Illustrazione di Gustave Doré |
Analisi del canto
Il canto prosegue in perfetta continuità con quello precedente e conclude sia l'incontro di Dante con Forese sia il passaggio attraverso la cornice dei golosi. Al centro del canto così composito si accampa uno degli episodi cruciali della Commedia: l'incontro di Dante con Bonagiunta da Lucca.Bonagiunta è un poeta, uno di quei toscani che nel tardo Duecento trapiantarono in terra di liberi comuni i modi della lirica siciliana fiorita alla corte di Federico II. Per Dante, questo incontro diventa l'occasione di esporre una volta per tutte il suo vero e proprio manifesto poetico. A dire il vero, egli lo fa esporre soprattutto a Bonagiunta: o meglio, fa sì che le sue idee sulla poesia nascano dal dialogo, e quasi dalla dialettica del suo incontro col poeta lucchese. Ma quali sono i capisaldi di questo manifesto poetico di Dante? Innanzitutto, l'idea del poeta come scriba: secondo Dante, il poeta è uno scrivano che opera sotto la diretta dettatura di Amore. Il che non significa affatto sfogare i propri sentimenti così come vengono; significa, anzi, essere capaci di analizzarli oggettivamente, mettendo su carta parole che non sono del poeta, ma di Amore stesso; cioè, che corrispondono a una teoria e a una interpretazione del sentimento amoroso. E questa idea, esposta da Dante, che provoca in Bonagiunta la famosa reazione: «Fratello mio, egli dice adesso mi rendo conto dell'impedimento che trattenne Giacomo da Lentini, Guittone d'Arezzo e me stesso, al di qua del dolce stil novo che tu mi hai così bene descritto». Nasce così in questo canto una delle più celebri definizioni della nostra storia letteraria: dolce stil novo, in cui si compendia la novità introdotta da Dante e dalla sua generazione nella poesia del loro tempo.
Dolce stil novo significa che siamo di fronte a una rivoluzione formale, stilistica (stil) e non di contenuti (tema dominante rimane l'amore); che si tratta, appunto, di un'innovazione rivoluzionaria, la quale intende rompere con la recente tradizione siciliana e toscana (novo); che il nuovo stile si caratterizza per una particolare dolcezza e musicalità (dolce), che si oppone all'eloquenza complicata e alla retorica esibita, specialmente di Guittone d'Arezzo e dei suoi imitatori. In effetti, l'incontro con Bonagiunta non è per Dante solo l'occasione di proclamare il suo manifesto poetico. È anche l'occasione per fare i conti con la propria storia di poeta e per tracciare una prima storia della nostra poesia delle origini. Per questo è importante che Bonagiunta identifichi Dante come il poeta che iniziò una nuova maniera poetica a cominciare dalla canzone della Vita nuova che s'intitola Donne ch'avete intelletto d'amore. Infatti, già nel suo libello giovanile Dante aveva visto in quella canzone l'inizio di una nuova stagione e di una nuova ispirazione poetica; adesso, guardandosi indietro a tanta distanza di tempo, egli riafferma attraverso le parole di Bonagiunta che sì, è proprio vero, è da quella canzone che sono cominciate le sue nove rime. D'altronde, queste "nuove rime" dividono in due non solo la vita di Dante come scrittore, ma anche la letteratura del suo tempo. Anche questo Dante mette in bocca a Bonagiunta: è quest'ultimo, infatti, che riconosce lo spartiacque fra lui stesso, i siciliani, i guittoniani e il dolce stil novo. Da una parte, quindi, la generazione precedente, la vecchia scuola; dall'altra i giovani, i nuovi poeti, a cui appartiene il futuro. Nel cuore del suo grande poema, dunque, Dante non rinnega affatto la sua gioventù di poeta lirico, di poeta d'amore. Anzi, egli riafferma solennemente la continuità della sua carriera e ribadisce che essa è cominciata proprio al centro del suo libretto giovanile, della Vita nuova. Allo stesso tempo egli rivendica orgogliosamente che con lui e con i suoi amici è cominciata davvero un'altra storia. E, bisogna osservare, con sottile perfidia egli affida il compito di riconoscere questo nuovo inizio, e di dargli un nome, a un rappresentante della vecchia generazione spodestata. Forse soltanto nel clima fraterno e senza invidia del Purgatorio un simile gioco delle parti poteva essere immaginato e raccontato.
