Carlo Martello, illustrazione di Gustave Doré |
Dante e Beatrice ascendono al terzo cielo, quello di Venere, dove appaiono le anime di coloro che in vita sentirono con particolare intensità l’impulso amoroso, dal quale si lasciarono trascinare al male, finché seppero volgere questa loro inclinazione naturale a nobili azioni. La prima anima che si fa avanti è quella del figlio di Carlo II d’Angiò, Carlo Martello, il quale in vita fu legato a Dante da affettuosa amicizia. Il giovane principe parla delle terre di cui sarebbe diventato sovrano se la morte non lo avesse rapito anzitempo, la Provenza e la regione napoletana. Ricorda che anche la bella Sicilia avrebbe potuto essere uno dei suoi domini se la casata angioina avesse saputo ben governarla e non avesse provocato con la sua mala signoria la rivolta dei Vespri Siciliani. Accenna infine al rapace governo esercitato nel regno di Napoli dal fratello Roberto. A questo punto Dante chiede all’amico di sciogliere un suo dubbio: come è possibile che i figli siano di indole diversa da quella dei padri? I cicli - spiega Carlo Martello - agiscono sulla terra con i loro influssi secondo fini preordinati da Dio, tuttavia diffondono la loro virtù, la loro forza plasmatrice, a caso, senza distinguere l’un dall’altro ostello. Se così non fosse, non esisterebbe tra gli uomini una differenziazione nelle attitudini naturali, nelle indoli di ciascuno. Tale differenziazione è indispensabile perché, essendo l’uomo creato per vivere in un organismo sociale, dove le attività e i compiti da svolgere sono molteplici, occorre che ciascuno sia in grado di ricoprire il suo ufficio. Il discorso di Carlo Martello termina con un amaro rimprovero al mondo, che non rispetta le attitudini naturali dei singoli uomini.
In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 8 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.
Parafrasi
Le genti (lo mondo) credevano, con loro pericolo,che la bella Venere (Ciprigna), girando (volta) nel terzo cielo (epiciclo),
irradiasse l’amore sensuale (il folle amore);
e per questo i popoli antichi seguendo false religioni (ne l’antico errore)
rendevano onori con sacrifici e preghiere votive
non solo (non pur) a lei, ma adoravano anche Dione e Cupido,
considerando lei sua madre e lui figlio,
e affermavano che questi sedette sulle ginocchia di Didone;
e da costei, dalla quale io prendo l’avvio (del canto),
prendevano il nome per la stella
che il sole vezzeggia a volte da dietro (da coppa)
a volte di fronte (da ciglio).
Io non mi accorsi di essere asceso al suo cielo;
ma dell’esservi dentro mi diede sufficiente (assai) certezza la mia donna,
che io vidi diventare più splendente.
E come nel fuoco distinguiamo una scintilla,
e come in un coro individuiamo la singola voce,
quando una parte tiene la stessa nota (è ferma)
e l’altra si alza e si abbassa, io vidi in quel cielo splendente
altre luci girare in tondo con maggiore minore velocità (più e men correnti),
a seconda, penso, dei loro diversi gradi della visione di Dio (di lor viste interne).
Non scesero mai da una nuvola fredda
dei venti, visibili o meno, così veloci (festini),
da non sembrare ritardati e lenti per chi avesse visto
quelle luci beate avvicinarsi a noi, interrompendo
il moto circolare già iniziato con i sublimi Serafini;
e dentro a quelle che ci apparivano più vicine si
sentiva cantare (sonava) ‘Osanna’ in modo tale che
da quel momento in poi (unque poi) provai sempre desiderio di risentirlo.
Poi una di esse si accostò ancor più a noi
e incominciò da sola a dire: «Noi tutti siamo pronti (presti)
a soddisfare il tuo desiderio (al tuo piacer),
affinché tu possa trarre gioia da noi.
Noi ruotiamo con i Principati celesti, di una stessa ampiezza
e di una stessa forma di giro e con uno stesso desiderio
di Dio (sete), e di loro (ai quali) in terra tu hai detto:
‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; e siamo
così pieni di carità che, per soddisfarti, non sarà per
noi motivo di minore felicità interrompere il nostro girare (un poco di quïete)».
Dopo aver rivolto lo sguardo con rispetto (reverenti)
verso Beatrice (la mia donna), e dopo che lei lo ebbe
rassicurato e confermato del suo assenso (contenti e certi),
lo voltai verso l’anima splendente che si era offerta (promessa)
tanto generosamente e «Dimmi, ti prego, chi siete?»
furono le mie parole segnate da ardente desiderio.
E quanto più grande e più splendente (quanta e quale)
io vidi quell’anima diventare, per la nuova gioia
che s’aggiunse, per le mie parole (quando parlai), alle sue letizie!
Così diventata, mi rispose: «Vissi poco
tempo sulla terra; e se fossi vissuto più a lungo,
non ci sarebbero molti mali che invece avverranno.
Mi tiene nascosta a te la mia beatitudine,
che emana luce tutto intorno a me (che mi raggia dintorno)
e mi vela come quell’animale che si fascia della sua seta.
Mi hai amato profondamente, e ne hai avuto buon motivo;
poiché se io fossi rimasto sulla terra (s’io fossi giù stato),
ti avrei dimostrato ben più che le foglie del mio affetto.
La regione posta su quella sponda sinistra
che si bagna nel Rodano dopo che vi è affluito il Sorga,
mi attendeva come suo re al tempo dovuto (a tempo),
e pure quella parte dell’Italia (quel corno d’Ausonia)
che ha per città (s’imborga) Bari, Gaeta e Catona,
da dove il Tronto e il Verde sfociano nel mare.
