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Purgatorio Canto 17 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto diciassettesimo (canto XVII) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Le Eumenidi intorno al letto di Tereo e Progne, come illustrate da Virgil Solis.

Dopo aver assistito ad esempi di ira punita, Dante e Virgilio giungono all'uscita della terza cornice, dove l'Angelo della Pace cancella la terza P. Virgilio spiega a Dante come sia ordinato il Purgatorio.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 17 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

O lettore, se mai in montagna (l’alpe) ti sorprese
la nebbia, attraverso la quale tu vedesti non diversamente dalla talpa
attraverso la membrana che ricopre i suoi occhi,
rammentati in quale modo, non appena i vapori umidi
e densi cominciano a diradarsi, la sfera del sole debolmente
penetra attraverso di essi; e allora la tua fantasia (imagine)
potrà (fia) facilmente arrivare a percepire
come io inizialmente rividi il sole,
il quale stava ormai tramontando.
Così, uguagliando il ritmo dei miei passi con
quelli sicuri del mio maestro, uscii da tale nube alla
luce dei raggi solari, ormai spenti nella parte bassa del monte.
O fantasia, che talvolta ci assorbi (rube) tanto
che non ci avvediamo della realtà, benché intorno a
noi risuonino mille trombe, chi ti mette in moto, visto
che gli organi sensitivi non ti sollecitano?
Ti suscita una luce che prende forma dal cielo,
in maniera autonoma o per volontà divina che la indirizza verso il mondo.
Il gesto crudele di colei che si trasformò nell’uccello
che si compiace più di ogni altro di cantare,
comparve come un’impronta nella mia fantasia (primo esempio di ira punita: la leggenda di Progneche, per odio verso il marito, gli cucinò il corpo del figlio e fu trasformata in usignolo);
e la mia mente fu così concentrata (ristretta) in questa visione,
che dall’esterno non giungeva alcuna impressione
che allora potesse essere da lei ricevuta.
Poi scese dall’alto, nella mia rapita immaginazione,
la figura di un uomo crocifisso (Aman, ministro del re persiano Assuero),
che appariva sdegnoso e irato (fero)
e così atteggiato (cotal) moriva (il secondo esempio di ira punita è tratto dalla Bibbia);
intorno a lui erano il grande re Assuero, sua moglie Ester
e il giusto Mardocheo, che fu così onesto (intero) nelle parole e nelle opere.
Non appena questa immaginazione svanì (rompeo)
di per se stessa, come una bolla d’aria
alla quale venga meno la pellicola d’acqua in cui si
è formata, comparve nella mia visione una fanciulla
che piangeva disperatamente e diceva:
«O regina, perché hai voluto annientarti per un impeto d’ira?
Ti sei uccisa per non perdere Lavinia;
ora mi hai ugualmente perduta! Sono proprio io che piango,
madre, per la tua triste sorte prima che per quella di Turno (l’altrui)» (terzo esempio di ira punita, tratto dall’Eneide, dove si narra la morte della regina Amata che temette il matrimonio della figlia Lavinia con Enea).
Allo stesso modo in cui il sonno si interrompe quando di colpo
una luce improvvisa (nova) colpisce gli occhi (viso) chiusi,
e anche spezzato persiste un po’ prima di svanire completamente;
così la mia visione scomparve non appena colpì
il mio viso una luce di gran lunga superiore
a quella alla quale ci eravamo già assuefatti.
Io mi guardavo intorno per vedere dove io
fossi, quando una voce disse: «Qui si sale»,
distogliendomi da ogni altro pensiero;
e rese tanto ardente il mio desiderio
di sapere chi avesse parlato,che mai si sarebbe quietato,
se non di fronte alla cosa desiderata.
Ma come davanti al sole che abbaglia (grava)
la nostra vista e per eccesso di luce nasconde la sua figura,
così in questo caso la mia capacità visiva veniva meno.
«Questo è un angelo divino, che ci indirizza
verso l’alto senza alcuna preghiera da parte nostra,
nascondendosi nella sua stessa luce.
Egli si comporta con noi come l’uomo agisce con se stesso;
perché chi vede il bisogno altrui e attende di essere
pregato, si dispone già nell’atteggiamento maligno del rifiuto.