Commento
Un incontro tra amiciDante e Forese camminano vicini, amici di sempre, amici ritrovati. Sono lontani i tempi della satira, della maliziosa tenzone quando si accusavano l'un con l'altro un po' per ridere, un po' per ferire. Ma Dante ha vissuto la drammatica esperienza della selva oscura e Forese ha già varcato la soglia dell'esistenza terrena. La conversazione tra amici s'interrompe per lasciare spazio a un colloquio dotto e intellettuale su un tema particolarmente caro a Dante: la poesia. Dante sembra introdurre l'argomento di sfuggita, come un discorso qualunque; in realtà l'episodio offre lo spunto per una definizione teorica del Dolce Stil Novo e per collocare la nuova poetica nell'ambito culturale del tempo. I poeti del Dolce Stil Novo qui prendono le distanze da quelli precedenti che avevano, come riferimento, Jacopo da Lentini e Guittone d'Arezzo. La prima novità su cui insiste il poeta è la materia di questo nuovo modo di poetare: essa riguarda solo ed esclusivamente l'amore. Scompaiono i temi politici e i drammi religiosi, poiché il poeta del Dolce Stil Novo va dietro all'amore come al proprio dittatore, attento a descriverne la fenomenologia. L'amore ispira il poeta e questi, dopo essersene lasciato investire, comunica al pubblico, attraverso la scrittura, i sentimenti, le sensazioni, i pensieri che prova. Ma qui si coglie un altro aspetto del Dolce Stil Novo: l'attenzione a ciò che amore ispira, la rielaborazione interiore e la significazione, cioè la trascrizione poetica del percorso emotivo vissuto. Dietro la poesia del Dolce Stil Novo c'è un'attenta cura formale, che non è meticolosità, ma volontà di rendere con verità ed efficacia il dato sentimentale. Alla base del nuovo percorso poetico sta la cultura filosofico-giuridica dello studio bolognese a cui fa riferimento Guido Guinizelli (Purgatorio, canto XXVI), il capo riconosciuto dei poeti del Dolce Stil Novo. Bonagiunta capisce e s'appaga di un'inedita spiegazione. Ma è tempo di espiare: per Dante e Forese s'avvicina il momento del congedo. Ciascuno vorrebbe rimandare, come capita, l'attimo dell'addio; il commiato però s'addolcisce all'idea di rivedersi presto. Ciò, per Dante, significa morire, ma al poeta, pessimista sulle condizioni politiche, sociali e morali di Firenze, la morte appare un consolante approdo. Alla sua mente si presentano, tra gli altri, lo spettro dell'esilio e Corso Donati, che consegna Firenze al papa e agli stranieri. Come in un sogno profetico, Forese vede Corso agonizzante, il quale, perso ormai il favore politico, sta ora consumando gli ultimi istanti di vita. Il cavallo, che lo trascina, dilania Corso, il quale giace come una cosa vile, annientato dall'odio, dall'avidità, dalla vendetta che egli stesso ha contribuito a scatenare. E quel cavallo che galoppa infuriato, personificazione forse di Satana stesso, è lì ad attestare la fine di una smisurata sete di potere, di una forza che ha inteso imporsi al di fuori di ogni regola civile e umana. Infine il sogno profetico cessa e i due amici si lasciano, mentre gli alberi, pieni di ogni ben di Dio, gridano esempi di golosità punita e l'angelo della temperanza cancella sulla fronte di Dante un'altra "P". Il pellegrino è sempre più vicino alla sospirata meta, portandosi dietro però la malinconia di un tragico oracolo.
VEDI ANCHE: Purgatorio Canto 24 - Figure retoriche