Giustiniano nel mosaico di San Vitale a Ravenna. |
Lo spirito è quello di Giustiniano, che comincia a narrare la storia dell'aquila romana fino al suo regno, affermando che essa vendicò Cristo con la distruzione di Gerusalemme compiuta da Tito. Spiega poi che in quel cielo stanno gli spiriti che in vita ricercarono la gloria; tra essi Romeo di Villanova.
In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 6 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.
Parafrasi
«Dopo che Costantino ebbe condotto l’aquila indirezione opposta al corso del sole, che essa aveva
seguito con Enea, l’eroe antico che sposò (tolse)
Lavinia, l’uccello prediletto (di) del Signore rimase
per più di duecento anni nella parte orientale (stremo) d’Europa,
presso quei monti da cui spiccò per la prima volta il volo;
e sotto la protezione (ombra) delle sue sante ali
governò il mondo di imperatore in imperatore (di mano in mano)
e così mutando giunse in mano mia.
Fui imperatore (Cesare) e sono Giustiniano,
colui che, ispirato dal primo amore che ora vivo direttamente (sento),
dal corpo delle leggi tolse il superfluo e l’inutile.
E prima di essermi disposto (attento) a tale impresa (a l’ovra),
ritenevo che in Cristo vi fosse un’unica natura, non di più,
ed ero soddisfatto in questo credo; ma il santo Agapito,
che fu papa (sommo pastore), mi indirizzò con i suoi
ammonimenti (le parole sue) verso la fede vera.
Io credetti a lui e quello che era contenuto nella sua fede,
io vedo adesso in modo tanto evidente
quanto tu distingui il falso e il vero in ogni tipo di contraddizione.
Non appena (Tosto che) mi avviai
per la strada (mossi i piedi) della Chiesa,
la grazia divina volle ispirarmi la grande e faticosa impresa,
e mi dedicai completamente a essa;
e affidai (commendai) le imprese militari al mio Belisario,
alle quali il favore del cielo fu così unito,
da essere chiaro indizio che io dovessi fermarmi (posarmi).
A questo punto finisce (s’appunta) la mia
risposta alla tua domanda: ma la sua natura (condizione)
mi obbliga (mi stringe) ad apporvi qualche aggiunta,
affinché tu possa giudicare quanto (poco) giustamente
agiscano (si move) contro il venerabile segno sia coloro
che se ne appropriano sia coloro che lo avversano.
Considera quanto valore lo ha reso degno
di riverenza; e iniziò da quando Pallante si sacrificò
per creargli un dominio (per dar li regno).
Tu sai che esso (el) si insediò (fece … dimora) ad Alba Longa
per più di trecento anni, fino al momento decisivo
quando i tre Orazi e i tre Curiazi si combatterono ancora per lui.
E conosci bene quali imprese compì dal ratto delle Sabine
fino alla disperazione di Lucrezia, durante il potere dei sette re,
sottomettendo le popolazioni confinanti.
E sai anche che cosa seppe fare condotto dai più illustri
cittadini romani contro Brenno, contro Pirro, contro altri principi
e altre repubbliche (collegi); e da tali imprese Tito Manlio e Quinzio,
che derivò il suo nome dal ciuffo arruffato (dal cirro negletto),
e le famiglie dei Deci e dei Fabi si guadagnarono la fama,
che io onoro (mirro) con soddisfazione.
Esso (l’aquila) umiliò (atterrò) la superbia dei Cartaginesi (Aràbi)
che seguendo Annibale scavalcarono quegli impervi monti,
o Po, da cui tu discendi (che tu labi).
Sotto di esso, Scipione e Pompeo celebrarono il trionfo,
e si rivelò fonte di dolore (parve amaro) per quel colle
ai piedi del quale (sotto ’l qual) tu sei nato.
Poi, al tempo in cui Dio (’l ciel) volle ricondurre
tutta la terra a quella pace a lui conforme (a suo modo),
Cesare lo prende nelle sue mani (il tolle) per volontà del popolo romano.
E le imprese che egli compì (quel che fé) dal Varo al Reno,
le videro i fiumi Isère, Loira (Era) e Senna,
e tutte le valli dai cui fiumi è alimentato il Rodano.
Ciò che compì quando egli lasciò Ravenna
e passò il Rubicone, fu impresa tanto grandiosa (di tal volo)
che né la parola né la scrittura potrebbero tenergli dietro.
Condusse l’esercito (lo stuolo) verso la Spagna,
quindi a Durazzo, e colpì Farsalo tanto duramente
che se ne sentì l’effetto doloroso fino nel caldo Egitto.
