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Paradiso Canto 18 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto diciottesimo (canto XVIII) del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
I beati, illustrazione di Gustave Doré

Cacciaguida mostra otto grandi spiriti, poi Dante e Beatrice salgono al cielo di Giove, mosso dalle Dominazioni, in cui gli spiriti giusti volteggiano nell'aere formando le parole di una sentenza biblica e l'immagine di un'aquila. Dante riflette sulla giustizia terrena e pronuncia un'invettiva contro la curia di Roma che mercanteggia la fede.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 18 del Paradiso. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Già in sé gioiva del proprio pensiero quell’anima beata (Cacciaguida),
specchio (della luce divina), e io assaporavo il mio,
mitigando il dolore (l’acerbo) con le notizie gradevoli (dolce);
e quella donna (Beatrice) che mi stava guidando a Dio mi disse:
«Lascia i tuoi turbamenti: ricorda che io già sono vicina a colui (Dio),
che toglie il peso (disgrava) di ogni ingiustizia».
Io mi voltai alle caritatevoli parole della mia consolatrice (conforto);
e rinuncio a descrivere qui la sublime luce di carità
che in quel momento vidi sul suo volto beato;
non solo perché diffido della mia capacità espressiva,
ma perché la memoria non può ritornare (redire) così a fondo su se stessa,
se non la guida un aiuto soprannaturale (altri).
Solo questo posso riferire a quel proposito,
che guardando in Beatrice, la mia anima fu sollevata (libero fu)
da ogni altro desiderio, dato che l’assoluta bellezza divina (piacere etterno),
che risplendeva direttamente (diretto) in lei,
riflettendosi (col secondo aspetto) dal suo luminoso volto,
mi dava una gioia totale (mi contentava).
Beatrice mi disse, forzando la mia volontà con
il bagliore del sorriso: «Girati e ascolta le sue parole;
poiché la felicità celeste (paradiso) non risiede solo nel mio volto».
Come sulla terra (qui) a volte vediamo dagli occhi (vista)
il sentimento (l’affetto) di una persona, se esso è tanto
forte che tutta la persona (anima) è presa da esso,
così nello sfolgorare di quella luce (folgór) beata,
verso la quale mi girai, compresi il suo intenso desiderio
di spiegarmi ancora molte altre cose.
Egli così iniziò a dire: «In questo quinto cielo (soglia) (del Paradiso),
che è come un albero che trae vita (vive) dalla sua cima
e dà sempre frutti e da cui non cade mai una foglia,
ci sono delle anime sante che sulla terra (giù), prima di salire qui,
furono di tanta fama (fuor di gran voce), che ogni opera poetica (musa)
ricaverebbe da loro ricca ispirazione (ne sarebbe opima).
Perciò osserva bene i bracci (corni) di questa croce:
lo spirito che io nominerò vi (lì) si manifesterà
come un lampo (foco) nella propria nuvola».
Vidi lungo la croce un lampo suscitato dal nome
di Giosuè, non appena venne menzionato;
e non mi accorsi del suo nome prima che del suo manifestarsi (fatto).
E quando fu nominato il grande Giuda Maccabeo,
vidi un’altra luce muoversi in tondo, e come la corda (ferza)
con la trottola (paleo) così era la sua gioia a farla girare.
Similmente al nome di Carlo Magno e di Orlando
i miei occhi attenti seguirono altri due bagliori,
come l’occhio (del falconiere) segue il falcone mentre vola.
Poi Guglielmo d’Orange e Rinoardo, il duca
Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo attrassero
il mio sguardo muovendosi lungo la croce.
Infine, tornata (mota) e riunita (mista) alle altre,
l’anima (di Cacciaguida) con cui avevo parlato mi mostrò
quale eccellente cantore essa fosse fra gli altri di quella sfera.
Io mi voltai verso destra per avere
indicazioni (vedere ... segnato) da Beatrice, con parole
o con gesti, su ciò che dovevo fare (il mio dovere);
e vidi i suoi occhi (luci) così splendenti (mere), così gioiosi,
che il suo aspetto superava tutti quelli
che le erano soliti (solere), compreso l’ultimo.
E come una persona si rende conto che
la sua virtù cresce (avanza) di giorno in giorno,
per il fatto di provare sempre maggior piacere dall’agire virtuosamente,
così io mi accorsi dal vedere più splendente quella donna miracolosa
che il mio girare insieme alla sfera celeste
aveva aumentato la sua circonferenza (arco).