Ora affrettiamoci per assecondare un così
alto invito; cerchiamo di salire prima che faccia buio,
poiché dopo non si potrebbe, fino a quando non
ritorna (riede) la luce del giorno». Così disse la mia
guida; e insieme ci dirigemmo verso una scala; e
appena io giunsi al primo gradino (grado),
sentii accanto a me quasi il movimento di un’ala
e un soffio di vento sul viso e una voce che diceva:
‘Beati i pacifici, che sono senza ira cattiva!’ (è l’inizio di una delle beatitudini evangeliche).
Già gli ultimi raggi del sole, ai quali poi segue
la notte, si erano sollevati tanto al di sopra di noi, che
da vari punti del cielo apparivano le stelle.
‘O vigore (virtù) mio, perché ti dilegui così?’, dicevo tra me
e me, poiché mi accorgevo che la forza delle mie
gambe era temporaneamente sospesa.
Noi ci trovavamo alla fine (dove più non saliva) della scala,
ed eravamo fermi (affissi), proprio
come una nave che è arrivata alla riva.
E io un poco prestai attenzione, se mai
udissi qualche suono in questa nuova cornice;
poi mi rivolsi al mio maestro, e dissi: «Mio dolce padre,
dimmi, quale colpa viene espiata (si purga) qui, nel
girone in cui ci troviamo? Se stanno fermi i nostri
piedi, non stia fermo il tuo parlare».
Ed egli a me: «Proprio qui (quiritta) si ripara
l’amore del bene, minore di quanto dovrebbe essere (scemo del suo dover);
qui si compensa con colpi di remo
più veloci il lento vogare per la vita.
Ma perché tu possa capire ancora più chiaramente,
volgi a me l’attenzione, e ricaverai qualche vantaggio dalla nostra sosta».
Egli cominciò a dire: «Figliuolo, né il Creatore
né creatura alcuna furono mai senza amore,
naturale o d’elezione (d’animo); e tu lo sai bene.
L’amore naturale è sempre senza errore;
ma l’altro può sbagliare o perché si dirige al male,
oppure per eccesso o carenza di intensità.
Finché l’amore d’animo è diretto verso il bene supremo,
e si modera nei beni terreni,
non può essere causa di piacere peccaminoso;
ma quando devia verso il male, o corre verso il bene rispettivamente
con maggiore o minore premura di quanto è giusto,
allora, pur essendo creatura di Dio, opera contro il suo Creatore.
Di qui puoi comprendere che necessariamente l’amore
è all’origine di ogni azione virtuosa
e di ogni operazione degna di essere punita.
Ora, poiché l’amore non può mai distogliere
lo sguardo dal bene (salute) del soggetto amante,
ogni creatura è tutelata (tute) dall’odio contro se stessa;
e poiché nessun essere si può considerare
separato dal Creatore (primo), e di per sé autonomo,
qualunque creatura è impedita (deciso) dall’odiare Dio.
Non rimane che concludere, se suddividendo giudico correttamente,
che si può desiderare solo il male del prossimo;
questo desiderio, in voi uomini creati dal fango, si manifesta in tre modi.
C’è chi spera di primeggiare quando è abbattuto il suo prossimo,
e per questo solo brama che sia deposto dalla sua grandezza;
c’è chi ha paura di perdere potenza,
favore, onore e gloria, quando un altro si innalza
sopra di lui, per cui si rattrista tanto da desiderare il contrario;
e c’è chi, per un’offesa ricevuta,
manifestamente si sdegna a tal punto da
diventare avido di vendetta, e in tale esasperazione
consegue che prepari il male altrui.
Questo triplice amore si sconta nelle sottostanti cornici;
adesso desidero che ti renda conto dell’altro amore,
che si dirige verso il bene in misura non giusta.
Ogni creatura conosce vagamente un
bene, nel quale l’animo si appaghi, e aspira a esso;
perciò ognuno si sforza (contende) di raggiungerlo.
Se un amore debole vi sospinge a conoscerlo o
a raggiungerlo, questa cornice vi punisce, dopo
un giusto pentimento. L’altro bene è tale che non
rende l’uomo felice; non procura la felicità,
né contiene l’essenza divina, da cui nascono (radice)
e si sviluppano (frutto) tutti gli altri beni.
L’amore che si concede con eccessivo ardore a questi beni (ad esso),
è punito nelle tre cornici successive (sovr’a noi);
ma come si presenti razionalmente diviso in tre parti,
non lo rivelo, perché tu possa ricercarlo da solo (per te)».



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