Ritornò (rivide) poi ad Antandro e Simeonta,
da cui era partito, e al luogo dove riposa (si cuba)
Ettore; e poi riprese il volo (si scosse) con danno di
Tolomeo. Da lì piombò come un fulmine su Giuba, e
poi ritornò verso la Spagna, dove ancora si sentiva
la tromba di guerra dei pompeiani.
Di ciò che (l’aquila) seppe compiere con il successivo
portatore (baiulo) si lamentano bestialmente (latra)
in inferno Bruto e Cassio, e ne patirono (fu dolente) Modena e Perugia.
La sciagurata Cleopatra ne soffre ancora, lei che,
per fuggirle davanti, si diede una morte rapida
e crudele (atra) con un aspide (colubro).
Con Ottaviano giunse fino alle spiagge del Mar Rosso (lito rubro);
con lui mise il mondo in una condizione di tale pace
che il tempio (delubro) di Giano venne chiuso.
Ma tutto quello che il simbolo che mi induce a parlare
aveva fatto fino ad allora (prima) ed era destinato
a compiere in futuro (fatturo) sulla terra
che è a esso sottoposta, appare (diventa in apparenza) di piccola e trascurabile importanza,
se si guarda con intelletto lucido e sentimento sincero
a ciò che fece in mano al terzo imperatore (Tiberio);
poiché il giusto dio vivente (la viva giustizia) che mi ispira
gli riservò, in mano a colui che ho indicato,
l’onore di vendicare la propria ira.
E ora soffermati meravigliato (t’ammira) su
quello che soggiungo: poi con Tito corse a
vendicare la vendetta del peccato originale.
E quando la violenza (il dente) dei Longobardi
aggredì (morse) la Santa Chiesa, Carlo Magno
sotto le sue ali la mise in salvo, vincendoli.
Ormai puoi giudicare quei tali (i guelfi e i ghibellini)
che prima (di sopra) ho accusato e i loro malvagi errori (falli),
che sono la causa di tutte le vostre sventure.
Gli uni oppongono all’Impero (al pubblico segno) la bandiera con i gigli gialli,
gli altri se ne impossessano per interessi privati (a parte),
e così è difficile (forte) capire chi sbaglia di più.
Facciano, facciano i ghibellini la loro politica
sotto un altro vessillo, poiché è un suo cattivo seguace
chi lo separa (diparte) sempre dalla giustizia;
e non provi ad abbatterlo questo nuovo (re) Carlo
con i suoi guelfi, ma abbia paura dei suoi artigli,
che hanno saputo strappare la pelle a ben più forti leoni.
Già molte volte (fïate) i figli hanno sofferto per le colpe dei padri,
e non ci si illuda che Dio possa cambiare la propria
insegna (armi) con quella dei gigli!
Questo piccolo pianeta di Mercurio si
adorna delle anime buone che hanno operato il
bene perché derivasse loro gloria e fama; e quando
i desideri si rivolgono a queste cose (poggian quivi),
così deviando, è inevitabile che la luce della vera
carità si rivolga al cielo con minore intensità.
Ma nel confrontare i nostri premi (gaggi)
con i nostri meriti consiste in parte la nostra beatitudine,
poiché non li troviamo né minori né maggiori (maggi).
Con questo (Quindi) la divina giustizia appaga
i nostri sentimenti, in modo tale che non si
possano mai volgere verso qualche malvagità.
Note diverse creano armoniosi accordi;
così i diversi gradi di beatitudine (diversi scanni)
delle nostre condizioni compongono la dolce consonanza di questi cieli (rote).
E in questa gemma (margarita) di Mercurio risplende
l’anima santa (luce) di Romeo (di Villanova),
il cui nobile e virtuoso agire venne ricompensato con l’ingratitudine (fu … mal gradita).
Ma i Provenzali che tramarono contro di lui non hanno poi goduto,
e da ciò si può capire che (e però) procede male
chi ritiene dannoso per sé (qual si fa danno) l’onesto agire degli altri.
Raimondo Berengario ebbe quattro figlie,
e tutte (divennero) regine; e ciò grazie all’operato di Romeo,
che pure era uomo modesto e straniero (peregrina).
Ma poi voci maligne (parole biece) lo spinsero a chiedere conto
dell’amministrazione a questo uomo giusto,
che gli consegnò dodici per dieci, quindi se ne andò povero e vecchio;
e se la gente (’l mondo) conoscesse la forza d’animo (cor)
che lo sostenne mentre trascinava la vita mendicando
pane a tozzo a tozzo (a frusto a frusto),
già lo loda e lo loderebbe ancora di più».