piacevole ha vissuto, si rifugia nell'alvo protettivo degli affetti. Trova così la forza di affrontare, con rinnovato vigore, la nuova realtà. La regressione si realizza sulle note dolci e amiche di Casella, che intona Amor che ne la mente mi ragiona, la seconda canzone del Convivio. Per Dante e per queste anime è come ritrovare una parte di sé, recuperare il passato e farsi cullare in questo rapimento dalla dolcezza del ricordo. Tutti si lasciano trascinare dalle note di Casella, dimenticando di farsi purificare. Aspro giunge il rimprovero di Catone, di colui che ha fatto dell'intransigenza un sistema di vita. L'intermezzo musicale, tutto mondano, che ha spezzato il salmo iniziale e interrotto momentaneamente il percorso di espiazione, è stato tuttavia un incentivo per Dante che sta acquistando la forza per scalare la montagna del Purgatorio. L'intreccio tra musica sacra e musica profana crea un contrasto che si compone nella nuova realtà purgatoriale, in cui cielo e terra convivono nella dimensione pacata del naufrago scampato a un pericolo mortale. Il rimprovero di Catone suggerisce peraltro che è ormai tempo di affrontare la realtà.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del secondo canto del Purgatorio. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 2 del Purgatorio.


A l’orizzonte giunto = anastrofe (v. 1). Cioè "giunto all'orizzonte".

Più alto punto = anastrofe (v. 3). Cioè "col suo punto più alto".

Di Gange fuor = anastrofe (v. 5). Cioè: "fuori dal Gange".

Sì che le bianche e le vermiglie guance...divenivan rance = personificazione (v. 7). Il soggetto non è una persona bensì l'alba.

Come gente che pensa a suo cammino, che va col cuore e col corpo dimora = similitudine (vv. 11-12). Cioè: "come coloro che pensano al cammino che devono fare e sono pronti col desiderio, ma rimangono fermi con il corpo".

Va col cuore = metonimia (v. 12). Il concreto per l'astratto, il cuore invece che il desiderio.

Qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra ‘l suol marino, cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì ratto = similitudine (vv. 13-17). Cioè: "come sorpresa dal mattino, Marte, rosseggia sulla superficie del mare a causa dei vapori densi che lo avvolgono, così mi apparve e, possa rivederla ancora, una luce che veniva dal mare".

Che ‘l muover suo nessun volar pareggia = similitudine (v. 18). Cioè: "così rapidamente che nessun volatile può eguagliare il suo modo di muoversi".

Ebbi ritratto / l’occhio = enjambement (vv. 19-20).

Ritratto l’occhio = sineddoche(vv. 19-20). Cioè: "distolsi gli occhi", il singolare per il plurale, l'occhio invece degli occhi.

Lucente e maggior = endiadi (v. 21).

M’appario / un non sapeva = enjambement (vv. 22-23).

Omai vedrai di sì fatti officiali = perifrasi (v. 30). Per indicare i ministri, le figure autorevoli che incotreranno nel purgatorio.

Non si mutan come mortal pelo = similitudine (v. 36). Cioè: "che non si trasformano come le penne dei mortali".

Venne / l’uccel divino = enjambement (vv. 37-38).

L’uccel divino = perifrasi (v. 38). Per indicare l'angelo di Dio.

Snelletto e leggero = endiadi (v. 41).

Tal che faria beato pur descripto = iperbole (v. 44).

Selvaggia/ parea del loco = enjambement (vv. 52-53).

Selvaggia parea = anastrofe (vv. 52-53). Cioè: "sembrava inesperta".

Rimirando intorno come colui che nove cose assaggia = similitudine (vv. 53-54). Cioè: "si guardava intorno come colui che sperimenta cose nuove"

Saettava il giorno / lo sol = enjambement (vv. 55-56).

Lo sol, ch’avea con le saette conte = metafora (v. 56). Cioè: "il sole, con le sue saette infallibili".

La fronte = sineddoche (v. 58). Cioè: "la testa", la parte per il tutto.

Lo salire omai ne parrà gioco = metafora (v. 66). Cioè: "salire il monte ci sembrerà uno scherzo, un gioco".

E come a messagger che porta ulivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar nessun si mostra schivo, così al viso mio s’affisar quelle anime fortunate tutte quante, quasi obliando d’ire a farsi belle = similitudine (vv. 70-75). Cioè: "E come la gente si affolla intorno al messaggero che porta notizie di pace, e nessuno si sottrae alla calca, così quelle anime destinate alla salvezza puntarono su di me i loro sguardi, quasi dimenticando di andare a purificarsi".

Trarresi avante / per abbracciarmi = enjambement (vv. 76-77).

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto = apostrofe (v. 78). Cioè: "Oh ombre vane, tranne che nell'aspetto".

Com’io t’amai / nel mortal corpo = enjambement (vv.88-89).

L’ala = sineddoche (v. 103). Il singolare per il plurale, l'ala invece delle ali.

Alquanto / l’anima mia = enjambement (vv. 109-110).

Amor che ne la mente mi ragiona = personificazione (v. 112).

La dolcezza ancor dentro mi suona = metafora (v. 114). Cioè: "la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me".

Come a nessun toccasse altro la mente = similitudine (v. 117). Cioè: "come se a nessuno altri pensieri sfiorassero la mente".

Fissi e attenti = endiadi (v. 118).

Attenti / a le sue note = enjambement (vv. 118-119).

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio = metafora (v. 122). Cioè: "correre al monte per liberarvi del peccato".

Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, se cosa appare ond’elli abbian paura, subitamente lasciano star l’esca, perch’assaliti son da maggior cura; così vid’io quella masnada fresca lasciar lo canto = similitudine (vv. 124-131). Cioè: "Come quando i colombi, beccando biada o zizzania, radunati per il pasto, quieti e senza mostrare il consueto orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché sono assaliti da una preoccupazione maggiore; così io vidi quelle anime appena arrivate abbandonare il canto".

E fuggir ver’ la costa, com’om che va, né sa dove riesca = similitudine (vv. 131-132). Cioè: "e correre verso la montagna come qualcuno che va senza sapere dove andrà a finire".



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