E come avviene in breve spazio di tempo (picciol varco)
il cambiamento di colore (trasmutare) in una donna dalla carnagione chiara,
quando il suo viso si libera dal peso (si discarichi ... il carco) della vergogna,
così avvenne alla mia vista, una volta giratomi,
per la luce bianca del tiepido sesto pianeta (Giove),
che mi aveva accolto nella sua sfera.
Io vidi in quella luminosa sfera (facella) di Giove (giovïal)
le anime splendenti di carità, che si trovavano là,
comporre ai miei occhi i segni del nostro parlare umano (favella).
E simili a uccelli che si alzano dall’acqua (surti di rivera),
come per festeggiare il loro pasto, e si schierano
in cerchio (tonda) o in altra forma,
così le anime beate dentro alle loro luci si misero
a cantare volando (volitando), e formavano con le loro
disposizioni le forme della lettera D, poi la I, quindi la L.
Dapprima danzavano seguendo il ritmo del loro canto (a sua nota),
poi, assumendo la forma di tali lettere,
si fermavano un attimo in silenzio.
O divina Musa (Pegasëa), che dai la gloria e
rendi immortali (longevi) le menti dei poeti (li ’ngegni),
e queste, grazie a te (teco), immortalano città e stati:
illuminami con la tua virtù, così che io sappia rappresentare (rilevi)
quelle immagini come le ho impresse nella mente (concette):
si dimostri la tua forza in questi piccoli versi.
Le anime mi si mostrarono in trentacinque lettere
tra vocali e consonanti; e io presi nota delle singole lettere
quanto dell’ordine in cui apparivano raffigurate.
‘Amate la giustizia’ furono il primo verbo
e il primo sostantivo di tutta la raffigurazione (dipinto);
‘voi che giudicate la terra’, furono gli ultimi (fur sezzai).
Poi le anime si fermarono disposte nella
forma della M della quinta parola; così che il cielo
di Giove si mostrava lì come argento trapuntato (distinto) d’oro.
E dall’alto vidi calare altri spiriti luminosi sul
punto più alto (colmo) della M, e lì fermarsi inneggiando,
mi parve, il Bene che li attira a sé (a Dio).
Quindi, come colpendo dei tizzoni ardenti
si sprigionano miriadi di faville, da cui le persone
ignoranti hanno l’abitudine di trarre presagi (agurarsi),
dal colmo dell’emme (quindi) si videro innumerevoli lumi levarsi (resurger)
e alzarsi, chi più chi meno, a seconda di come le ha destinate (sortille)
il sole (Dio), che le fa ardere di carità;
e quando ognuna si fu fermata al posto designato,
vidi la testa e il collo di un’aquila (aguglia) raffigurati da quegli
splendori (foco) che si distinguevano sullo sfondo del cielo (distinto).
Colui che così dipinge in cielo (Dio), non ha un modello,
è lui il modello e in lui si riconosce quella virtù generativa
che è principio vitale per le creature (li nidi).
Gli altri beati, che prima si mostravano felici
nel comporre a forma di giglio (ingigliarsi) l’emme,
con pochi spostamenti completarono l’immagine (’mprenta).
O beato pianeta, quanto preziose e quanto numerose luci sante
mi diedero prova che la giustizia terrena deriva
dall’influsso di questo cielo che tu adorni (ingemme)!
Per questo invoco Dio, che imprime il tuo movimento e la tua virtù,
affinché rivolga lo sguardo al luogo da cui proviene
la caligine (fummo) che offusca (vizia) la tua influenza;
così che si indigni finalmente per una seconda volta (fïata)
contro il commercio che si fa dentro quel santo tempio
che fu eretto (si murò) con i miracoli (segni) e con il sangue dei martiri.
O beata schiera del cielo che io ancora
contemplo, prega Dio (adora) per tutti quelli che
sulla terra vivono traviati dal cattivo (malo) esempio!
Una volta si combatteva con le armi;
adesso invece lo si fa negando ora a questo ora a quello il sacramento (pan)
che il Dio di carità non nega (serra) a nessuno.
Ma tu (papa Giovanni XXII) che firmi scomuniche solo per poi annullarle (per denaro),
ricordati che s. Pietro e s. Paolo, morti per il bene
della Chiesa (vigna) che tu rovini, sono ancora vivi.
Vero è che tu puoi dire: «Il mio unico desiderio va a Giovanni Battista (al fiorino su cui è impressa l’immagine del santo),
colui che volle vivere da eremita e che fu condotto al martirio
per le danze (salti) di Salomè, ché non so chi siano
né il pescatore (Pietro) né Paolo».



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