Mi risplendeva già sul capo la corona d’Ungheria,
il paese che il Danubio bagna dopo
aver lasciato le rive della Germania.
E la bella Sicilia, che si copre di caligine (caliga)
tra capo Pachino e capo Peloro, su quel golfo
che subisce il colpo più forte dallo Scirocco (da Euro),
non a causa del gigante Tifeo, ma per le emanazioni
di zolfo (per nascente solfo), ancora oggi attenderebbe
come suoi re i discendenti, attraverso me,
di Carlo e di Rodolfo, se il malgoverno, che opprime (accora)
continuamente i popoli sottomessi, non avesse spinto
i Palermitani all’urlo di rivolta ‘Muoia, muoia!’.
E se mio fratello sapesse prevedere ciò,
rifuggirebbe fin d’ora (già fuggeria) dalla gretta avarizia dei Catalani,
perché non gli arrecasse danno (non li offendesse);
poiché davvero lui, o qualcuno altro,
dovrebbe prendere provvedimenti affinché sul suo regno (a sua barca),
già troppo carico (di oneri, problemi e debiti), non si pongano altri pesi.
La sua indole, che discende avara (parca) da una stirpe liberale (larga),
avrebbe bisogno (avria mestier) di collaboratori (di tal milizia)
che non mirassero ad accumulare tesori negli scrigni (mettere in arca)».
«Poiché, o mio signore, io so per fede (credo)
che la profonda gioia che le tue parole mi infondono
tu la vedi (per te si veggia) in Dio, dove ogni cosa buona ha inizio e fine,
così come io la sento in me (come la vegg’io), essa mi è ancora più gradita;
e anche quest’altra cosa mi è di gran piacere,
il fatto che la vedi contemplando Dio.
Mi hai già reso felice, e così chiariscimi, dato che
il tuo discorso (parlando) mi ha fatto nascere un dubbio,
come può essere che da un seme buono nasca una pianta cattiva».
Questo domandai; ed egli rispose: «Se io riuscirò a mostrarti una verità,
tu avrai di fronte la risposta (terrai lo viso) al dubbio (a quel che tu dimandi),
così come adesso gli volti le spalle (come tien lo dosso).
Dio, il sommo bene che muove e allieta (volge e contenta) i cieli
che tu stai ascendendo (che tu scandi), predispone che la sua Provvidenza
si faccia virtù informante in queste vaste sfere celesti.
E nella mente di Dio, che è perfetta di per se stessa,
si provvede (provedute sono) non solo alla creazione delle nature (non pur le nature),
ma al loro essere e al loro benessere: per cui qualunque cosa (quantunque)
quest’arco scocca, giunge predisposto per
uno scopo determinato (a proveduto fine), come una
freccia (come cosa) indirizzata al suo bersaglio.
Se non avvenisse così, il cielo che stai percorrendo
produrrebbe i suoi effetti in maniera tale
che non sarebbero benefici ma dannosi;
e questo non può avvenire, a meno che le intelligenze motrici
delle sfere celesti non siano imperfette (manchi),
e imperfetto il primo motore, che non le ha ben compiute (non li ha perfetti).
Vuoi che ti chiarisca (ti s’imbianchi) di più questa verità?».
Io risposi: «No davvero, poiché so che è impossibile (impossibil veggio)
che la natura venga meno (stanchi) in ciò che è necessario (in quel ch’è uopo)».
Quindi replicò: «Adesso dimmi: per l’uomo, sulla terra,
sarebbe peggio se non vivesse in società (se non fosse cive)?».
«Certo» io risposi «e di questo non chiedo (non cheggio) spiegazioni».
«E ciò può avvenire, se sulla terra ognuno non vivesse
in modo diverso con differenziati compiti (per diversi offici)?
No, se scrive giusto il vostro maestro Aristotele».
Così giunse ragionando fino a questo punto (deducendo infino a quici);
quindi concluse: «Pertanto è necessario che le origini
delle vostre azioni (di vostri effetti le radici) siano varie:
per questo uno nasce legislatore (Solone), un altro guerriero (Serse),
un altro sacerdote (Melchisedèch) e un altro inventore come Dedalo,
colui che, volando, perse il figlio Icaro.
Le influenze celesti (La circular natura) che si imprimono
nella materia terrena, compiono bene la loro funzione (fa ben sua arte),
ma non fanno distinzioni tra una casa e l’altra.
Così accade che Esaù sia diverso per virtù ingenita (si diparte per seme)
da Giacobbe, e Romolo (Quirino) nasce da un genitore
di così bassa condizione che viene attribuito (come figlio) a Marte.
La natura dei discendenti (Natura generata) seguirebbe sempre
la stessa strada dei genitori (generanti),
se la Provvidenza divina non fosse più forte.
Ora quello che ti era oscuro (dietro) è davanti ai tuoi occhi;
ma affinché tu sappia che ti ho molto a cuore (di te mi giova),
desidero che un’ulteriore verità (un corollario) ti ricopra.
L’inclinazione naturale (natura) dà sempre cattiva prova di sé,
se si scontra con un destino a lei contrario, proprio come
qualsiasi seme che cada fuori dal terreno adatto (di sua regïon).
E se gli uomini sulla terra considerassero
attentamente l’inclinazione (fondamento) che la virtù dei cieli infonde,
e l’assecondassero (seguendo lui), ne otterrebbero persone migliori.
Invece voi uomini costringete a diventare ecclesiastico (torcete a la religïone)
chi è nato con la vocazione del guerriero (a cignersi la spada),
e innalzate al trono (fate re) chi ha la natura del predicatore (tal ch’è da sermone);
per cui il cammino umano è fuori dalla retta via».