La poesia "Sereno" è stata scritta da Giuseppe Ungaretti, porta l'indicazione "Bosco di Courton, Luglio 1918" e fa parte della raccolta L'allegria.
Indice
Testo
Dopo tantanebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
Immortale.
Parafrasi
Dopo un lungo periodo di nebbiaun po' alla volta
si rivedono le stelle
Respiro la frescura
che proviene direttamente dal cielo
Mi rendo conto di essere
un individuo di passaggio
Nel ritmo immortale
Analisi del testo
Metrica: La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. I versi sono liberi.La punteggiatura è completamente assente e le parole usate utilizzano un linguaggio semplice.
Il titolo della poesia "Sereno" viene usato sia per indicare un cielo stellato privo di nubi e di nebbia (un cielo sereno), sia per indicare lo stato di assoluta tranquillità interiore, senza turbamenti o preoccupazioni (un animo sereno).
Figure retoriche
Enambements = vv. 1-2; 3-4; 5-6; 7-8; 9-10; 12-13; 14-15.Antitesi = "passeggera" e "immortale" (v.13 e v.15)
Commento
La poesia "Sereno" è stata scritta nel mese di luglio 1918, nel pieno della stagione estiva, ma soprattutto a pochi mesi dalla fine della Grande Guerra. In estate il cielo è solitamente limpido, privo di nuvole e di nebbia, che avrebbero impedito la visione del cielo stellato. Il poeta dice che le stelle appaiono una alla volta (a una una), come se stesse ripensando all'inverno, periodo nel quale ogni volta che scrutava il cielo non riusciva a scorgere nessuna stella. Man mano che i mesi trascorrevano, vedeva apparire ogni sera sempre più stelle in cielo, che hanno raggiunto il numero più alto proprio nel mese di luglio.Questo suo osservare le stelle può essere visto come un tentativo di Ungaretti di congiungersi con la natura (anche perché è cresciuto in Alessandria, un paese esotico), e approfitta della fine della guerra per respirare la frescura del cielo e riempirsi gli occhi di impressioni, di immagini e sentimenti che non provava più da molto tempo.
La guerra di trincea, quella combattuta a poche centinaia, a volte poche decine di metri di distanza, rintanati dentro camminamenti scavati per decine di chilometri, il tutto per conquistare pochi metri di terreno che poi venivano regolarmente persi, gli aveva negato tutte queste emozioni, mostrandogli ritratti di immensa crudeltà e brutalità. Ne sono testimonianza la poesia Veglia in cui si trova buttato vicino a un compagno morto sotto il bagliore della luna piena, la poesia San Martino del Carso che parla di morte e distruzione, oppure la poesia Sono una creatura che trasmette così tanta sofferenza che si sono esaurite perfino le lacrime per piangere.
Tutti questi ricordi sono i "doni" che la guerra gli ha fatto, e che lui non ha potuto rifiutare, portando con sé per sempre quello smisurato bagaglio. Ma dopo tante indicibili brutalità, in lui torna il desiderio di riscoprire la natura, di sentirsi legato ad essa. Nella guerra, l'uomo sente la presenza costante della morte, e per questo motivo si attacca disperatamente a tutto ciò che possa rappresentare vita, come la natura stessa.
Tuttavia, attraverso i versi finali, ci tiene a precisare che è consapevole della limitatezza della vita umana, che non è altro che un qualcosa di passaggio all'interno di un progetto molto più grande.